King Kong e Il figlio di King Kong, l'inizio della leggenda

Mentre il grande pubblico attende l'uscita di Godzilla vs. Kong, riscopriamo insieme il leggendario film originale e il suo sequel istantaneo.

King Kong e Il figlio di King Kong, l'inizio della leggenda
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Non vi è dubbio che Godzilla vs. Kong sia uno dei film più attesi dal grande pubblico, che dopo la controversa scelta di WarnerMedia sarà disponibile in contemporanea sia nelle sale - che speriamo possano riaprire anche qui il più presto possibile - che su HBO Max.
Lo scontro tra le due gargantuesche creature che caratterizzano ormai da decenni l'immaginario di grandi e piccini non può d'altronde essere sottovalutato: ma questa nuova reiterazione della disfida tra esse - già a suo modo raccontata nel nipponico King Kong vs. Godzilla (1962) - è capace di spingere il pubblico più cinefilo e completista a recuperare le basi, che spesso mancano nello spettatore moderno.
Ecco perciò che anche noi vogliamo spingervi a riscoprire le origini, portandovi nella prima, leggendaria, incarnazione dell'enorme gorilla sul grande schermo e del suo sequel pressoché istantaneo, uscito nello stesso anno.
Parliamo per l'esattezza del 1933 e da quel momento al cinema d'intrattenimento si sarebbe aggiunta una nuova pietra miliare, con cui tutte le future produzioni a tema avrebbero dovuto fare i conti.

L'isola, il gorilla, il grattacielo

Non che la storia abbia bisogno di grandi introduzioni. Saranno in molti ad aver visto il remake "puro" più recente, ossia quello firmato nel 2005 da Peter Jackson, mentre altri - con qualche anno in più sulle spalle - conoscono la versione degli anni '70 prodotta da Dino De Laurentiis.
Entrambi i rifacimenti seguono più o meno fedelmente la narrazione dell'originale, che vede un ambizioso e scriteriato regista prossimo a partire per la famigerata Isola del Teschio, dove secondo una leggenda si nasconderebbe una spaventosa creatura conosciuta semplicemente come Kong.
Il cineasta è alla disperata ricerca di un'attrice che possa effettuare le riprese in loco e la scelta ricade sulla bella Ann Darrow, un passato da comparsa ora in gravi difficoltà economiche.
All'arrivo sul posto il gruppo viene scacciato dagli indigeni, i quali però rimangono colpiti dalla bellezza di Ann e decidono di rapirla per poi sacrificarla allo spaventoso gorillone - dando il via a un'avventura incredibile destinata al noto epilogo sulla cima dell'Empire State Building.

La paura vien mangiando

Seppur col tempo si sia consolidato come un classico del filone avventuroso, fin dalle sue origini King Kong si porta dietro un alone horror non indifferente, soprattutto considerando anche le platee dell'epoca. E non è un caso che il prototipo venga considerato in molteplici classifiche tra i più grandi film dell'orrore di tutti i tempi.
Oggi indubbiamente le varie sequenze di morte hanno perso il loro impatto, per via di effetti speciali straordinari allora ma oggi ben più che sorpassati e invecchiati così così, ma pensate alla reazione di un qualsiasi spettatore contemporaneo davanti alla scene in cui lo scimmione divora gente ancora viva o schiaccia dei malcapitati indigeni sotto le sue massicce zampe.
Poco ci manca che sia fuggito di corsa dalla sala come in una delle sequenze più iconiche del concitato finale su schermo.
Fa sorridere sapere che questa selvaggia "nemesi" era nella sua forma originaria un modellino alto soltanto quarantacinque centimetri.

Certo le espressioni facciali non potevano contare su soluzioni particolarmente credibili ed è possibile che gli sguardi inebetiti o le stesse movenze di quella bocca possano suscitare una certa ilarità se visti con occhi assuefatti a ben altro.
Il tutto va ovviamente contestualizzato e in ogni caso la forza delle immagini era più che in grado di appassionare le platee dei thirties, pronte a sognare e meravigliarsi per dimenticare almeno per un giorno la grave crisi economica che si stava vivendo (non a caso mostrata nelle fasi iniziali della stessa pellicola).

La star più grossa che ci sia

Tramite dei primordiali - ma allora rivoluzionari - effetti in tecnica a passo uno, più conosciuta come stop-motion, i registi sono riusciti a dar vita a un corollario di titaniche creature, molte delle quali purtroppo poi eliminate dal montaggio finale per limiti di tempo o per poca coesione all'interno del narrato, che caratterizzano la disperata missione di salvataggio della bella Ann, caduta nelle per lei innocue grinfie della cosiddetta "ottava meraviglia del mondo".
Soltanto lui è l'assoluto protagonista e non è un caso che il cast maschile fosse popolato da volti poco noti: nessuna vera star a rubare la scena a Kong, con il solo sbarazzino fascino di Fay Wray a esaltare il dicotomico legame tra la Bella e la Bestia più volte sottolineato anche dai dialoghi.
Una genesi bizzarra in fase concettuale, giacché l'idea per la sua rappresentazione venne al regista e produttore Merian C. Cooper dopo aver sentito la notizia del ritrovamento del drago di Komodo, la più grossa specie esistente di lucertola, avvenuto qualche tempo prima.

Un sauro sarebbe stato indubbiamente più difficile da realizzare con le tecnologie allora disponibili e avrebbe forse avuto meno impatto dal punto di vista scenico: ecco perciò che una scimmia, un gorilla in particolare, appariva come la giusta scelta, anche per via del rapporto "romantico" che si sarebbe potuto creare tra la bionda ragazza e un animale così simile all'uomo.
L'imperitura gloria nella Storia della Settima Arte era da lì a venire, mentre il successo ai botteghini fu immediato, al punto che passarono soltanto nove mesi per l'uscita nelle sale del sequel.

Una questione di dimensioni

Un lasso di tempo così breve non poteva che dar vita a una furba operazione di marketing, atta a cavalcare il clamoroso e freschissimo successo del prototipo. Peccato che il basso budget, meno della metà rispetto al predecessore, e una sceneggiatura a dir poco frettolosa e improbabile abbiano castrato sul nascere le potenzialità del progetto, come poi confermato anche dallo scarso numero di biglietti staccati.
Seguendo le intenzioni dei finanziatori, il film venne infatti impostato su un'atmosfera più leggera per rivolgersi a un pubblico di famiglie, bambini inclusi. Il tentativo di ampliare il target si è però rivelato un'arma a doppio taglio, come vedremo dalla già bizzarra gestazione del racconto.

Racconto che ha inizio a soltanto un mese di distanza dagli eventi di King Kong. Il regista Carl Denham è finito nell'occhio del ciclone per quanto accaduto a New York ed è al centro di numerose cause giudiziarie, tanto che per lui si arriva anche a un ordine di cattura.
L'uomo decide allora di fuggire dalla metropoli e chiede aiuto al capitano Englehorn, intraprendendo un nuovo viaggio per mare a bordo del Venture.
Giunti nel porto di Dakang, i due vengono a sapere che un leggendario tesoro si troverebbe nascosto sull'Isola del Teschio, ormai priva del suo re, e scelgono di imbarcarsi per l'ennesima avventura. A loro si aggiunge lo skipper norvegese Nils, anch'esso bisognoso di allontanarsi dalla legge, e la bella Hilda Petersen, una ragazza che ha da poco perso il padre in un "misterioso" incidente.
Dopo essere stati vittima di un ammutinamento da parte della ciurma, il gruppo si ritrova allo sbando su una scialuppa e costretto a cercare riparo sull'Isola, dove si imbatte in un erede di King Kong, dalle dimensioni molto più contenute e dall'aura apparentemente pacifica.

Qualcosa di imprevisto

E proprio sul rapporto di non belligeranza ma anzi di improvvisata collaborazione tra i personaggi principali e il "cucciolo" di gorilla gigante - comunque in grado di affrontare giganteschi orsi e altre varie creature preistoriche - si innesta quella verve comica che stona completamente con l'avventuroso incipit. Incipit che cita a piene mani dal proprio recente passato, con poster dell'ottava meraviglia del mondo in primo piano e una trama simile per grandi linee a quella del capostipite.
Ciò che appare evidente è un marcato abbassamento dei toni oscuri e horror, qui pressoché assenti, in favore di una tenerezza fuori luogo: osservare Denham fasciare il dito della Bestia o ancora questa lanciare sguardi divertiti nei confronti degli umani, nega qualsiasi istinto tensivo e il sapore è quello di una favoletta poco ispirata.
Se uno dei momenti più divertenti si rivela, paradossalmente, la scenetta in cui delle scimmiette ammaestrate si esibiscono come una sorta di bizzarra orchestra, qualcosa vorrà pur dire.
La stessa ricerca del tesoro si affida a un classico pretesto del filone avventuroso, ma tolte un paio di suggestive scenografie non si rivela mai avvincente e ben presto fa perdere di interesse per il destino dei personaggi.
Personaggi tra i quali vi è il ritorno del succitato regista e di altre figure secondarie, mentre la presenza probabilmente più incisiva è - anche in quest'occasione - l'unica di sesso femminile: Helen Mack, che aveva iniziato la propria carriera sin da bambina nel cinema muto, non ha mai fatto il grande salto ma mette qui in mostra almeno una spigliata personalità, cosa che non si può dire per i suoi anonimi compagni di viaggio.

Gli effetti speciali riutilizzano i modellini originari, solo che il nuovo Kong ha il pelo completamente bianco, una sorta di versione albina del più possente genitore, mentre il numero di gargantueschi avversari è qui assai ridotto e sfruttato in maniera a dir poco forzata.
Non è un caso che la durata complessiva sia di 68 minuti, poco più di un'ora emozionalmente piatta.
Solo le concitate fasi finali, con un devastante terremoto che prepara il campo alla drammatica scena madre pre-epilogo, riescono in parte nel loro intento e restituiscono un po' di quella grandezza perduta, ma è difficile giustificare un sequel così scialbo quando segue a una mitica pietra di paragone.

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