Joker con Joaquin Phoenix è un cinecomic oppure no?

Alla vittoria del Leone d'Oro del film di Todd Phillips sulle origini del personaggio DC si è riaperto l'annoso dilemma: cos'è un cinecomic?

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Inquadrare il Joker di Todd Phillips in una precisa categoria cinematografica è un gioco che assottiglia le sfumature di uno splendido film premiato a Venezia 76 con il Leone d'Oro, eppure, apertosi il dibattito, sembra giusto provare a fare chiarezza sulla questione. Il problema, come sempre, è principalmente culturale, relativo nel particolare all'informazione di settore (e non, che fa anche più danni), alla percezione del genere e della form, nonché alle dichiarazioni di produttori, attori o registi che tentano di promuovere il loro film, provando a discostarsi come possono dal fumetto, un medium che ancora oggi, dopo anni di adattamenti e un secolo di storia alle spalle, non riceve la giusta dignità e i riconoscimenti che merita.

L'autore cerca di elevare l'opera al di sopra della sua natura, pensandola, scrivendola, dirigendola e presentandocela come altro, un qualcosa di superiore estrapolato dall'essenza primaria fumettistica, una mera ispirazione che si discosta volutamente da vibrazioni tonali, tematiche e concettuali presenti in quelle produzioni che oggi chiamiamo "cinecomic", elementi che per molti (compreso Phillips) danno valore e senso d'esistere alla sotto-categoria. Per questo, non rispettando pedissequamente un senso ritenuto maldestramente formale del sotto-genere, visto invece come un titolo fuori canone, il Joker con Joaquin Phoenix viene "difeso" a spada tratta da un folto nugolo di cinefili come un film che sovrasta i cinecomic, mentre altri gridano al capolavoro e alla rivincita degli stessi, in uno scontro web quasi ideologico e senza quartiere social. Battaglia davvero molto curiosa e paradossale, per un progetto che vuole essere post-ideologico e indagare le cause di una possibile rivoluzione, ma il seme della discordia è a monte, ed esattamente nell'inquadrare come si deve il sotto-genere. La domanda da porsi è dunque una sola: cos'è un cinecomic?

Valore e dignità

La verità è che non esiste una precisa definizione del termine cinecomic, neologismo coniato da noi italiani per descrivere produzioni principalmente tratte dai fumetti supereroistici, durante il boom successivo agli Spider-Man di Sam Raimi e agli X-Men, divenuto di uso comune soprattutto dopo Iron Man e l'arrivo del Marvel Cinematic Universe. Il problema nasce proprio dalla non categorizzazione del cinecomic, che appare così come una terminologia vaga e vacua, anche perché - ragionando per induzione - si dovrebbe poi parlare di altri cataloghi cinematografici generici chiamandoli cinenovel, cinerealstory ecc.
La verità è però un'altra, e cioè che in quanto neologismo il cinecomic adotta una curiosa unione di parole che prima del suo arrivo non era semplicemente stata pensata, questo grazie all'evoluzione della lingua, allo studio dei lemmi e alle penne più curiose del giornalismo settoriale. Sull'appunto dell'inesistenza di "cinenovel" o quant'altro, poi, si parla da decenni di film basati su di una storia vera ("Based on a True Story", quasi categorizzasse i titoli dove appare) o adattati da romanzi di qualsiasi genere, secondo caso dove non è mai stato adottato un termine specifico per descriverli perché palese e riconosciuta la pre-esistenza del mezzo letterario. Siano essi fantasy, drammi, storie romantiche o thriller, i progetti tratti dai romanzi sono sempre stati promossi dando credito e valore all'opera originale, identificati come trasposizioni (libere o dirette) di questo o quel libro, senza pensare a una definizione generica e calzante che, in fin dei conti, non è mai stata richiesta.

Si è in sostanza fatto affidamento sui generi pre-esistenti per inquadrare gli adattamenti al cinema, ma fosse arrivato qualcuno a coniare il vocabolo Cinenovel a metà degli anni '60, a quest'ora lo staremmo usando tutti. Il fatto è che nessuno ci ha pensato perché non era essenziale e perché la letteratura non ne aveva bisogno, il che ci porta al secondo punto, e cioè la necessità di riconoscere il fumetto come un medium dal forte impatto culturale e letterario, sia esso sotto forma di strisce, di Topolino, di storie con supereroi in forma spillata o di graphic novel.

La paternità dei grandi

Per comprendere l'arrivo del termine Cinecomic si potrebbe partire proprio da "graphic novel", denominazione attribuita a Will Eisner durante la promozione e pubblicazione del suo Contratto con Dio nel 1978, anche se già negli anni '60 era già stata utilizzata da altri, senza trovare però diffusione. Graphic novel, nella sua accezione primaria, significa "romanzo grafico", il che vuole sottolineare la profondità dei temi trattati e il formato auto-conclusivo della storia rispetto alle pubblicazioni a fumetti classiche, accostandosi dunque alla grande letteratura e - di base - affossando dall'interno gli altri formati cugini come fossero robetta per bambini, priva di spessore. È dunque assurdo come i primi nemici del fumetto siano stati (e alcuni lo sono ancora oggi) gli artisti stessi, che non volevano forse riconoscersi all'interno dello stesso medium, arrivando addirittura a catalogare una forma narrativa come "nuova" per avvicinarsi all'intellettualità romanzata. Di base, però, la graphic novel vive e vegeta all'interno del fumetto, così come Superhero Movie quali Batman, Aquaman e tutti gli altri crescono rigogliosi sotto l'egida di un'ala di genere più alta, che comprende anche altri titoli o adattamenti tratti da ogni forma narrativa a fumetti (Scott Pilgrim, Era mio Padre, La vita di Adele, Dick Tracey), la stessa che oggi chiamiamo appunto Cinecomic.

È allora interessante constatare come lo schema di sabotaggio di questa grande categoria neologica, non ancora ufficialmente riconosciuta e pensata per dare dignità ai film tratti dalle storie di supereroi prima e a ogni opera tratta da un fumetto poi, parta ancora una volta direttamente da chi la produce, la crea e la premia. Pur addentrandosi in vibrazioni scorsesiane e hugiane (da L'uomo che ride e successivo adattamento di Paul Leni), in un cinema cupo e anti-eroistico e portando avanti una critica alla società contemporanea con tratti brillanti e autoriali, da grande cinema drammatico e sofisticato quale poi è, il Joker di Todd Phillips resta comunque un cinecomic, perché sfrutta nomi, luoghi e ispirazioni prese dalla controparte fumettistica nata dalla mente di Bill Finger e Bob Kane.

In realtà va anche oltre, guardando in parte anche a Frank Miller e ad Alan Moore, più o meno velatamente e costruendo (come giusto) il suo film, la sua visione del personaggio, la sua Gotham. Di fatto, come sottolineato anche nella recensione di Joker dal nostro Aurelio Vindigni Ricca, il film si eleva nella forma linguistico-espressiva come un J.R.R. Tolkien lo fa rispetto a un Christopher Paolini, restando però un film tratto da storie e personaggi a fumetti, così come Il Signore degli Anelli o Eragon appartengono in egual misura al fantasy letterario. Più sottile, magari adattamento più ispirato che diretto al personaggio del Joker ma ad ogni modo cinecomic, checché ne voglia dire persino lo stesso Todd Phillips, che comportandosi esattamente come fecero prima di lui Will Eisner, Richard Kyle o George Metzner nega in questo modo l'appartenenza del film a una macro-categoria cinematografica che merita molta più dignità, forse oggi più di ieri. Discostandosi infine così prepotentemente dall'ispirazione fumettistica (nonostante il film sfrutti e si riempia degli stessi nomi e luoghi), Phillips nega per giunta e con una certa (si spera involontaria) protervia la paternità dei grandi autori che gli hanno permesso oggi di confezionare un cinecomic di superlativa fattura e che porta il titolo di una grande icona criminale dei fumetti. E questo sì, che fa ridere.

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