Il peggio di M. Night Shyamalan in Glass

Torniamo a parlare del sequel di Unbreakable e Split, approfondendo gli elementi negativi e divisivi del capitolo conclusivo dell'Universo shyamalaniano.

Il peggio di M. Night Shyamalan in Glass
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È ormai imminente l'uscita nelle sale dell'attesissimo Glass di M. Night Shyamalan, terzo e ultimo capitolo dell'Universo Narrativo supereroistico creato dal regista di The Village. Nella nostra recensione (che trovate a questo link) ci siamo approcciati al film con largo respiro, parlando dei pregi e dei difetti in un'analisi contenutistica e stilistica che potesse svelare il progetto nella sua totalità.
Abbiamo poi ripreso Glass in un approfondimento dettagliato degli elementi positivi dell'opera, partendo dall'elegante e virtuosa regia dell'autore - tornato ai fasti formali di Unbreakable - fino alla stupefacente interpretazione di James McAvoy nei panni dell'Orda, tessendone ampiamente le lodi.
Glass non è però un film perfetto, anzi, al netto di una psicanalisi dell'incredibile davvero riuscita, questo terzo capitolo non riesce a mantenere intatte fino alla fine le proprie ambizioni, deludendo in parte le aspettative dei fan e dimostrando come il peggior nemico di M. Night Shyamalan sia Shyamalan stesso. Ma procediamo con ordine.
[ATTENZIONE, IMPORTANTI SPOILER A SEGUIRE]

Il paradigma della fine

Il regista di thriller ormai cult come Signs o Il Sesto Senso è riuscito in Glass a compiere un lavoro di compressione stilistica praticamente totale. Se nella forma ha ritrovato però una vitalità artistica ricercata e persino puntigliosa, nella scrittura ha tirato fuori l'anima più profonda e mutevole della sua autorialità, fatta di cura e anche di eccessi agli antipodi. Fino a metà film, tutta la dicotomia tra bene e male, eroi e cattivi, viene analizzata con cura e messa in discussione nella sua essenza soprannaturale e fumettistica, in un gioco metatestuale funzionale che cattura e sollecita l'interesse dello spettatore, alterando la percezione stessa che si ha dei personaggi e della storia fin lì vissuta.
È un artificio stilistico che fa del dubbio il suo meccanismo centrale, che però funziona quando a oliare gli ingranaggi della raffinata macchina cinematografica e narrativa di Shyamalan è l'incertezza, che scorre liquida nei primi due atti del film, infiltrandosi un po' ovunque. Certo, rende scivolosi diversi passaggi, ma in fin dei conti lascia procedere adeguatamente la storia e ne valorizza il congegno strutturale. Sembra un dispositivo perfetto, Glass: elegante, affascinante, con grandi interpreti a prestare le loro capacità a tre personaggi molto amati. Qualcosa però si rompe, a un certo punto, esattamente quando l'incertezza lascia il posto all'azione e all'ondata incessante di risposte, che si scagliano sulla narrazione e sui protagonisti come un fiume in piena, spazzando via il thriller psicologico e lasciando interamente spazio a un maldestro showdown fatto di rivelazioni poco appetibili e a una conclusione definitiva.

Quando parliamo di conclusione reale, non ci riferiamo al totale annientamento dell'Universo Narrativo shyamalaniano, quanto piuttosto alla storia vera e propria di Kevin Wendell Crumb, David Dunn ed Elijah Price, che in Glass trovano la loro fine: esplicita, incontrovertibile e risolutiva. Il film chiude le porte a un loro ritorno, lasciandoli morire miseramente solo dopo aver rivelato loro l'effettiva esistenza del soprannaturale e spalancando quindi un portone su di un intero futuro di possibilità, questo grazie alla trovata onestamente poco piacevole dell'Agenzia di Controllo dei Super (non il nome ufficiale).
Nella sostanza, proprio sul finale si scopre che tutto l'artificio del dubbio edificato così brillantemente fino a quel momento è forse tra i ribaltamenti shymalaniani meno sobri e più superficiali della sua filmografia, nonostante sia in tutto e per tutto voluto in quel modo, quindi impossibile da bollare come sbagliato.

Molto semplicemente, l'autore tiene fede alla sua visione, forse più efficace su carta che su schermo, risolvendo le storyline dei suoi tre personaggi in modo molto rocambolesco e confuso, persino fin troppo velocizzato, come se non avesse mai pensato ad altre soluzioni se non alla loro morte - quella di Dunn è purtroppo tremenda, proprio nella concezione.
L'uso stesso che l'autore fa di due suoi attori e di alcuni co-protagonisti è inconsistente, al netto della bravura del cast. Dopo una parte iniziale da protagonista, il Sorvegliante di Bruce Willis vive una fase di stanca dopo l'altra, mentre il Mr. Glass di Samuel L. Jackson passa da una finta - e lunga - fase catatonica a una parte da badass sulla sedia a rotelle davvero niente male.

Il problema è che entrambi vengono totalmente eclissati da McAvoy, con cui non c'è davvero partita: la sua presenza scenica è incredibile, la sua performance magistrale. Anche lui, però, subisce il "Trattamento Shyamalan" nel terzo atto, lasciando spazio alla Bestia e alla sua goffa muscolarità, che stufa dopo pochi minuti.
Il fatto che tutto questo accada nei venti giri d'orologio finali di un film che dura 128 minuti, non intacca così profondamente il successo dell'opera, anche perché - torniamo a ripetere - Glass rispetta pedissequamente intenzioni e visione del regista. Quello che fa è invece punire senza alcun tatto le aspettative dei fan, che si ritroveranno profondamente frustrati da questa serie di decisioni che trasudano il peggior shyamalan autore in un'opera confezionata dal miglior shyamalan regista.

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