La Ragazza dei Tulipani, quando il capitalismo divora le emozioni

Il film del 2017 con Alicia Vikander è ambientato nei Paesi Bassi nei primi decenni del diciassettesimo secolo, periodo della cosiddetta tulipomania.

La Ragazza dei Tulipani, quando il capitalismo divora le emozioni
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Bisogna viaggiare indietro nel tempo per affrontare una delle prime bolle speculative riconducibili al mercato capitalista, per l'esattezza agli inizi del diciassettesimo secolo. Siamo in Europa, precisamente nei Paesi Bassi, dove prende il via la cosiddetta tulipomania che, come suggerisce già il termine, riguardava i bulbi dei fiori tanto diffusi in quelle lande.
Le cipolle - si possono chiamare anche in tal modo - di suddette piante infatti erano ricercate ovunque per abbellire case e giardini e raggiunsero un prezzo progressivamente sempre più esoso, ma la durata di tale exploit ebbe vita relativamente breve e nell'arco di qualche anno si spense definitivamente, mandando sul lastrico coloro che vi avevano investito sopra la propria intera fortuna.
Questa premessa storica è per introdurre al relativo contesto ambientale in cui si svolge il film di cui stiamo per parlarvi, ossia La ragazza dei tulipani, in concomitanza con la trasmissione televisiva in prima visione (l'appuntamento è per le 21.20 su RAI2). Una produzione sulla carta di rilievo, che vede nei ruoli principali un cast composto da grandi nomi: oltre alla protagonista Alicia Vikander, i due personaggi maschili che le ruotano attorno sono infatti interpretati da Christoph Waltz e dal giovane Dane DeHaan.

Premesse e promesse mancate

Ciò che racconta La ragazza dei Tulipani è un torbido menage a trois che ha luogo proprio nel periodo temporale appena esposto, che diventa predominante nella sempre più rocambolesca girandola di eventi. La bella orfana Sophia, cresciuta in convento, viene scelta come sposa dal ricco mercante Cornelis Sandvoort, di diversi anni più anziano di lei.
Ma l'improvvisa comparsa dell'affascinante e talentoso pittore Jan van Loos, coetaneo della ragazza, scatena in lei un improvviso impeto passionale che finirà per coinvolgere di rimando anche altre persone.

Un'asta poco avvincente

Il plot è relativamente esile nelle sue fondamenta ma finisce per inscenare una fitta rete di sottotrame secondarie che creano ben presto un senso di profonda confusione, fino a quell'epilogo che risulta ben poco verosimile.
In tutto questo, come vibrante teatro dell'amour fou in divenire, lo sfondo è sovrastato dalle numerose aste per acquisire, a cifre sempre più folli, esemplari di tali bulbi, con l'obiettivo poi di rivenderli successivamente a una somma ancora maggiore.
In una delle molteplici incursioni in questo dissennato mercato compare in un piccolo cameo anche Cara Delevingne, segnale che denota come si sia voluta mettere particolarmente in risalto questa dinamica di compravendita: tutto l'asse narrativo dipende proprio da essa, e il notevole numero di comparse impegnato nelle sequenze a tema ne è l'ennesima, gratuita, dimostrazione.

Un'opera avara di emozioni

Ben lungi da essere un approfondito resoconto storico, il film di Justin Chadwick - che assai meglio aveva fatto con un altro lavoro in costume, il suo esordio cinematografico L'altra donna del re (2008) - diventa così un pasticciato ibrido né carne né pesce, dove spicca esclusivamente soltanto la cura per i costumi e le scenografie.
Perché alla fine dei conti, è proprio il contorno a mangiarsi tutto il resto. La grigia ambientazione, accentuata dalle fosche scelte fotografiche, finisce per dominare su tutto il resto e il continuo cambio di location mette in mostra i limiti di un montaggio maldestro, mai capace di far emergere la personalità dei personaggi anche per via della raffazzonata sceneggiatura.

Panta rei, tutto scorre, ma è il modo a creare una sensazione di profondo spaesamento non solo nello spettatore ma anche in chi calca lo schermo. La Vikander è raramente stata così anonima e impalpabile e lo stesso si può dire per DeHaan, innamorati privi di qualsiasi tangibile empatia, mentre Waltz è ai minimi storici in una parte che comunque, a conti fatti, rimane la migliore del lotto.

Il tema dei ritratti che scatenano altri risvolti è un classico di certo cinema in costume, basti pensare a La ragazza con l'orecchino di perla (2003) o al più recente La ragazza del dipinto (2013), ma qui la pittura e la vena artistica finiscono anch'essi in secondo piano di fronte a un contesto sociale sul punto di implodere, elemento cardine dell'intera operazione che ruba la scena a tutto il resto.
Non è un caso che un fenomeno del tutto attuale e sulla cresta dell'onda come quello delle cryptovalute sia stato paragonato da molti esperti proprio alla tulipomania, con il rischio prima o poi di veder andare in fumo guadagni che oggi appaiono ben saldi. Ma questa è un'altra storia e chissà se tra cent'anni o forse meno le sale vedranno l'uscita di un ipotetico La ragazza dei Bitcoin.

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