Speciale La Storia Infinita

Riscopriamo insieme La Storia Infinita: un classico dal fascino senza tempo che dopo più di trent'anni continua ad essere un gioiello del cinema fantastico e a far volare il pubblico di tutte le età sulle ali dell'immaginazione.

Speciale La Storia Infinita
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Il successo de La Storia Infinita è uno dei tanti paradossi che coinvolgono spesso le trasposizioni cinematografiche di opere letterarie di grande fama. Odiatissimo dall'autore del romanzo, Michael Ende, che fece causa alla produzione dissociandosi completamente dal film di Wolfgang Petersen, fu un grande successo di pubblico e catturò l'immaginazione di molti spettatori, stregati dalla storia avventurosa e dalla resa visionaria e spettacolare. Le avventure del piccolo Bastian e del suo alter ego letterario Atreyu, in un curioso gioco di rimandi tra vita reale e fantasia, fecero sognare più di una generazione. Uscito due anni dopo E.T. di Spielberg e un anno prima de I Goonies di Richard Donner, il film riproponeva, come altri del filone fantastico degli anni ‘80, un piccolo ed emarginato protagonista pronto a trovare il proprio riscatto in un'avventura più grande di lui. Ovviamente in solitaria, senza che gli adulti vi fossero ammessi. Il padre di Bastian non è certo la mamma di Elliott di E.T: è un genitore evanescente che si preoccupa del fatto che il figlio disegni cavalli sul quaderno di matematica, senza capire che si tratta di unicorni. Il film non proveniva da Hollywood ma da una scommessa tutta tedesca che mise i prodotti di genere del vecchio continente sotto i riflettori. Ad oggi, La Storia Infinita sembra un'occasione troppo ghiotta per non approfittare dell'ondata di remake e reboot. In casa Warner si parla di un rifacimento dal 2009, ma il progetto non è ancora stato messo in cantiere. Oltre a fare gola finanziariamente, un remake cancellerebbe dalla memoria di molti i pessimi sequel realizzati negli anni ‘90: il secondo film, il cui medio successo si appoggiò molto alla memoria del primo, fu criticato per lo script inefficace e per la sua resa pacchiana, con scene e costumi che sfiguravano rispetto al precedente. Peccato, perché il nuovo cast si avvaleva dell'ottimo e compianto Jonathan Brandis. Il terzo capitolo, diretto dal regista di Rambo III Peter MacDonald e non ispirato al libro di Ende, fu uno dei film più brutti mai realizzati, con i personaggi più iconici trasformati in macchiette da sitcom, ridicole canzoncine, sketch di quarta categoria e insopportabili gag. Vi comparve anche un giovane Jack Black, la cui carriera sopravvisse per un soffio al disastro di un sequel che, per fortuna, non vide quasi nessuno. Fu un caso eclatante di capitale creativo e potenziale cinematografico del tutto sprecati, oltre che un meritatissimo tonfo che mise la parola fine alla produzione di altri capitoli. Eppure, il pubblico ama ancora il primo La Storia Infinita, con la sua carica di pathos e la sua iconica colonna sonora nella quale spicca la celebre canzone di Limahl, reinterpretata in innumerevoli remix da trent'anni a questa parte. L'idea del film, opportunamente declinata, è di giocare con il pubblico a considerare se stesso il protagonista di una storia di cui qualcun altro è spettatore: Bastian legge di Atreyu, ma noi osserviamo Bastian. Va da sé che, per induzione, c'è qualcun altro che osserva noi. E' questa, in sostanza, la matrice "Infinita" della storia.

Il Nulla è già dappertutto

Il film di Petersen, ispirato solo ad una parte degli eventi narrati nel libro, pullula di topoi del fantastico e di elementi ricorrenti della cinematografia fiabesca. Tuttavia l'elemento più interessante, non solo sul piano visivo, è il Nulla: un concetto astratto ma non metafisico, un po' come la Forza di Lucas, che non capiamo del tutto ma del quale vediamo gli effetti. Sappiamo che dilaga, facendo sparire cose e persone, arrivando a cancellare interi mondi consegnandoli, ancor prima che alla distruzione, all'inevitabile destino dell'oblio. Cos'è il Nulla? Di fatto è la principale sconfitta dell'umanità: la rinuncia all'immaginazione. Fantàsia, il bellissimo mondo nel quale Atreyu cavalca il suo bianco destriero Artax, altro non è che il prodotto della nostra fantasia. Un semplice accento su una lettera trasforma la caratteristica che ci rende umani nel mondo che noi stessi plasmiamo con la nostra mente. E non ha confini perché anche la nostra immaginazione non ne ha; almeno fino a quando non vi rinunciamo, adagiandoci su ciò che è facile e cedendo alla paura ed al disinteresse.

Eppure il Nulla non è il lato oscuro della Forza, ma la mancanza del coraggio di osare e di concepire intellettualmente ciò che ancora non esiste, compreso un mondo migliore. Se l'immaginazione è la chiave del progresso, la sua mancanza non è solo destinata a fermarne l'evoluzione, ma anche a spazzare via ciò che finora abbiamo costruito. Ed è proprio in un mondo che rinuncia all'immaginazione che dilaga e trova terreno fertile il Nulla: un vuoto innanzitutto di idee oltre che di forma, che non ha un aspetto definito né è incarnato da uno specifico personaggio. Secondo un meccanismo psicologico classico, spaventa molto più ciò che non vediamo rispetto a ciò al quale sappiamo dare un volto. Niente, ancora oggi, può essere più affascinante o spaventoso di un'idea. E' una delle ragioni per le quali, un quarto di secolo più tardi, Sauron ha funzionato magnificamente sul grande schermo. Un cattivo la cui forma fisica è "mediata" da un elemento informe, che si tratti di un grande occhio infuocato o di una sinistra perturbazione come quella del Nulla, è in grado di provocare allo stesso tempo curiosità e terrore. Caso vuole che tra i tanti libri che Bastian si vanta di aver letto col bisbetico libraio ci sia proprio Il Signore degli Anelli. La spaventosa belva Gmork, per sua stessa ammissione, altri non è che un umile servitore e un insignificante subalterno del terrore supremo: uno schiavo manovrato dal Nulla, inevitabilmente destinato a finirne vittima al termine della sua missione. Tuttavia, prima di soccombere per mano dell'eroe, sarà lui a spiegare l'essenza del Nulla: "È il vuoto che ci circonda. È la disperazione che distrugge il mondo, e io ho fatto in modo di aiutarlo. Perché è più facile dominare chi non crede in niente. Ed è questo il modo più sicuro di conquistare il potere."


Fiaba di etica ed estetica

Le intenzioni dei personaggi di questa infinita storia vanno inevitabilmente a plasmare il loro aspetto esteriore. Gli elementi positivi hanno il volto pulito dell'infanzia. L'imperatrice, nella sua Torre d'Avorio, è una visione eterea che sembra brillare di luce propria. Non appare casuale il rinvio alla locuzione "Turris Eburnea", torre d'avorio, del biblico Cantico dei Cantici. Il guerriero è invece plasmato sulla romantica visione dei cacciatori del bufalo, come illustrato sullo zainetto di Bastian. I comprimari non umani hanno il docile volto di peluche di Falcor o la bonaria indole dei coniugi Engywood, che dimorano in una sorta di Casa Vianello di Fantàsia, pronti a punzecchiarsi di continuo. Ogni elemento distruttivo è invece un monstrum, nel significato prodigioso del termine, in grado di fagocitare ciò che di buono c'è nel mondo. Il primo a farne le spese è il destriero Artax, inghiottito dalle sabbie delle Paludi della Tristezza. L'animale ha meno resistenza dell'umano, ma gettando il suo cavaliere nella disperazione farà sì che anche Atreyu rischi seriamente di annegare. Il deus ex machina non può che arrivare dall'alto, aprendosi uno spiraglio luminescente tra le nuvole dell'oscurità. Il fortunadrago Falcor tirerà fuori dai guai il nostro beniamino, un po' come il Falcon di Han Solo spuntava dal nulla in soccorso di Luke quando tutto sembrava perduto.

Come più tardi avrebbero fatto le aquile ne Lo Hobbit, il fortunadrago conduce l'eroe a poca distanza dalla meta prefissa. Giusto il tempo di affrontare la rimanente parte di viaggio, andando incontro a una serie di ostacoli che lo riconfermeranno come il solo in grado di portare a termine la pericolosa missione. E ancora una volta, la chiave della sopravvivenza sarà il controllo delle proprie emozioni. Se non lasciarsi vincere dalla tristezza era la chiave per sopravvivere alle terribili paludi, non farsi prendere dalla paura è la chiave per superare le terrificanti sfingi pronte a fulminare con uno sguardo chiunque non creda in se stesso. "Corri Atreyu, corri!" gridano tutti, echeggiando quel "Corri, Luke, corri!" che fece storia anni prima. La vera bellezza di Atreyu è che, pur essendo un eroe tipico, non è mai prevedibile: è triste, impaurito e confuso proprio come Bastian che ne legge le avventure. Non è un caso che la più temibile delle prove da affrontare sia proprio quella di guardarsi allo specchio e di rivedere la vera immagine di se stesso: inevitabilmente, Atreyu vedrà il giovane lettore al quale deve la sua stessa esistenza. Il libro che Bastian legge si plasma sul suo io interiore restituendogli, tramite Atreyu, la sua vera immagine di piccolo guerriero: apparentemente timido e impacciato, Bastian è un valoroso che sopravvive alla perdita di un genitore senza permettere al dolore di divorarlo dall'interno. E' Bastian a non dover sprofondare nella tristezza, che nel libro prende la forma di una palude. E' ancora Bastian a dover realizzare di avere il potere di salvare Fantàsia: "Non si è ancora reso conto di far parte di una storia infinita!" esclama l'Imperatrice mentre vede il suo impero sgretolarsi. Di rimando, è un messaggio anche per gli spettatori: anche noi dobbiamo accorgerci di far parte della catena, per salvare innanzitutto noi stessi.

Il film si colloca alla perfezione nella struttura narrativa tipica del cinema avventuroso degli anni '80, sia nell'incipit che nel finale: una storia di ampio respiro, con un mirabolante viaggio in un mondo fantastico, si pone in mezzo tra il classico episodio di bullismo e il riscatto finale. E nell'epilogo, il confine tra i due universi salta del tutto: Falcor piomba fisicamente nel nostro mondo per dare una lezione ai compagni di scuola e vendicare il piccolo eroe. La confezione de La Storia Infinita è perfetta. Oltre agli effetti speciali, prostetici e non ancora digitali, ciò che rende davvero unico il risultato è la colonna sonora. Il lavoro di Klaus Doldinger dei Passport e di Giorgio Moroder calza a pennello sia con la cifra stilistica del film che con il suo bel montaggio lineare. Sono anni nei quali le musiche del fantastico, a partire dallo straordinario lavoro di Vangelis su Blade Runner e dei Targerine Dream su Legend di Ridley Scott, provengono dai gruppi musicali dediti alla sperimentazione e dai polistrumentisti. Le azzeccatissime partiture di Doldinger fanno provare un brivido all'apparire anche della più classica delle creature. L'esempio più calzante è Gmork: ha le fattezze di un lupo e nulla di più, ma la musica che lo accompagna è in grado di far tremare le gambe allo spettatore più spigliato. Il tema musicale che introduce per la prima volta Falcor comunica quel senso di speranza che sopraggiunge anche quando tutto sembra perduto. Il tema dell'Imperatrice, che ricorre sia quando Bastian riceve l'Auryn che quando riesce ad incontrarla, richiama lo splendore di una corte illuminata. Il tema che accompagna l'apparizione della Torre d'Avorio è unico nell'esprimere maestosità e stupore. La musica delle paludi della tristezza è perfetta per riassumere quel senso di totale inadeguatezza che ci attanaglia ogni volta che ci sentiamo piccoli in un oceano di difficoltà. E con l'ariosa melodia del volo di Falcor tra le nuvole dimentichiamo i guai sia di Fantàsia che del nostro mondo.

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