Joker e Parasite sono più simili di quanto si immagini?

Non solo ricchi contro poveri e lotta di classe: guida alle analogie tra la pellicola di Todd Phillips e il capolavoro di Bong Joon-ho.

Joker e Parasite sono più simili di quanto si immagini?
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Sui due film più acclamati della scorsa stagione è stato scritto e detto di tutto: manifesto disperato di una generazione di ultimi ed emarginati il cine-comic con Joaquin Phoenix (vincitore a sorpresa della Mostra del Cinema di Venezia); riflessione tragicomica sulle diseguaglianze sociali il film coreano che ha stravinto agli Oscar. Definizioni che servono soltanto come punto di partenza per due opere fondamentali, non solo per il cinema, che hanno scomodato il parere di critici e studiosi: si tratta davvero di due instant cult capaci di raccontare i problemi del nostro presente e quelli del decennio appena concluso?
Joker riporta in auge le atmosfere cupe del cinema impegnato degli anni '70 (citando soprattutto Taxi Driver di Martin Scorsese) per descrivere efficacemente la nascita del cattivo più temibile (e più antitetico) di Batman. Parasite va oltre gli spunti del film di Todd Phillips grazie a un lavoro di scrittura e regia che mixa brillantemente registri e generi diversi.
In molti hanno notato come entrambe le pellicole trattino i temi della lotta di classe, del rapporto tra ricchi e poveri e delle estreme conseguenze che possono scaturirne. Vediamo, nel dettaglio, le analogie più facili da individuare e quelle riconoscibili, probabilmente, soltanto dopo una (doverosa) seconda visione. Ovviamente se non avete visto entrambi i film, occhio agli spoiler che seguono.

L'emarginazione porta alla follia

Il parassita nascosto, marito della vera badante, mostra sin dal suo ingresso in scena i segni inconfutabili della pazzia. Rintanatosi anni prima per sfuggire ai creditori, a giudicare da gesti e movenze che ricordano più la cieca voracità degli animali che la civiltà degli esseri umani, ha poi finito per preferire la vita assurda del completo isolamento (assistito) a quella del mondo esterno. Follia pura e tragica riflessione sulle conseguenze di una vita ai margini della società. Arthur Fleck, d'altro canto, impazzisce quando l'allontanamento dal mondo come lo conosceva gli viene inesorabilmente a mancare: niente più lavoro né famiglia, e sarebbe già abbastanza, se il suo personaggio televisivo preferito non infrangesse anche il sogno di diventare uno stand-up comedian. La sua, rispetto a quella di Parasite, è una cattività più figurata che reale, ma ugualmente letale.

Dall'ammirazione all'odio verso i ricchi: la presa di coscienza (di classe)

La famiglia "parassita" prima considera la coppia di ricchi che gli dà lavoro come un modello virtuoso cui ambire (nonostante ridano della loro ingenuità). Infine assistiamo a uno sfogo sanguinoso in cui il capofamiglia, dopo aver scoperto il disprezzo del suo datore di lavoro nei suoi confronti e verso quelli (che puzzano) come lui, libera tutto il suo odio di classe. E la concitata scena finale della festa in giardino non è che il culmine di una serie di segnali disseminati ben prima. Anche Joker nutre una profonda ammirazione verso il suo idolo, Murray Franklin, salvo poi rendersi conto della sua vera natura di spietato e cinico presentatore televisivo disposto a tutto pur di fare ascolti. L'epilogo di questo rapporto rappresenta forse la scena più violenta del film, considerando anche che avviene in diretta tv. Kill y(ou)r idols, cantava qualcuno.

Una risata inquietante (e isterica)

Ki-woo, il ragazzo della famiglia di parassiti, non appena si sveglia dal coma, praticamente a vicenda conclusa, comincia a ridere fragorosamente a causa di un riflesso incondizionato. Continuerà a sogghignare in ospedale, al processo e al cimitero in visita alla sorella defunta.

Pare che questo tipo di disturbo esista davvero e sopraggiunga dopo aver vissuto un forte trauma emotivo. Non stiamo neanche a ricordare la terribile e inquietante particolarità di Arthur Fleck, vittima nei momenti meno opportuni di una soffocante risata isterica apparentemente senza motivo. Un altro elemento di follia, molto efficace in termini cinematografici, soprattutto nel voler rimarcare la perdita più o meno definitiva della ragione a causa di esperienze scioccanti.

La metafora delle scale

Scendere le scale vuol dire che le cose si stanno per mettere male o che, ormai, sono irreparabili. In pratica, una discesa nel Male o quantomeno nella parte peggiore dei personaggi. Non appena la famiglia che ha scalzato tutta la servitù in Parasite scende nel bunker, quella che era cominciata come una commedia si tinge di elementi thriller e horror sfociando in un vero e proprio dramma. La successiva, splendida traversata della città durante l'alluvione, dai quartieri alti (letteralmente) ai sobborghi, sembra derivare dalle conseguenze irriducibili delle azioni dei Kim. Un vero e proprio castigo.
Emblematica anche l'ultima scena in cui si vede fuggire il capofamiglia, interpretato da Song Kang-ho, inquadrato dall'alto proprio mentre scende le scale che dal giardino portano in strada: dopo aver ucciso il suo capo a sangue freddo, niente sarà più come prima.
Ancora una volta, tutti ci ricordiamo della scena della scalinata di Joker (prima che Fleck vada in tv), ma forse può esservi sfuggito che Todd Phillips riprende Joaquin Phoenix mentre scende le scale anche molto prima, quelle dell'edificio "dei clown" da cui è appena stato licenziato (e dopo aver commesso gli omicidi in metropolitana).

L'importanza di (non) avere un piano

"Non avere un piano è sempre la cosa migliore: niente può andare storto se non hai un piano, se non devi seguire alcuna regola". Questo, parafrasato, è l'insegnamento di Kim Ki-taek a suo figlio dopo l'alluvione che li costringe a trascorrere una notte da sfollati. Vi ricorda qualcosa? Dimenticatevi per un attimo il Joker di Joaquin Phoenix e recuperate quello di Heath Ledger: nel film di Christopher Nolan, il nemico di Batman elogiava il caos e l'assenza di qualsiasi progettualità contro le regole e l'ordine sociale di individui e istituzioni.

Ora, lungi da affiancare uno dei più grandi villain della storia del cinema al personaggio di Parasite, è interessante notare come entrambi rivendichino un approccio alla vita quantomeno polemico nei confronti dell'establishment o comunque di quella parte di società che può permettersi (non solo economicamente) di pianificare la propria esistenza.
Il Joker di Todd Phillips, prima di sparare a bruciapelo Murray Franklin, lo accusa di rappresentare proprio quel mondo ipocrita, opulento e privilegiato che gli ha portato via tutto trasformandolo in un pazzo assassino. E, già da un pezzo, ha smesso di valutare le conseguenze delle proprio azioni agendo più che altro d'istinto.

Fingere di essere felici, per (soprav)vivere

Durante la festa, Kim Ki-taek è costretto a travestirsi da indiano per soddisfare il suo capo e per divertire il suo piccolo figlio viziato: una mansione degradante per un uomo assunto come autista privato, resa ancor più difficile dalla disastrosa alluvione della notte prima. Bong Joon-ho sembra quasi Ken Loach nel ricordarci quanto dobbiamo sopportare per non perdere il lavoro (che magari neanche amiamo).

La tragedia più grande è quella di Arthur Fleck, costretto a fare il clown pur soffrendo di depressione mentre bada alla madre malata. A causa di questo conflitto, proprio nella prima scena, l'antieroe interpretato da Joaquin Phoenix si allarga finché può la bocca con le mani, allo specchio, mentre una lacrima nera di trucco gli riga il viso, regalandoci il volto mozzafiato e dolente di chi, incapace di sorridere davvero, è costretto a violentarsi pur di apparire felice.

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