Joel Schumacher: una carriera sul filo del rasoio

La carriera di un regista che ha diretto tanto, attraversando più di trent'anni di Cinema tra semi-capolavori e prodotti mediocri difficili da dimenticare.

Joel Schumacher: una carriera sul filo del rasoio
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Se non avete ancora visto Stranger Things 2, fate attenzione agli spoiler!! In una scena di Stranger Things 2 Eleven finisce a Chicago, alla ricerca della "sorella" perduta. Finisce a vagare per una via buia, nascosta dai grattacieli, covo di disperati, tossici e delinquenti urbani. È una scena che richiama uno dei tanti topoi del cinema degli anni '80/'90, il classico momento in cui la bella metropoli americana, al calare della notte, diviene luogo pericoloso e ingestibile, terra di conquista per clan di strada. Vi sfidiamo a non trovare una netta somiglianza tra quella scena di Stranger Things (prodotto patologicamente citazionista) e quello che succede a uno dei protagonisti di Flatliners (1990), uno dei migliori film di Joel Schumacher.
Diciamolo senza vergognarci, uno dei registi più bistrattati dalla critica e dal pubblico che ha girato dei gran bei film per quasi dieci anni. Non solo, ma nel suo piccolo ha lasciato il segno su un immaginario americano da pellicola. Nei suoi primi anni hollywoodiani Joel Schumacher non vestiva l'abito del regista, ma per anni si è dato da fare come scenografo e costumista, iniziando così una lunga carriera.

Fuochi di strada

Joel Schumacher passa gli anni '70 a curare l'estetica di film più o meno noti, come un Rebus per l'assassino o Interiors. Ma sa bene che la sua passione è quella di scrivere storie e magari dirigerle e, nel 1981, debutta con The Incredibile Shrinking Woman, che Roger Ebert definì come "un film fantastico per ragazzi. Con un approccio visivo stupefacente, descrivendo un immagino suburbano ricolmo di colori [...] e dove l'America viene rappresentata come una tavolozza."
Le abilità di Joel Schumacher sono evidenti fin da subito, sono quelle di un regista che tira fuori con prodigio sinestetico i colori e le luci di una generazione di attori. St. Elmo's Fire (1985) è un pellicola strana. Da un certo punto di vista è di una bruttezza chiara, la trama funziona male e i personaggi, in particolar modo quelli maschili, sono praticamente irreali. L'ossessione amorosa di Kirbo per il personaggio di Dale è la definizione perfetta di psicopatico combinata a quella di stalker professionista; Billy dovrebbe essere il tipico ragazzo figo dai toni fragili, ma l'unica cosa che ci regala è un forte senso di biasimo e voglia di picchiarlo a sangue. D'altra parte ci sono momenti in St. Elmo's Fire che funzionano e Joel Schumacher è bravo e sornione a fare degli otto protagonisti dei modelli fotografici più che dei personaggi da storytelling.
Il film è brutto, ma la storia dei ventenni che devono diventare adulti diviene uno dei film manifesto del brat back degli eighties. Ci sono Ally Sheedy, Judd Nelson e Emilio Estevez dal The Breakfast Club, ci sono delle giovanissime Demi Moore e Andie MacDowell, la grezzissima musica suonata con le chitarre e il sassofono à là E-Street Band.

Due anni dopo arriva Lost Boys (1987), per chi scrive uno dei film migliori del regista. Un po' commedia in stile John Hughes, un po' horror slasher, è la storia di due ragazzi e della loro madre che si trasferiscono a vivere dal nonno nella balneare Santa Carla, California. In città succedono cose strane, la gente sparisce e due pazzoidi fumettari (uno dei due è un certo Corey Feldman) pensano che ci siano di mezzo dei vampiri. Kiefer Sutherland interpreta uno della gang, giovani destinati a vivere per sempre nella loro maledizione esoterica. Lost Boys buca lo schermo, c'è poco da fare, ha la cover di People Are Strange fatta dagli Echo & The Bunnyman e poi il covo dei vampiri è arredato con un poster gigante dedicato a Jim Morrison. Volevate di più?

Linea mortale

Nel 1990 Joel Schumacher si porta dietro Kiefer e gli dà la parte più corposa in un film che ha comunque un cast notevole: ci sono una giovanissima Julia Roberts, Kevin Bacon in stato di grazia, William Baldwin e Oliver Platt. Stiamo parlando di Flatliners, del quale pochi giorni fa è uscito il seguito. Un gruppi di giovani dottori vuole scoprire scientificamente cosa ci sia dopo la morte, quindi decide di sottoporsi a dei pericolosissimi esperimenti nel quale muoiono per qualche secondo prima di essere "resuscitati". Il film assume sempre più i toni di thriller horrorifico e ha i colori del miglior Joel Schumacher, dove luoghi sacri e atti profani si fondono in una miscela iconica. Il vento tira a favore del regista, che pare avere chiaro nel 1990 un discorso autoriale sui temi della giovinezza e della vita/morte. Kiefer Sutherland fugge dalla morte in Lost Boys, mentre in Flatliners ne è ossessionato.
Tre anni dopo esce quello che in Italia si conosce come Un giorno di ordinaria follia (1993), che è probabilmente il film più importante del regista. Il film è scritto meravigliosamente da Ebbe Roe Smith (che si darà alla carriera da attore subito dopo) e recitato alla grande, con un Michael Douglas (e Robert Duvall) in stato di grazia.
Per chi ancora non lo conoscesse, Falling Down è la storia di un uomo che sta cercando di tornare verso casa, ma ha l'auto ingabbiata in una lunga fila di una delle arterie di Los Angeles. Il tizio scende dall'auto e prende la strada verso casa, a piedi, affrontando un percorso d'inferno. La verità dei fatti è che il personaggio interpretato da Douglas è un pazzo psicotico, ma il gioco di regia rende la sua psicosi quasi un riflesso inconscio, con lo spettatore che si ritrova a prendere le sue parti in contesti stressanti e nevrotici, dettagli di una città imbruttita. Ci piacerebbe vederne un remake romano, funzionerebbe benissimo.

Scherzi a parte, il film ancora oggi ha un'aura e un'identità che stenta ad invecchiare e, anzi, suona maledettamente contemporaneo. L'America interpretata da Michael Douglas è quella nervosa e arrabbiata, bipolare, che ha eletto Donald Trump. Giunto sul punto più alto della montagna, anche accompagnato dal buon The Client (1995), la carriera di Joel Schumacher prende la discesa dal momento in cui viene scelto come erede di Tim Burton alla direzione della saga dell'uomo pipistrello. Batman Forever è un gran bel film per ragazzini. Non ha quella cupezza del Batman burtoniano, quel pesante senso di morte che si portava addosso la prima Gotham City; il Batman di Joel Schumacher è più una sfilata di moda, dove Jim Carrey e Tommy Lee Jones si divertono a fare facce buffe e urla sgraziate con la scusa di indossare i panni de L'Enigmista e Due Facce; Val Kilmer nelle parti di Bruce Wayne aveva una faccia alquanto monolitica e Nicol Kidman in versione femme fatale era bella come non mai.
Il giocattolo si rompe con quel seguito per il quale Joel Schumacher ancora non ha chiesto scusa: Batman & Robin. Dal modo in cui cammina Schwarzy, impacciato nel costume da Dr Freeze, al modo in cui bacia Uma Thurman in versione Poison Ivy; e poi le battute inconcludenti, il costume con i Batcapezzoli ma soprattutto la recitazione di George Clooney. Schumacher sembra il direttore di un'orchestra scoordinata e il film viene giustamente ricordato come uno dei punti più bassi di Hollywood. La saga cinematografica del personaggio della DC muore istantaneamente, ci vorranno quasi dieci anni per farla tornare in vita.

40 anni di cinema

In un certo senso è come se Joel Schumacher da quel trauma produttivo non sia mai tornato indietro per davvero, anche perché prima di quel film maledetto c'era stato A Time To Kill, una storia con un cast incredibile ma lenta e banale. Nel 1999 esce 8mm che è un film tutto fuorché brutto, al contrario è una delle opere più personali del regista. È un noir, ma girato senza quegli stereotipi chiari e tondi che si leggono su un fumetto hard boiled o in un film tratto da un romanzo di Raymond Chandler. C'è questo detective privato, una ricca vedova e ovviamente un marito morto con un passato un po' inquietante. La vedova scopre dell'oscura passione del marito per dei film particolarmente violenti.
Anzi, il limite estremo della violenza: amava gli snuff movie. Il detective, interpretato da Nicholas Cage, viaggia nei bassifondi della società e dell'animo umano, andando a toccare le corde più inquietanti e selvagge della propria specie. È un film "nero" nel suo senso di cupezza, e Joel Schumacher, come tutti i registi che devono fare un film che parla di film, sembra cercare di dirci qualcosa di importante sulla sua idea di cinema.

Gli anni '00 saranno anche quelli della via che portano alla senilità, ma qualche regalo Joel ce lo fa comunque. Blood Creek è un nazihorror con tanto di cavallo zombie che invade un casolare. È un film che ha non-morti, svastiche e la triade Purcell, Cavill e Fassbender tra i suoi comprimari ed è tipo una galoppata tenuta in piedi dalla capacità del regista di stare sempre tra lo slasher e la sua inevitabile parodia.
E poi alti e bassi, tra Tigerland e In linea con l'assassino, Il Fantasma dell'Opera e Number 23. Joel Schumacher è sul viale del tramonto, magari ci saprà regalare un ultimo colpo di coda oppure no, ma la cosa certa è che non sarà mai dimenticato.

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