Kickboxer - La vendetta del guerriero: ritorno agli anni '90 per Van Damme

Il 14 luglio 2016 usciva il remake di uno dei film più iconici di Jean-Claude Van Damme, che ritornava alle atmosfere anni '90.

Kickboxer - La vendetta del guerriero: ritorno agli anni '90 per Van Damme
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Per chi è cresciuto negli anni '80 e '90, il nome di Jean-Claude Van Damme è quello di una sorta di divinità, di un simbolo sostanzialmente ineguagliato di divertimento e coolness. Finito il periodo dorato però, JCVD è rimasto prigioniero come molti altri divi di quegli anni di una dimensione cinematografica "vecchia", poi superata in men che non si dica dal nuovo corso, fatto di effetti speciali, che ha messo per diversi anni in salamoia il genere action come lui lo esprimeva.
Tuttavia, stanchi di salti di venti metri ed effettoni, gli spettatori hanno riscoperto il sapore del vecchio cinema fisico e reale, delle arti marziali vere e non simulate, e ridato lustro all'attore, che nel 2016 uscì con il remake del suo film forse più famoso e iconico: Kickboxer.
Kickboxer - La vendetta del guerriero, diretto da John Stockwell, altro non era che la rievocazione di quel film del 1989 che aveva cambiato per sempre il genere e fatto diventare il belga una star internazionale. Ma fu una scommessa vinta?

Ricordando l'era di Van Damme

In Thailandia, il Campione Eric Sloane (Darren Shahlavi, morto poco prima della fine delle riprese) accetta di scontrarsi con il titanico Tong Po (un Dave Bautista quasi irriconoscibile) venendo da questi trucidato sul ring.
Bramoso di vendetta e riscatto, il fratello Kurt (Alain Moussi) decide di cimentarsi nel Muay Thai, allenato dall'ex mentore del fratello, il misterioso Durand (Jean-Claude Van Damme), il quale però si rivela un maestro tanto esigente quanto particolare.

Kickboxer - La vendetta del guerriero è un prodotto sicuramente curioso, per come cerca di unire sia la componente action dei film di arti marziali "classici", vecchio stile, sia di strizzare l'occhio a quel nuovo corso cinematografico che ha reso Indonesia, Corea e Thailandia la nuova frontiera del genere.
A guardarli oggi, molti dei film di Van Damme non sono invecchiati bene, erano fumettoni involontariamente grotteschi e comici, per quanto sovente ammantati di autoironia, e la loro dimensione coreografica non era di certo miracolosa.
Di base tutto era al servizio della slow motion, delle espressioni esagerate di JCVD, del suo fisico che diventò simbolo e punto di riferimento per un'intera generazione.
Non si vuole naturalmente decostruirne il mito, Van Damme lo è stato, lo è ancora per i millennial, ha contribuito ad allargare il successo di un genere cinematografico, a rinnovare l'action declinandolo secondo una nuova dimensione estetica ed espressiva. Questo è innegabile.
Tuttavia il regista John Stockwell ha deciso di depurare come poteva la forma originale dagli elementi oggi più irricevibili, con una maggior attenzione per il ritmo e una componente tecnica di livello maggiormente curato. Il risultato è stato un film sulle arti marziali testosteronico, non molto complesso a livello di trama ma perfetto per il pubblico di riferimento.

Il redivivo Tong Po di Bautista

Detto questo però, in Kickboxer - La vendetta del guerriero il confronto tra il canadese Moussi e il Van Damme dei bei tempi è onestamente abbastanza crudele.
Il belga era un mix di carisma, simpatia, espressività che all'epoca fu considerevolmente sottovalutato nell'insieme, anche per il pregiudizio verso i divi degli "sganassoni" che alberga ancora oggi.

Certo, non fu mai un Marlon Brando o un Cary Grant, ma JCVD sapeva come comunicare, veniva del resto anche dalla danza e la sua espressività già ai tempi di The Quest o di quel piccolo cult che fu TimeCop era tutt'altro che secondaria come fattore del suo successo.
Ovviamente da Street Fighter ne è passata di acqua sotto i ponti, ma qui, smagrito, consumato ma ancora agile e prestante, sovente ruba la scena al ben più aitante e belloccio Moussi, che però appare davvero troppo timido e remissivo.
L'elemento di maggior pregio arriva dal villain: Tong Po. Se Michel Qissi era un silenzioso, furente e inquietante gigante, simbolo di una ferocia vile e illogica, quasi robotico, Dave Bautista invece aiuta il film a fare un salto di qualità non indifferente. Enorme, disciplinato, sadico, pittoresco, gode sicuramente di una maggior caratterizzazione grazie all'ex star della WWE, che ne fa una sorta di simbolo di tutto ciò che di oscuro vive in un lottatore, quasi una declinazione in senso moderno di una ferocia omerica, dell'uomo come predatore di altri uomini.
Cane alpha di un branco reietto e dal culto sadico e mortuario, rappresenta sicuramente qualcosa di più originale e godibile rispetto ai vari "freaks" contro cui JCVD e soci si scagliavano negli anni '90, una sorta di Ivan Drago privato però dell'accezione politica che Rocky IV gli cucì addosso.
Anche dal punto di vista stilistico, il suo incedere come una sorta di enorme panzer incontrista contribuisce a renderlo già più connesso a un reale stile di combattimento.

Un'operazione nostalgica fine a se stessa

La domanda che rimane a cinque anni di distanza, soprattutto considerando il seguito Kickboxer: Retaliation, è semplice: come fare a stupire ancora, quando in realtà pare già essere stato detto tutto per film di questo tipo?

La sua struttura ibrida fra quella di un Rocky vecchia maniera e quel piccolo capolavoro che fu Karate Kid, appartiene sicuramente al mito della vittoria come solo gli anni '80 sapevano rendere convincente.
Certo, fa piacere rivedere il balletto nel bar di Bangkok, i vecchi allenamenti con palme, noci di cocco, le fasce imbottite di vetri, ma se da una parte è bello ammirare un upgrade del film che fu, vedere veri campioni del ring come George St.Pierre, Cain Velasquez, Werdum o Gina Carano, dall'altra questa nuova declinazione dei cavalli di battaglia di JCVD è un fiume senza sbocchi.

Non vi è nulla di paragonabile a ciò che ha fatto Tony Jaa o quella saga a dir poco iconica di The Raid, né la capacità di un John Wick di riprendere cult degli anni '70 come The Mechanic e i vari poliziotteschi all'italiana e renderli di nuovo iconici.
Alla fin fine ciò che si avverte è semplicemente il rievocare, il riportare in vita ciò che si è già visto, un iter narrativo prevedibile e non particolarmente sorprendente, ma che in fondo è esattamente ciò che vuole il pubblico base di JCVD, quello per cui è stato fatto questo film.
La arti marziali hanno avuto in film come Blood and Bone o nella serie Undisputed ben altri omaggi e punti di riferimento.
Questo Kickboxer - La vendetta del guerriero ricordò com'erano i film action di una volta, quelli di chi aveva vent'anni nei '90. Nulla di più e nulla di meno.
Un po' poco per lasciare una traccia, per rivendicare una centralità in un genere che dai tempi di Bruce Lee ha via via cercato in altri percorsi e iter creativi di rinnovarsi.

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