Killers of the Flower Moon è l'anti-Marvel? Martin Scorsese e i cinecomics
Martin Scorsese ha duramente criticato Disney e Marvel negli ultimi anni. Ma cosa significano le sue dichiarazioni? E che posto hanno nel cinema di oggi?
Quella delle critiche di Martin Scorsese ai cinecomic è ormai una saga che, per numero di "puntate", potrebbe far invidia al Marvel Cinematic Universe e al DCEU. Le dure parole riservate del cineasta americano ai cinefumetti arrivano da lontano: tutti ricordiamo le dichiarazioni di Scorsese del 2019 contro i film Marvel, ma già nel 2018, sulle pagine dell'Hollywood Reporter, il regista aveva aspramente criticato l'industria cinematografica del XXI secolo, scagliandosi, tra gli altri, contro i blockbuster, contro il portale Rotten Tomatoes e, infine, persino contro Netflix (con cui però lo stesso Scorsese ha collaborato un paio di anni dopo per The Irishman).
Per certi versi, Killers of the Flower Moon è una risposta a quelle storture della modernità cinematografica che lo stesso Scorsese odia così profondamente: non è un mistero che, trattandosi dell'ultimo film di un regista che ormai ha 80 anni e che produce una nuova pellicola ogni quattro o cinque anni, Killers of the Flower Moon sia un testamento artistico, un punto di arrivo per l'idea di cinema del suo autore e un pulpito dai cui uno dei più grandi Maestri contemporanei desidera diffondere la sua idea della Settima Arte, che molto si discosta da ciò che oggi Hollywood ha da proporre.
Cinecomic? No grazie
Partiamo però dai cinecomic. Quali sono le critiche di Martin Scorsese all'universo cinematografico Marvel e all'ormai defunto DCEU? Nel 2019, in una colonna del New York Times, il cineasta ha spiegato che "ho provato a guardare i film dei supereroi diverse volte e sento che non fanno per me, che sembrano essere più simili ai parchi divertimento che ai film per come io li ho conosciuti e li ho amati per tutta la mia vita. In ultima battuta, non credo che siano cinema".
Tralasciamo l'ultima frase: si tratta di parole forti, forse esagerate e certamente soggettive. Parole da tenere certamente a mente, anche perché al mondo ci sono poche persone più qualificate di Martin Scorsese per definire cosa sia e cosa non sia il cinema. Ma pur sempre parole che esprimono un sentimento soggettivo. È invece il paragone tra i cinefumetti e i parchi divertimento a meritare di essere sviscerato più approfonditamente. Cosa intendesse dire di preciso il regista non è facilissimo capirlo. Alcuni, specie dopo aver visto Killers of the Flower Moon al cinema (a proposito, qui trovate la nostra recensione di Killers of the Flower Moon), potrebbero pensare che si tratti di una questione di ritmo: i film per il grande pubblico sono caratterizzati da un ritmo sincopato e incalzante, spesso così veloce da portare ad alcuni effetti indesiderati, spingendo registi e sceneggiatori a tralasciare la caratterizzazione dei personaggi, i dettagli della trama e persino la realizzazione tecnica delle pellicole, puntando su un ampio lavoro di post-produzione e un uso spropositato della CGI. Ovviamente, non tutti i blockbuster e i cinecomic sono così: accanto a pellicole discutibili dal punto di vista tecnico e narrativo abbiamo infatti anche delle punte di diamante come The Batman e Logan, giusto per citarne un paio.
Questa interpretazione, però, è riduttiva. Il paragone con il parco divertimenti nasce dal fatto che gran parte dei cinecomic mette lo spettatore in una condizione di totale sicurezza dall'inizio alla fine: le emozioni sono spesso ovattate, le scelte narrative prevedibili e poco coraggiose, i personaggi perlopiù blandi. Come l'ottovolante, per l'appunto: chi ci sale percorre un binario chiaramente visibile ed è ben protetto da una barra metallica che evita che venga scalzato fuori dalla giostra. Come i parchi divertimenti, anche i film dei supereroi puntano sull'esagerazione per convogliare le emozioni verso lo spettatore: poiché tanti elementi sono spesso talmente improbabili da alienare il pubblico da ciò che avviene dentro lo schermo, a volte il modo per farsi ricordare è mettere in scena grandi battaglie, immagini impossibili senza la CGI e storie che, puntualmente, mettono a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta o dell'universo.
Pensate ai due casi di Batman vs. Superman e Justice League: i tentativi di creare storie toccanti ed emotive non sono riusciti, dunque si è preferito optare per scontri al cardiopalma che, tuttavia, non hanno ovviato alla mancanza di un Clark Kent e di un Bruce Wayne con cui il pubblico potesse empatizzare. Così come l'ottovolante deve essere lanciato ad una velocità spasmodica su un percorso costellato di curve, discese frenetiche e anelli a 360° per elettrizzare il pubblico, anche il cinefumetto cerca di fare l'impossibile per emozionare, perché altrimenti non sarebbe in grado di attirare il pubblico al cinema. E, in effetti, dopo la grande conclusione della Saga dell'Infinito, in cui Marvel ha proposto agli spettatori la minaccia più grande di sempre, la battaglia più grande di sempre e la storia più emotiva di sempre (sulle quali forse il giudizio di Scorsese è stato fin troppo duro), il MCU ha preso ad arrancare, come succede a quelle giostre che si "bruciano" la discesa più ripida già a metà tracciato.
Lo stesso Martin Scorsese ci dice che "molti elementi che definiscono il cinema per come lo conosco sono nei film Marvel. E molti film che fanno parte di franchise più ampi sono realizzati da persone di grande talento. Ma ciò che manca è la rivelazione, è il mistero, è il pericolo emotivo genuino che si ritrova in molte altre pellicole".
Come l'ottovolante: non c'è rivelazione, perché prima di salirci sai benissimo cosa ti aspetta; non c'è mistero, perché il binario è proprio davanti a te; non c'è pericolo (fortunatamente, in questo caso), perché tutto è stato studiato per tenerti al sicuro, dalla sbarra metallica che ti si poggia sulle gambe fino alla velocità della giostra. Tutto è stato studiato fin nel minimo dettaglio, proprio come avviene per i blockbuster. In entrambi i casi, la ragione di questo studio è la sicurezza. A cambiare è il soggetto di cui si vuole garantire l'incolumità. Se nei parchi divertimento le precauzioni servono a non far volare le persone fuori dai binari, in sala esse devono garantire il massimo successo commerciale, soddisfare i bisogni di un pubblico quanto più ampio possibile (possibilmente senza scontentare nessuno, in modo da non perdere spettatori potenziali per la pellicola in uscita tre mesi più tardi) e massimizzare il numero di biglietti staccati. La sicurezza, insomma, non è quella dello spettatore, bensì quella dell'azienda che produce il film. Si tratta di un difetto genetico delle produzioni legate al mondo dei supereroi: alto il budget, alto il rischio economico in caso di flop. Il DCEU ne è stato un esempio lampante: al terzo strike, nel mondo dei blockbuster, un'azienda deve ritirarsi, almeno per un po'. Marvel, Disney, DC e Warner, ovviamente, vogliono evitare di (ri)fare una fine simile.
Cambiano le regole, non il mezzo
Questa tendenza auto-conservativa è connaturata al medium del cinema supereroistico, e forse per questo Scorsese definisce i cinecomic come "non-cinema". Le lacune artistiche, creative, tecniche e narrative di diversi cinefumetti, i loro processi produttivi spesso distorti (il caos degli effetti speciali Marvel ne è un esempio; i reshoot continui di Aquaman 2 un altro) e la loro stessa essenza commerciale li piegano a delle regole diverse da quelle che hanno governato il cinema per decenni, almeno fino all'uscita del primo episodio di Star Wars. Di nuovo, però, non dobbiamo fare di tutta l'erba un fascio: diversi cinecomic ci hanno mostrato, seppur con i propri difetti, che un approccio più autoriale e relativamente slegato alle esigenze commerciali è possibile anche in questo mondo.
Per addolcire la pillola di Martin Scorsese, possiamo dire che i blockbuster rappresentano un modo così diverso di fare cinema da essere pressoché impossibili da valutare secondo le stesse categorie interpretative che usiamo per il resto del settore. Un cinema meno artistico di quello d'autore - questo è ovvio - e più legato alle logiche del mercato, almeno nella gran parte dei casi.
Eppure, un cinema comunque necessario, se non altro perché spesso sono proprio i blockbuster a portare le persone al cinema, a far varcare la soglia della sala per la prima volta ai bambini. Il compito delle pellicole più "impegnate", o perlomeno di quelle che riescono a sottrarsi alle logiche prettamente commerciali, invece è quello di partire da questa base e convincere il pubblico a tornare in sala dopo una o due settimane, anziché prendersi un periodo sabbatico di sei mesi tra un cinecomic e l'altro. Sfortunatamente, demonizzare i cinefumetti e chi li guarda non è il migliore dei passi in questa direzione, e le dichiarazioni di Martin Scorsese rappresentano uno scivolone in tal senso.
Killers of the Flower Moon non è un ottovolante, anzi. Lungi da noi fomentare il filone dei critici che non hanno apprezzato la durata "eccessiva" del film o il suo ritmo "lento", ma certamente Martin Scorsese non ha sentito il bisogno di mantenere uno stile sincopato e di incorporare nella pellicola delle scene d'azione al cardiopalma. È una scelta che deriva dal fatto che Martin Scorsese ha più potere contrattuale con una major di qualsiasi regista che abbia mai legato il suo nome a quello della Marvel negli ultimi dieci anni.
È anche una scelta che dipende dal fatto che Martin Scorsese può permettersi di sbagliare, perché dopo Killers of the Flower Moon non ci saranno sequel e spin-off. In altre parole, è una scelta dettata da una forma mentale e commerciale diversa da quella che muove le azioni di Disney e Warner.
Martin Scorsese non è l'anti-Marvel, è solo Martin Scorsese, ovvero uno dei numerosi esponenti - forse il più importante, forse quello che finora si è fatto sentire di più - di un modo di fare cinema che è ancora incredibilmente attuale, che gode di una salute relativamente buona in sala e che non andrà da nessuna parte nei prossimi anni, ma che sta imparando a convivere con sistemi diversi, dotati della propria grammatica e delle proprie regole.
Killers of the Flower Moon è l'anti-Marvel? Martin Scorsese e i cinecomics
Martin Scorsese ha duramente criticato Disney e Marvel negli ultimi anni. Ma cosa significano le sue dichiarazioni? E che posto hanno nel cinema di oggi?
Quella delle critiche di Martin Scorsese ai cinecomic è ormai una saga che, per numero di "puntate", potrebbe far invidia al Marvel Cinematic Universe e al DCEU. Le dure parole riservate del cineasta americano ai cinefumetti arrivano da lontano: tutti ricordiamo le dichiarazioni di Scorsese del 2019 contro i film Marvel, ma già nel 2018, sulle pagine dell'Hollywood Reporter, il regista aveva aspramente criticato l'industria cinematografica del XXI secolo, scagliandosi, tra gli altri, contro i blockbuster, contro il portale Rotten Tomatoes e, infine, persino contro Netflix (con cui però lo stesso Scorsese ha collaborato un paio di anni dopo per The Irishman).
Per certi versi, Killers of the Flower Moon è una risposta a quelle storture della modernità cinematografica che lo stesso Scorsese odia così profondamente: non è un mistero che, trattandosi dell'ultimo film di un regista che ormai ha 80 anni e che produce una nuova pellicola ogni quattro o cinque anni, Killers of the Flower Moon sia un testamento artistico, un punto di arrivo per l'idea di cinema del suo autore e un pulpito dai cui uno dei più grandi Maestri contemporanei desidera diffondere la sua idea della Settima Arte, che molto si discosta da ciò che oggi Hollywood ha da proporre.
Cinecomic? No grazie
Partiamo però dai cinecomic. Quali sono le critiche di Martin Scorsese all'universo cinematografico Marvel e all'ormai defunto DCEU? Nel 2019, in una colonna del New York Times, il cineasta ha spiegato che "ho provato a guardare i film dei supereroi diverse volte e sento che non fanno per me, che sembrano essere più simili ai parchi divertimento che ai film per come io li ho conosciuti e li ho amati per tutta la mia vita. In ultima battuta, non credo che siano cinema".
Tralasciamo l'ultima frase: si tratta di parole forti, forse esagerate e certamente soggettive. Parole da tenere certamente a mente, anche perché al mondo ci sono poche persone più qualificate di Martin Scorsese per definire cosa sia e cosa non sia il cinema. Ma pur sempre parole che esprimono un sentimento soggettivo. È invece il paragone tra i cinefumetti e i parchi divertimento a meritare di essere sviscerato più approfonditamente. Cosa intendesse dire di preciso il regista non è facilissimo capirlo. Alcuni, specie dopo aver visto Killers of the Flower Moon al cinema (a proposito, qui trovate la nostra recensione di Killers of the Flower Moon), potrebbero pensare che si tratti di una questione di ritmo: i film per il grande pubblico sono caratterizzati da un ritmo sincopato e incalzante, spesso così veloce da portare ad alcuni effetti indesiderati, spingendo registi e sceneggiatori a tralasciare la caratterizzazione dei personaggi, i dettagli della trama e persino la realizzazione tecnica delle pellicole, puntando su un ampio lavoro di post-produzione e un uso spropositato della CGI. Ovviamente, non tutti i blockbuster e i cinecomic sono così: accanto a pellicole discutibili dal punto di vista tecnico e narrativo abbiamo infatti anche delle punte di diamante come The Batman e Logan, giusto per citarne un paio.
Questa interpretazione, però, è riduttiva. Il paragone con il parco divertimenti nasce dal fatto che gran parte dei cinecomic mette lo spettatore in una condizione di totale sicurezza dall'inizio alla fine: le emozioni sono spesso ovattate, le scelte narrative prevedibili e poco coraggiose, i personaggi perlopiù blandi. Come l'ottovolante, per l'appunto: chi ci sale percorre un binario chiaramente visibile ed è ben protetto da una barra metallica che evita che venga scalzato fuori dalla giostra. Come i parchi divertimenti, anche i film dei supereroi puntano sull'esagerazione per convogliare le emozioni verso lo spettatore: poiché tanti elementi sono spesso talmente improbabili da alienare il pubblico da ciò che avviene dentro lo schermo, a volte il modo per farsi ricordare è mettere in scena grandi battaglie, immagini impossibili senza la CGI e storie che, puntualmente, mettono a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta o dell'universo.
Pensate ai due casi di Batman vs. Superman e Justice League: i tentativi di creare storie toccanti ed emotive non sono riusciti, dunque si è preferito optare per scontri al cardiopalma che, tuttavia, non hanno ovviato alla mancanza di un Clark Kent e di un Bruce Wayne con cui il pubblico potesse empatizzare. Così come l'ottovolante deve essere lanciato ad una velocità spasmodica su un percorso costellato di curve, discese frenetiche e anelli a 360° per elettrizzare il pubblico, anche il cinefumetto cerca di fare l'impossibile per emozionare, perché altrimenti non sarebbe in grado di attirare il pubblico al cinema. E, in effetti, dopo la grande conclusione della Saga dell'Infinito, in cui Marvel ha proposto agli spettatori la minaccia più grande di sempre, la battaglia più grande di sempre e la storia più emotiva di sempre (sulle quali forse il giudizio di Scorsese è stato fin troppo duro), il MCU ha preso ad arrancare, come succede a quelle giostre che si "bruciano" la discesa più ripida già a metà tracciato.
Lo stesso Martin Scorsese ci dice che "molti elementi che definiscono il cinema per come lo conosco sono nei film Marvel. E molti film che fanno parte di franchise più ampi sono realizzati da persone di grande talento. Ma ciò che manca è la rivelazione, è il mistero, è il pericolo emotivo genuino che si ritrova in molte altre pellicole".
Come l'ottovolante: non c'è rivelazione, perché prima di salirci sai benissimo cosa ti aspetta; non c'è mistero, perché il binario è proprio davanti a te; non c'è pericolo (fortunatamente, in questo caso), perché tutto è stato studiato per tenerti al sicuro, dalla sbarra metallica che ti si poggia sulle gambe fino alla velocità della giostra. Tutto è stato studiato fin nel minimo dettaglio, proprio come avviene per i blockbuster. In entrambi i casi, la ragione di questo studio è la sicurezza. A cambiare è il soggetto di cui si vuole garantire l'incolumità. Se nei parchi divertimento le precauzioni servono a non far volare le persone fuori dai binari, in sala esse devono garantire il massimo successo commerciale, soddisfare i bisogni di un pubblico quanto più ampio possibile (possibilmente senza scontentare nessuno, in modo da non perdere spettatori potenziali per la pellicola in uscita tre mesi più tardi) e massimizzare il numero di biglietti staccati. La sicurezza, insomma, non è quella dello spettatore, bensì quella dell'azienda che produce il film. Si tratta di un difetto genetico delle produzioni legate al mondo dei supereroi: alto il budget, alto il rischio economico in caso di flop. Il DCEU ne è stato un esempio lampante: al terzo strike, nel mondo dei blockbuster, un'azienda deve ritirarsi, almeno per un po'. Marvel, Disney, DC e Warner, ovviamente, vogliono evitare di (ri)fare una fine simile.
Cambiano le regole, non il mezzo
Questa tendenza auto-conservativa è connaturata al medium del cinema supereroistico, e forse per questo Scorsese definisce i cinecomic come "non-cinema". Le lacune artistiche, creative, tecniche e narrative di diversi cinefumetti, i loro processi produttivi spesso distorti (il caos degli effetti speciali Marvel ne è un esempio; i reshoot continui di Aquaman 2 un altro) e la loro stessa essenza commerciale li piegano a delle regole diverse da quelle che hanno governato il cinema per decenni, almeno fino all'uscita del primo episodio di Star Wars. Di nuovo, però, non dobbiamo fare di tutta l'erba un fascio: diversi cinecomic ci hanno mostrato, seppur con i propri difetti, che un approccio più autoriale e relativamente slegato alle esigenze commerciali è possibile anche in questo mondo.
Per addolcire la pillola di Martin Scorsese, possiamo dire che i blockbuster rappresentano un modo così diverso di fare cinema da essere pressoché impossibili da valutare secondo le stesse categorie interpretative che usiamo per il resto del settore. Un cinema meno artistico di quello d'autore - questo è ovvio - e più legato alle logiche del mercato, almeno nella gran parte dei casi.
Eppure, un cinema comunque necessario, se non altro perché spesso sono proprio i blockbuster a portare le persone al cinema, a far varcare la soglia della sala per la prima volta ai bambini. Il compito delle pellicole più "impegnate", o perlomeno di quelle che riescono a sottrarsi alle logiche prettamente commerciali, invece è quello di partire da questa base e convincere il pubblico a tornare in sala dopo una o due settimane, anziché prendersi un periodo sabbatico di sei mesi tra un cinecomic e l'altro. Sfortunatamente, demonizzare i cinefumetti e chi li guarda non è il migliore dei passi in questa direzione, e le dichiarazioni di Martin Scorsese rappresentano uno scivolone in tal senso.
Killers of the Flower Moon non è un ottovolante, anzi. Lungi da noi fomentare il filone dei critici che non hanno apprezzato la durata "eccessiva" del film o il suo ritmo "lento", ma certamente Martin Scorsese non ha sentito il bisogno di mantenere uno stile sincopato e di incorporare nella pellicola delle scene d'azione al cardiopalma. È una scelta che deriva dal fatto che Martin Scorsese ha più potere contrattuale con una major di qualsiasi regista che abbia mai legato il suo nome a quello della Marvel negli ultimi dieci anni.
È anche una scelta che dipende dal fatto che Martin Scorsese può permettersi di sbagliare, perché dopo Killers of the Flower Moon non ci saranno sequel e spin-off. In altre parole, è una scelta dettata da una forma mentale e commerciale diversa da quella che muove le azioni di Disney e Warner.
Martin Scorsese non è l'anti-Marvel, è solo Martin Scorsese, ovvero uno dei numerosi esponenti - forse il più importante, forse quello che finora si è fatto sentire di più - di un modo di fare cinema che è ancora incredibilmente attuale, che gode di una salute relativamente buona in sala e che non andrà da nessuna parte nei prossimi anni, ma che sta imparando a convivere con sistemi diversi, dotati della propria grammatica e delle proprie regole.
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