Karate Kid: storia e successo di un cult inaspettato

Vita, morte e miracoli di una delle pellicole cult degli anni '80 che ha influito sulle generazioni a venire, fino ad ispirare la serie revival Cobra Kai.

Karate Kid: storia e successo di un cult inaspettato
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Gli anni Ottanta che tanto hanno ispirato l'ultimo decennio cinematografico e televisivo sono uno scrigno di cult generazionali che sono ormai entrati nella cultura popolare, contaminandola con battute e gesti iconici che nella loro universalità presuppongono ormai che il riferimento sia scontato. Così, il "non incrociare i flussi" rimanda subito a Ghostbusters, "Nessuno può mettere Baby in un angolo" a Dirty Dacing, "Ti spiezzo in due" a Rocky IV e potremmo andare avanti all'infinito con I Goonies, I Blues Brothers, Blade Runner e via discorrendo.

C'è però un solo cult senza tempo sulle arti marziali che può essere visto da grandi e piccini perché è allo stesso tempo una grande storia di amicizia e formazione. Forse non servirà quindi agitare le mani al suon di "Dai la cera, togli la cera" e nemmeno mettersi nella posizione della gru per capire che stiamo parlando di Karate Kid, il lungometraggio del 1984 con gli stessi Ralph Macchio e William Zabka - aka Daniel LaRusso e Johnny Lawrence - che ora mietono successi su Netflix con lo show revival Cobra Kai (tenetevi al passo con la nostra recensione di Cobra Kai 4 che introduce anche l'evoluzione di Terry Silver come villain).

Di bulli e di karate

Tutto ha inizio quando un diciassettenne decide di abbracciare non solo le arti marziali, ma tutto il sistema filosofico alle loro spalle per affrontare una banda di bulli che lo infastidisce. No, non parliamo di Daniel LaRusso e del suo percorso con il Maestro Miyagi del compianto Pat Morita, ma di Robert Mark Kamen.

E chi sarebbe costui che cerca di appropriarsi in maniera nient'affatto originale del retaggio di Karate Kid? Semplice, colui che quel retaggio l'ha creato. Dopo gli spiacevoli eventi di bullismo accaduti nel 1969 alla Fiera Mondiale di New York, Kamen si ritrova come maestro un capitano dei Marine che predica la violenza, lasciando Robert desideroso di qualcosa di più che trova nel Goju-ryu, una forma di karate che affonda le radici ad Okinawa e che si basa su una strategia difensiva di blocco e contrattacco. Il suo maestro parla poco l'inglese, ma ha imparato tutto dal suo sensei: Chojun Miyagi. In breve tempo Kamen abbraccia pienamente quella filosofia e anni dopo viene introdotto nell'industria cinematografica da Frank Price della Columbia Pictures, che gli riferisce che il produttore Jerry Weintraub si è imbattuto in un articolo su un ragazzino vittima di bullismo spinto dalla madre a frequentare una scuola di karate per difendersi.

Kamen potrebbe scrivere qualcosa al riguardo? Quale miglior occasione per Robert per costruire il percorso di Daniel Weber (esatto, niente LaRusso ancora) da adolescente bullizzato a campione di karate miscelandolo con una buona dose di autobiografia? È su questi presupposti che Kamen scrive le 109 pagine di sceneggiatura con un titolo che non piace a nessuno, perché The Karate Kid ricorda un sequel di un b-movie probabilmente destinato solo ai drive-in, e che molti nella stessa troupe riterranno un buco nell'acqua fin dall'inizio.

Zio Pat

Soprattutto con le strane idee che il regista di Rocky, John Avildsen, scelto per dirigere la pellicola, va portando alla produzione sul casting di quel Pat Morita da stand-up comedy che nessuno vuole vedere nei panni di Sensei Miyagi, quando si potrebbe avere Toshiro Mifune direttamente da Kurosawa. Peccato che Mifune non parli una parola d'inglese e che Avildsen insista al punto da registrare un provino di Pat che porterà alle lacrime i produttori, convincendoli che c'è un solo Signor Miyagi.

La sua presenza ha un vero e proprio effetto zen su tutta la troupe, che arriva a chiamarlo "zio Pat". Eppure, Pat Morita è americano a tutti gli effetti, nato e cresciuto negli States, nonostante fosse poi stato davvero internato in un campo di concentramento per giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale, come tutti i nippo-americani costretti a vendere abitazioni e proprietà per trasferirsi forzatamente in queste strutture perché considerati un potenziale pericolo dopo l'attacco di Pearl Harbor.

Un capitolo affrontato al cinema forse per la prima volta proprio da Karate Kid, con riferimenti anche al 442esimo Reggimento composto da giapponesi, il più decorato del conflitto. Nella tragedia di Miyagi, Morita rivede in parte se stesso e la propria famiglia, fino a culminare nella scena dell'ubriacatura che gli è valsa la nomination all'Oscar.

Verso il torneo, verso il successo

Ralph Macchio alla fine conquisterà il ruolo del protagonista Daniel LaRusso, ma dovrà vedersela con nomi del calibro di Robert Downey Jr. e Charlie Sheen, per arrivare ad Emilio Estevez e Nicolas Cage. Per empatizzare di più col personaggio gran parte del film viene girato in location di Los Angeles poco viste al cinema e in TV. Per interpretare Johnny Lawrence viene scelto William Zabka, sconosciuto ai tempi, ma con il giusto physique du rôle e la perfetta attitudine per essere un Cobra Kai.

John Avildsen raggruppa quindi volutamente Zabka e i giovani colleghi del dojo di Kreese per farli fraternizzare cavalcando motociclette e alleandosi insieme, lontani da Macchio. Lo stesso Martin Kove, interprete di John Kreese, viene introdotto ai ragazzi solo sul set, direttamente in parte, per rendere il tutto più realistico. Nessuno tra loro conosce il karate, tranne lo stesso Kove; per allenare Cobra Kai e Miyagi-do in separate sedi e con opposte metodologie e ideali viene assunto Pat Johnson, veterano della Corea nonché capitano della squadra di arti marziali di Chuck Norris. Tutto, ovviamente, culmina nella scena finale del Torneo di All Valley nella location allestita per l'occasione nel Metadome della California State University a Northridge, dove vengono invitate un paio di migliaia di comparse e viene organizzato una vera e propria competizione di karate tra giovani atleti da tenere sullo sfondo delle riprese nelle quali appaiono gli attori del film. Macchio e Zabka hanno provato per mesi la coreografia e la eseguono integralmente per la prima volta di fronte a questo enorme pubblico, come se fosse una performance teatrale.

Alla fine, Daniel sconfigge Johnny con l'iconico calcio, un colpo pensato da Kamen in chiave totalmente cinematografica, una posizione facilmente abbattibile dall'avversario, per di più una mossa che avrebbe certamente portato ad una squalifica nella vita reale. Ma il colpo funziona, è un successo, una rivincita, una vittoria dalla quale vediamo già germogliare i semi di Cobra Kai, il revival che decenni dopo riporterà in auge la saga di Karate Kid.

John Avildsen è soddisfattissimo, non vuole nemmeno girare la scena successiva, quella in cui Kreese quasi ammazza Lawrence ma viene sconfitto da Miyagi. Vorrebbe chiudere col torneo. Per fortuna qualcuno lo rimette sulla retta via e paventa anche la possibilità di un sequel se tutto dovesse andare per il verso giusto. Quella è infatti una scena che apre gli orizzonti, allora come trent'anni dopo.

L'eredità di Karate Kid

Karate Kid debutta in sala e guadagna subito 5 milioni di dollari, poi 5 la settimana successiva e ancora quella dopo. Il film ne è costati 8 di milioni; alla fine ne incasserà 90. Un successo. Si mette subito in cantiere un sequel che permette a Kamen di andare ad Okinawa ad allenarsi e a conoscere il suo maestro, poi arriva anche un terzo film che esce troppo dai binari, sicché nessuno tra questi titoli riesce a replicare la magia del primo. Una genuinità data forse dall'impellenza dei valori presentati e dal brivido di un risultato per nulla garantito, ai quali si sostituirà presto il guadagno facile, la gallina dalle uova d'oro da sfruttare fino all'ultimo.

Per fortuna, dopo un quarto sequel a metà anni Novanta con protagonista Hilary Swank e un infelice reboot del 2010 con Jaden Smith, un gruppo di creativi che negli anni Ottanta erano solo bambini presenta a Zabka e Macchio un progetto per ridare vita alla saga tre decenni dopo, con gli stessi personaggi ma con prospettive e intenti differenti. Nasce così Cobra Kai, per certi versi una pura espressione di fandom, per altri una narrazione intelligente che dimostra quanto l'amore per una storia possa continuare a dare frutti anche a distanza di anni e impreziosire alcune storyline e protagonisti non certo brillanti in origine. Ma questa è un'altra storia.

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