La Notte del Giudizio: all'origine di un mito fatto di sangue e vendetta

Dopo il prequel La Prima Notte del Giudizio, torniamo all'origine del mito The Purge raccontando il primo film della saga.

La Notte del Giudizio: all'origine di un mito fatto di sangue e vendetta
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Nel 2013, ben prima di Trump, di Kim Jong-un, dei muri al confine col Messico e soprattutto dell'ascesa della destra in diversi Paesi del mondo, James DeMonaco ci aveva raccontato una società (quella statunitense, eletta però a simbolo universale) estremista e distopica come raramente se ne erano viste nel cinema di genere.
Escluse alcune rare eccezioni, i film dell'orrore contemporanei non vantano concept narrativi particolarmente accattivanti, preferiscono quasi sempre l'atmosfera allo sviluppo di una trama originale, che attragga lo spettatore meno attento ma che contemporaneamente stimoli quello più emotivamente e intellettualmente coinvolto - ponendo magari quesiti filosofici, morali, etici e politici.
L'horror, semplicemente, spesso e volentieri vuole fare altro: imboccare il pubblico per lo stretto necessario (solitamente novanta minuti) a colpi di jump-scare. La Notte del Giudizio, capostipite della saga di fanta-politica The Purge, aveva ben altro in mente.

Una trama semplice e accessibile, ma allo stesso tempo impegnata

L'aspetto più interessante del film di DeMonaco (e dell'intero franchise) è rappresentato da un "senso della novità", una scommessa commerciale non da poco: a chi poteva rivolgersi un'opera così politicamente schierata, che raccontava di una società utopica e del suo oscuro "segreto del successo"? Quanti ragazzi di oggi avrebbe attirato nelle sale, quanto successo di botteghino avrebbe generato un film del genere?
La Blumhouse veniva dal successo clamoroso di Paranormal Activity e Insidious, ma iniziava a farsi sentire il bisogno di un cambio di rotta, dato che la saga di Oren Peli aveva già sfornato quattro capitoli nel giro di altrettanti anni e stava attraversando una fase di stanca.
Il nuovo Re Mida del terrore, Jason Blum, doveva tirare fuori dal cilindro un altro franchise da lanciare, possibilmente diverso da qualsiasi cosa si potesse trovare in sala all'epoca. La sinossi provocatoria e sovversiva de La Notte del Giudizio ha attirato la sua attenzione, e da asso del sistema produttivo hollywoodiano qual è (e che continua a dimostrare di essere), Blum ci ha visto lungo: invece di propinare al suo pubblico l'ennesimo caso di possessione demoniaca, ha deciso di puntare sulla bestia più crudele e spietata che il mondo abbia mai visto: l'uomo.
La forza della trama, così maledettamente semplice, sta proprio nella sua accessibilità, nella sua capacità di attirare diversi tipi di pubblico, non solo la fetta più appassionata del genere. In un futuro non troppo lontano, gli Stati Uniti si sono trasformati in una terra utopica, nazionalista all'estremo. La patria del capitalismo e delle contraddizioni è in pace, le persone di ogni etnia vanno d'accordo fra di loro, il tasso di criminalità è ai minimi storici.
Il tutto grazie a una singola legge cardine che ha riletto in chiave punk il Sogno Americano: una notte all'anno, per dodici ore, qualsiasi genere di illegalità è consentita, dallo stupro al furto, dal vandalismo all'omicidio. Una notte di perversione e catarsi per purificare l'anima nera di una società imperfetta, contorta, malata e profondamente ipocrita.

Ethan Hawke interpreta James Sandin, un uomo che vende e installa sistemi di sicurezza domestica. Vive in un quartiere suburbano con sua moglie Mary (Lena Headey) e due bambini, Zoe (Adelaide Kane) e Charlie (Max Burkholder). I vicini, all'apparenza cordiali e amichevoli, nascondono un certo grado di trattenuta animosità e/o invidia nei confronti della famiglia protagonista, rea di essere la più fiorente del quartiere a livello finanziario (quando tutte le altre soffrono a causa della recessione economica).
Ignari quindi dei veri sentimenti dei loro "amici", i Sandin si rintanano in casa per una notte sicura, mentre "lo Sfogo" infuria fuori dalle loro porte. Naturalmente, le cose prendono una piega disastrosa.

L'anarchia nel segno di Carpenter

Mescolando il genere home invasion a temi caratteristici della filmografia di John Carpenter (DeMonaco non ha mai nascosto il suo amore per il papà di Halloween, anzi nel 2005 ha realizzato proprio con Ethan Hawke il remake di Distretto 13 - Le Brigate della Morte), La Notte del Giudizio riesce a porre domande spinose e sconvenienti con personaggi incredibilmente improbabili e per questo autentici, in grado di riflettere ed esteriorizzare quegli stessi dubbi che attanaglierebbero lo spettatore in una ipotetica situazione analoga.
Nel corso dei suoi 90 minuti compatti, emozionanti e intelligenti, questo action-horror fanta-politico non deraglia mai, muovendosi dal punto A a quello B con una costanza invidiabile e un ritmo asfissiante.
La critica americana risponde freddamente all'opera, rigettandola forse a causa dell'accuratezza con la quale DeMonaco ha scoperchiato i difetti più taciuti della propria madrepatria, ma il pubblico corre a riempire le sale: quasi 100 milioni di dollari, a fronte di un budget risibile di appena 3, dando vita a due sequel (Anarchia - La Notte del Giudizio, del 2014, e La Notte del Giudizio - Election Year, uscito due anni dopo), un prequel (La Prima Notte del Giudizio, uscito poco tempo fa) e addirittura uno spin-off televisivo previsto per settembre 2018. Nonostante questo, il fascino che circonda il franchise continua a crescere di capitolo in capitolo, senza dare alcun cenno di cedimento.
Forse perché, attraverso l'arte cinematografica, è in grado di esorcizzare come poche altre opere le pulsioni più represse dello spettatore. E questa è solo una delle tante verità scomode che James DeMonaco ha avuto il coraggio di urlarci in faccia.

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