Il mito e il popolare nella scrittura di Nicola Guaglianone

Una breve analisi della scrittura di Nicola Guaglianone: uno sceneggiatore tra calci e pugni, comicità e supereroi di borgata.

Il mito e il popolare nella scrittura di Nicola Guaglianone
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È difficile scrivere un approfondimento su di uno sceneggiatore quando si parte dal film e non propriamente dalla sceneggiatura stessa. Il film è spesso considerato opera diretta del regista e tutto quello che riguarda la sceneggiatura non c'è dato leggerlo... è come se fosse incapsulata dietro la filiera produttiva. L'unica cosa che il grande pubblico può dedurre sulla sceneggiatura deriva dalla trama. Se il film ha una storia noiosa o appassionante, il più delle volte i meriti o le colpe se le prende proprio il regista, che è il responsabile anche del ritmo, assieme al montatore. D'altro canto gli sceneggiatori, che sono figli degli scrittori, fanno un lavoro che sta a metà tra il tecnico e l'artistico. È un po' come fare il matematico.
Ci sono sceneggiatori che spesso valgono anche dieci registi e il loro segno riescono a lasciarlo sempre e comunque. Uno su tutti? David Mamet (Il verdetto). È poi possibile incontrare anche una categoria di fortunate coppie di sceneggiatori e registi, come ad esempio Paul Schroeder e Martin Scorsese. In Italia abbiamo Nicola Guaglianone e Gabriele Mainetti. Quello che li lega è la passione per il cinema di genere, la cultura popolare, nello specifico quella un po' nerd degli otaku e la commedia all'italiana, il valore del loro lavoro però è già inestimabile. Con questo articolo vogliamo rendere omaggio proprio a Nicola Guaglianone, analizzando le sue migliori sceneggiature sino ad ora.

Gli inizi e la fase dei cortometraggi

Nel 2005 esce la prima collaborazione tra Mainetti e lo sceneggiatore. È un cortometraggio di pochi minuti intitolato Ultima Spiaggia (In the fridge for love). La storia si apre con l'immagine di un uomo intento a masturbarsi sui programmi notturni erotici di una TV regionale. La moglie si accorge del "tradimento" del marito, così lui intimidito si nasconde tra le coperte. Lei, nervosa e disillusa, decide di alzarsi dal letto per scacciare i brutti pensieri. È in cucina, di fronte a lei vi è un frigo. Lo apre, ci entra, e con un mirabolante salto di montaggio finiamo in un mondo alternativo fatto di romantici tramonti su una spiaggia senza nome, accompagnato da musiche di un passato perduto. Ad aspettarla c'è un uomo, è il marito, ma non proprio. È una versione da sogno. Non è la persona alienata e apatica vista poco prima, ma una sorta di fascinoso tombeur de femme degli anni '60.
Già in questa opera prima, sporca e a bassissimo budget, prende forma uno dei canoni della scrittura di Guaglianone: quello di un mondo alternativo, di un sogno che vive ad occhi aperti. Nel 2006 Nicola Guaglianone dirige un cortometraggio intitolato Amici all'Italiana e, ovviamente, se lo scrive. Anche questa è una storia che parte con una coppia in crisi ma, a differenza di un cliché tipicamente italiano (quello del dramma intellettualoide), il conflitto è vissuto con una viva comicità borgatara. Infatti quello che dovrebbe essere nei primi secondi una commedia seriosa si riempe di micro scene comiche. Alessandro Haber si diverte col personaggio di un marito fintamente geloso della moglie. Con la scusa di un ipotetico tradimento l'abbandona sull'uscio di casa e attraversa la città di notte a bordo della sua auto, alla ricerca di un'avventura sessuale. Decide così di caricarsi una prostituta ma finisce per essere fermato dalla polizia. Il mini road movie ambientato tra le vie illuminate dall'arancione dei pali della luce si basa su di una tensione narrativa che viene lasciata sospesa per tutto il corto. Quello che il protagonista non sa è che un ladro è rimasto "incastrato" nel portabagli della sua automobile e, poverino, è costretto a sorbirsi quel viaggio fino al termine della notte.

Elemento di rottura è di nuovo la spiaggia. Alle prime luci dell'alba il protagonista parcheggia di fronte al mare e scende per svuotarsi la vescica. Il corto si conclude con uno scambio di battute tra il ladro, finalmente libero dalla tortura notturna, e il personaggio di Haber. Sono battute semplici, giocate sullo scontro dialettale (da una parte il borgataro, dall'altra una composta cadenza emiliana), ma efficaci. Amici all'Italiana è una piccola lezione di sceneggiatura per cortometraggi a basso budget.
Qualcosa di simile al mondo fantasioso di Ultima Spiaggia succede anche nella testa del protagonista di Basette, altro cortometraggio in coppia con Mainetti. È il 2008 e i due amici decidono di rendere omaggio a due cose che amano in particolar modo: il cinema di Caligari e il mondo proletario e i personaggi di Lupin III. Vedere Valerio Mastrandrea nei panni del ladro giapponese più famoso del mondo fa un po' impressione, ma funziona, così come quelli di Marco Giallini in quelli di Jigen. Gli stanno talmente bene che pagheremmo per rivederglieli addosso.
Basette è stato adorato da pubblico e critica, riempiendosi di complimenti e premi. E basta poco a crederci, come si fa a non amare un Jigen dall'accento romano che fa una battuta su Forte Prenestino? Come nel caso di Ultima Spiaggia esiste il tema del sogno, di un mondo "più bello" del reale. In questo caso è quello del morente protagonista, Antonio, che appunto ripercorre la sua vita come se fosse quella della famosa banda del ladro nipponico.

Tiger Boy

Quella di Lupin è una maschera, come d'altronde è una maschera quella che usa il piccolo protagonista di Tiger Boy per difendersi da un'orrenda minaccia. È il 2011 e sempre con la casa produttrice della Goon Films esce un corto che porta Mainetti e Guaglianone nella classifica dei nomi importanti. Veloce, forte e potente, il cortometraggio vive di tutte le istanze che esploderanno con il primo lungo della coppia. Matteo è un bambino di nemmeno dieci anni che non riesce a sfilarsi di dosso una rozza maschera da Uomo Tigre, fatta ad immagine e somiglianza del suo eroe preferito. È una maschera cucita e fatta a mano, come lo è una maschera ben più famosa nel film successivo. Il tigre non è quello cartoonesco (anche se il riferimento è chiarissimo) ma un wrestler della periferia romana.
"Mattè famme er piacere levate sta maschera. Mannaggia a me e a quando ti ho portato a guardare quegli idioti a Centocelle guarda..." Il cortometraggio si regge su due personaggi: quello del grande eroe, il wrestler intravisto e tenuto sullo sfondo, e uno più piccolo, Matteo. Come in ogni storia del genere, si ha la necessità di un'antagonista, che in questo caso è il male più oscuro travestito da pecora. La trama è semplice, scritta da manuale, ma il cortometraggio è una bomba. A farlo funzionare è quel mix che già era nella sostanza di Basette, ma qui amplificato e tutto sommato rinforzato da un Mainetti in gran forma dietro la macchina da presa. In questi primi cortometraggi i personaggi di Guaglianone sono (anti)eroi in conflitto con il reale, la fuga nel mondo della fantasia (e quindi degli anime) è un modo per salvarsi dalla pazzia; l'altra possibilità è lo scontro.

Il successo: da Jeeg Robot in poi

Il 2015 è il momento di Lo Chiamavano Jeeg-Robot. Clamoroso successo nazionale che anche fuori dai nostri confini non ha fatto brutta figura (" Though not the most sure-footed of superhero entries, as an offbeat perspective on the genre, "They Call Me Jeeg" merits an enthusiast's look.", L.A. Times), il film è la summa di tutto quello che abbiamo detto precedentemente.
C'è il mondo alternativo, quello del sogno; c'è la cultura popolare degli anime come luogo di un rifugio mentale; c'è la Roma borgatara e figlia del cinema di Caligari. Guaglianone riempie il film delle sue battute intimamente legate alla commedia all'italiana e dal sapore dei vecchi Maestri del pulp come Umberto Lenzi. Una su tutte, lo scambio ormai divenuto cult tra Enzo e lo Zingaro: "T'è annata male, Zingaro! Si vòi diventà famoso te conviene torna' a fa' l'imitazione der Grande Fratello!"
"Era Buona Domenica, cojone!"

Quello che ha funzionato e che è piaciuto tantissimo, forse in modo un po' sotterraneo a livello di sensazioni, è il fatto che il protagonista sia un misantropo nel vero senso del termine, bloccato sui porno, sugli automatismi bulimici del cibo, nel modo in cui è incapace di fare l'amore. Ci sono nella scrittura del film cose che rimanderebbero a certo fine cinema americano che appartiene a Todd Solondz o ad Harmony Korine, più che alla Marvel. Il film crea una linea di tematiche e archetipi che ci sono fin da Ultima Spiaggia e che segnano costanti nella scrittura di Guaglianone.

Dopo Jeeg Robot arriva per Nicola Guaglianone il momento di darsi a lungometraggi privati dell'ottima mano registica dell'amico Gabriele. È del 2016 Indivisibili, scritto a quattro mani con Barbara Petronio e con la regia di Edoardo De Angelis. L'idea di una storia di due gemelle siamesi nasce proprio a Nicola, quando legge sul New York Times la storia di una giornalista che descrive la particolare esistenza alla quale due sorelle sono costrette a vivere.
Guaglianone ha da subito l'idea di scrivere un soggetto, dopo attenta documentazione, immaginando come se le due sorelle fossero delle cantanti neomelodiche e ambientando la storia in terra campana. Basta questo per attirare l'attenzione verso una storia nella quale la disabilità delle due sorelle è vista come un segno divino, in una comunità dove la religione ha ancora un peso importante. C'è poca commedia e tanto dramma, ma come ha detto lo stesso Nicola alle telecamere, la scrittura non è data da nessuna urgenza narrativa. C'è di nuovo il mito, elemento fondamentale della sua scrittura. Non è più il mito dell'eroe, ma quello della superstizione nei confronti di individui toccati dalla divinità. "Ci annoiava profondamente quel cinema d'autore italiano legato a dei personaggi sempre in crisi esistenziale.[...] Volevamo unire il cinema americano, l'anime giapponese e il cinema italiano che abbiamo amato, come quello di Caligari. [...]Sono nato come uno scrittore di commedia e allievo di Leo Benvenuti"

Sono le parole con le quali Guaglianone introduce L'ora legale, l'ultimo film di Ficarra e Picone. È praticamente impossibile capire dove ci sia il suo zampino, dato che la sceneggiatura è condivisa con quella dei due registi, Edoardo De Angelis e Fabrizio Testini, ma la sua presenza è coerente con le atmosfere del film. Guaglianone vuole scrivere storie di provincia, che raccontino il lato popolare e ingenuo degli italiani. Non ci sono sofismi complessi ma, come anche ne L'ora legale, delle robuste sceneggiature che fanno funzionare il film come un marchingegno ben oliato.

Guaglianone è oggi uno degli sceneggiatori più desiderati d'Italia e, mentre un po' tutti aspettano l'annuncio di un Jeeg Robot 2, Nicola lavora su nuove commedie. L'anno prossimo uscirà Sono tornato di Luca Miniero, remake di Lui è tornato. Nel film originale si immagina un mondo in cui Adolf Hitler torna in vita, mentre nella rivistazione italiana toccherà a Benito Mussolini. Sempre nel 2018 sarà il turno per Benedetta Follia di e con Carlo Verdone e In Viaggio con Adele di Alessandro Capitani. In Italia abbiamo avuto un'epoca d'oro della sceneggiatura, aperta con il neorealismo e durata fino agli ottanta. Dopo un periodo di crisi, Nicola Guaglianone è una di quelle figure che potrebbero regalarci una nuova ondata di ottimi scrittori per il Cinema.

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