Speciale Interstellar 70mm

Recensione tecnica della proiezione in 70mm della monumentale opera di Christopher Nolan

Speciale Interstellar 70mm
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L’ora di Interstellar, il “tormentone” di novembre, il nuovo poema epico di Christopher Nolan che fa parlare senza sosta, in una fuga di voci e accesi dibattiti. Una cosa è certa: Interstellar suscita vertiginose emozioni, può piacere o non piacere, può convincere o non convincere, ma è una voce altisonante ed empatica che stimola lo spettatore e lo tiene vivo sulla poltrona. Perché il rischio di un film anempatico è sempre dietro l’angolo ed è la delusione più cocente. Al di là delle scelte artistiche e stilistiche, su cui ci concentreremo poco in questo articolo, l’ultima fatica di Christopher Nolan assume caratteri di eccezionalità: siamo abituati a vivere le uscite nolaniane come veri e propri eventi, ma non immaginavamo un caso di proporzioni simili. Stiamo parlando dell’arrivo di Interstellar nelle sale in ben cinque formati: la pellicola 35mm, i formati digitali 2K e 4K, IMAX Digital e, soprattutto, i chiacchieratissimi 70mm a 5 perforazioni e IMAX 70mm a 15 perforazioni. È probabile che sia un evento del tutto inedito nella storia del cinema e che va ad alimentare ulteriormente la già consistente aspettativa creatasi attorno ad un film che ha fatto dell’epicità e della sfida ai confini (e della “monumentalità”, il termine più ricorrente sul tam-tam dei social) la propria linfa vitale. Everyeye ha già proposto la Recensione artistica del film e un articolo tecnico sull’IMAX Digital. Mancava l’appuntamento con una delle più importanti sale cinematografiche italiane: la sala Energia al Cinema Arcadia di Melzo (Milano). Eccoci qua, con i nostri pareri su Interstellar in 70mm visionato nel Cinema più tecnologicamente avanzato d'Italia.

La battaglia dei cinque formati

Siamo abituati a numeri preconfezionati ed etichette pronte all’uso. Per questo il pubblico spesso si accontenta di leggere sigle come “4K” o “70MM”, dimenticando sia il tortuoso percorso che le ha generate sia le caratteristiche della sala in cui verranno proiettate: un discorso particolarmente importante per le pellicole che, in quanto analogiche, sono soggette a graduale degradazione e spesso con differenze fra loro già in fase di stampa. È solo uno dei fattori implicati in un processo lungo e articolato. Nel caso di Interstellar, i suoi cinque formati possono spaesare lo spettatore e indurlo a domandarsi quale può essere il più gratificante. In questo caso si tratta senza dubbio dei formati 70mm: sia il 70mm a 5 perforazioni a scorrimento verticale visto all’Arcadia di Melzo, sia l’IMAX 70mm a 15 perforazioni. In quest’ultimo caso però gli spettatori IMAX italiani dovranno “accontentarsi” della proiezione IMAX Digital (che può comunque contare sull’ottima ratio da 1,90:1), poiché il formato IMAX 70mm è disponibile solo in poche sale in tutto il mondo, di cui solo cinque in Europa (una a Praga, altre quattro nel Regno Unito). Ancora meno sale al mondo proiettano la pellicola 70mm a 5 perforazioni: in Europa sono cinque, una è all’Arcadia di Melzo, vicino a Milano, le altre sono a Londra, Berlino, Copenhagen e Parigi. Anche la visione in 4K è un’ottima scelta, che potrebbe essere la migliore se non fosse inficiata da un processo produttivo che ha di fatto favorito le pellicole a 70mm, e quindi IMAX, forte della sua collaborazione con Warner Bros. A buona ragione si può dunque pensare di ascrivere Interstellar alle scelte strategiche del calendario IMAX: già un anno fa, all’apertura della sala IMAX di Sesto San Giovanni, a Milano, avevamo parlato del ricco calendario di film in programma. Interstellar è uno dei titoli di punta, soprattutto perché un terzo del film (66 minuti per la precisione) proviene da riprese in nativo IMAX. Ma non si tratta solo di questo.

Perché il 70mm?

Sintetizzando all’osso, il montato finale è composto da 66 minuti di negativo 65mm (formato IMAX nativo: il negativo è in 65mm, la copia positiva viene stampata in 70mm, e con un aspect ratio di 1,43:1), 103 minuti in 35mm (Super35, ratio di 2,40:1). Il girato, ossia il negativo, è stato poi scansionato in 8K entrando così nel dominio digitale. Come spesso succede, infatti, i film girati in pellicola vengono poi acquisiti in digitale, che rende più agevole la successiva lavorazione, dal montaggio alla post-produzione, e permette spesso una maggiore resa qualitativa. Di norma tutta la post-produzione viene effettuata sul master digitale, dal compositing alla CGI (ovviamente) fino alla color correction, per poi essere esportata nelle copie digitali definitive destinate alla distribuzione (il cosiddetto DCP) e/o essere stampato in pellicola su positivo. In questo caso, la produzione di Interstellar ha preferito stampare su pellicola 70mm la versione “semi-definitiva” del film, sulla quale operare la color correction, per poi scansionarla nuovamente ed esportarla nelle copie digitali per la distribuzione. Non sappiamo se la color correction analogica, effettuata sulla stampa a 70mm, fosse necessaria a tal punto da non effettuarla sul master digitale, ma sicuramente inserisce una distanza tra i rulli in 70mm e le copie in 2K e 4K, con queste ultime che scontano un ulteriore step di acquisizione e quindi una perdita di qualità.

70mm all'Arcadia di Melzo

Nell’ambito delle copie stampate in 70mm, che sono probabilmente l’esperienza più vicina a quella immaginata da Nolan, abbiamo poche possibilità di scelta: in Italia solo la sala Energia all’Arcadia di Melzo, con la pellicola 70mm a 5 perforazioni. Bisogna viaggiare almeno fino in Repubblica Ceca o in Inghilterra per poter visionare il formato IMAX 70mm a 15 perforazioni (con il rapporto d’aspetto più spettacolare, di 1,43:1, mentre le proiezioni IMAX Digital, ossia le uniche presenti in Italia e con l’incrocio di due proiettori 2K, prevedono un rapporto 1,90:1). La proiezione in 70mm all’Arcadia è un’esperienza da provare per la resa visiva, particolarmente indicata per chi è alla ricerca della magia del cinema: si tratta innanzitutto di un formato molto più esteso e di impatto, con rapporto 2,2:1, e con la stessa cura “fotografica”, derivante dalla color correction chimica e ottica, delle proiezioni IMAX 70mm. La sala Energia dell’Arcadia, dove viene proiettato il 70mm, conta inoltre su uno schermo Harkness Perlux di 495 metri quadrati e il sistema audio THX, fra i più impressionanti in Italia: tutto ciò contribuisce a caricare il film di potenza evocativa e di un’azione intrecciata alla poesia. Il formato, il rapporto d’aspetto e la grandezza dello schermo avvolgono interamente lo spettatore, ma è soprattutto la peculiarità della pellicola a giocare un ruolo da protagonista: al di là delle differenze tecniche di acquisizione, la vera discriminante fra analogico e digitale è infatti la percezione visiva, particolarmente differenze in questo caso e senza che una sia meglio dell’altra. La pellicola 70mm dell’Arcadia presenta una grana accentuata per tutto il film, soprattutto nelle sequenze iniziali, e inquadrature talvolta più “sporche” e meno leggibili, confuse e in un certo senso più vive ed umane: è la magia della pellicola che, in questo caso, sembra giocare come scelta stilistica perché enfatizza ulteriormente lo struggimento del film, la sua potenza che trascende i confini, e compone un’accoppiata formidabile con la colonna sonora di Hans Zimmer dai tratti marcatamente biblici (l’organo è la voce predominante della soundtrack). Il rovescio della medaglia c’è: la grana e la resa di neri, una minore profondità di campo e alcune inquadrature sottoesposte possono far storcere il naso a più di uno spettatore, specie i più abituati alle proiezioni in digitale. Bisogna inserire nel bollettino anche sporadici salti del suono: durano giusto un istante e sono dovute alla giuntura delle code dei rulli. La visione 4K presenta caratteristiche diverse, un audio con meno “intoppi” ma un’immagine che, al netto di una visione più chiara, perde la poesia e il codice stilistico della pellicola, con la sua grana e la sua resa cromatica che si fondono in un tutt’uno con la storia. Il digitale è una visione dunque differente: più fredda e più pulita, suscita letture emozionali diverse.

Interstellar Non si può dunque coronare una visione preferibile rispetto ad un’altra: si tratta di modalità differenti. Tralasciando più di un fuori fuoco della fase di ripresa, tralasciando le considerazioni di carattere artistico e la linea adottata dal dop Hoyte Van Hoytema (che si misurerà presto con il 24° episodio della saga di James Bond e che, per Interstellar, ha sostituito lo storico direttore della fotografia di Nolan, Wally Pfister, impegnato con il suo primo film da regista, Transcendence), ci sentiamo, per chi ne abbia l’opportunità, di raccomandare caldamente la visione del 70mm, per la firma del tutto unica e personale che la pellicola conferisce al film-evento di Nolan, perché la proiezione in pellicola non è più tanto facile da trovare (e quella in 70mm anche meno) e perché preserva la qualità, le scelte coloristiche e gli ultimi interventi voluti in sede di lavoro (ricordiamo che la color correction è stata infatti effettuata con processo chimico-ottico direttamente sul positivo da 70mm stampato dal master digitale). Ricordandovi che il 70mm è il formato del cinema spettacolare, di kolossal come Lawrence d’Arabia e capolavori assoluti come L’ultimo imperatore, Blade Runner e lo stesso 2001: Odissea nello spazio, il film-odissea di Kubrick con cui viene intrecciato più di un parallelo nelle recenti opinioni sull’ultima opera di Nolan.

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