Il Rick Dalton di Leonardo DiCaprio in C'era una volta a Hollywood

Il Rick Dalton di Leonardo DiCaprio è un personaggio affascinante e complicato, ricco di sfumature, interpretato magistralmente.

Il Rick Dalton di Leonardo DiCaprio in C'era una volta a Hollywood
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Avevamo lasciato Leonardo DiCaprio nelle gelide montagne del Nord Dakota nei panni di Hugh Glass in Revenant - Redivivo di Alejandro Gonzalez Inarritu. Era dal 2015, infatti, che l'interprete non compariva in una produzione cinematografica, dalla vittoria del suo primo Oscar come Miglior Attore Protagonista per la sua intensa, sofferta e viscerale performance nei panni del cacciatore di pelli sopravvissuto all'attacco di un orso grigio. Dopo quella prova, una pausa è stata necessaria. Si pensava durasse di meno, a dire il vero, ma il ritorno alla recitazione ha atteso ben quattro anni, trascorsi comunque a portare avanti la sua lotta ambientalista contro il climate change, le deforestazioni e l'inquinamento.

Un interprete, DiCaprio, che lavora ormai da un decennio solo con autori di una certa levatura e che non poteva dunque tornare sulle scene in un film qualsiasi, in un titolo che passasse inosservato o di scarso interesse mediatico. Non poteva allora scegliere ruolo migliore di quello di Rick Dalton in C'era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino per mettersi nuovamente in gioco in una parte composta da tante parti più piccole, un attore sul viale del tramonto raccontato sia attraverso l'inizio del suo declino, sia sfruttando le interpretazioni dei suoi caricaturali e buffi personaggi di genere.

Lo specchio della fine

Come spiegavamo nella recensione di C'era una volta a Hollywood e poi nell'analisi dello stile di Tarantino, il nono film dell'autore del Tennessee è molto diverso dalle sue opere precedenti. Non ne ricalca innanzitutto la forma dialogica e narrativa, perché si pone al di sopra di una storia vera e propria, intenzionato com'è ad addentrarsi della ricostruzione storica della Los Angeles del 1969 e all'interno dei meccanismi hollywoodiani dell'epoca. Lo fa attraverso tre giornate nella vita del suo trio di protagonisti: Cliff Booth (Brad Pitt), Sharon Tate (Margot Robbie) e ovviamente Rick Dalton.
Se i primi due sono l'ancora attorno a cui è legata l'impalcatura soprattutto esterna del film, quella fatta di strade, neon, vita reale al di fuori del cinema, pur essendone parte, Rick Dalton è il corpo che Tarantino sceglie per abitare l'interno della Hollywood del '69, girovagare per i set, parlare con i produttori. E ovviamente recitare e addentrarsi a capofitto negli ingranaggi che oliano la vita di un attore, in quanto performer e in quanto star. Il Dalton di DiCaprio diventa in questo modo un pretesto caratteriale su cui poggiarsi per ripercorrere ascesa e declino di un interprete, tra successi e compromessi, pochi grandi traguardi e tanti piccoli fallimenti.

È la figura intorno a cui l'autore edifica la presa di coscienza del cambiamento, della fine della carriera per come si era abituati a conoscerla, riflettendo inoltre sul come scendere a patti con questa inevitabile trasformazione e farne tesoro, sfruttandola per migliorarsi e avviarsi serenamente verso ciò che riserva il futuro. È un personaggio ponderato e calibrato all'eccesso, Rick Dalton, un divo in realtà affezionato al suo pubblico e a suo modo positivo, inquinato però dalla smania di successo e incapace di accettare facilmente la sconfitta, facendosi così del male e affogando i suoi problemi nel vizio.

Elegia dell'attore

È una maschera, questa del personaggio di DiCaprio, che l'interprete indossa magistralmente e con un dinamismo espressivo, linguistico e di temperamento davvero impressionate. È il solito, straordinario e professionale attore che abbiamo imparato ad amare, che in C'era una volta a Hollywood è stato inoltre invitato a portare sul set tutto quel bagaglio culturale e settoriale accumulato negli anni. Nel suo Rick Dalton e nei vari personaggi che questo interpreta è infatti facile riconoscerci diversi tratti di sue altre interpretazioni, pur restando ogni singolo tassello recitativo completamente originale (tranne quando imita Steve McQueen, ma capirete presto il perché) e settato su di un'iperbole di decadenza e metamorfosi nel mondo della settima arte, apertamente in contrasto con la vita da fiaba della star in ascesa che rappresenta invece ad esempio la Sharon Tate di Margot Robbie. Quando Tarantino si sofferma su Rick Dalton cerca di mostrarne ogni sfumatura caratteriale, dall'insofferenza alla dedizione per il lavoro, fino anche al rapporto d'amicizia che lo lega alla controfigura Cliff Booth. La parte che più di tutte impressiona, nel lavoro del regista di Leonardo DiCaprio, è poi quella centrale del film, quasi interamente focalizzata sul girare un paio di scene di una nuova produzione cinematografica.

Se prima entravamo nei personaggi di Rick Dalton attraverso brevi siparietti pensati per ripercorrere le sue gesta filmiche, al cuore di C'era una volta a Hollywood (ripetiamo: nella parte interna al cinema) è pulsante la disamina amorevole, divertita e raffinata che Tarantino fa del mestiere dell'attore, delle sue idiosincrasie e dei valori nascosti nell'anima della professione. È qui che vediamo direttamente in azione Dalton e il suo "metodo", mentre l'autore ne approfitta per giocare in modo elegantemente metacinematografico con il mezzo d'espressione, dipanando lungo tutta la sequenza la sua bravura rabdomantica nel dirigere e tirare fuori il meglio dai suoi attori.
Anche solo per la gestione dei tempi e il gioco interpretativo della recitazione nella recitazione, in una scena complessa specchio stesso del cinema e della bellezza della settima arte, Leonardo DiCaprio meriterebbe di stringere ancora tra le mani l'Oscar al Miglior Attore Protagonista. Pensando poi al finale, sarebbe davvero sacrosanto che lo vincesse, ma questo non spetta a noi deciderlo.

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