Il Libro della Giungla - Viaggio al centro di Kipling

Re Luigi non esisteva, Bagheera non è altri che un leopardo e Baloo ha giustificatamente sempre sonno: Il Libro della Giungla è un estratto zoologico che ha più di quanto ci aspetteremmo da una favola per bambini.

Il Libro della Giungla - Viaggio al centro di Kipling
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Chi meglio di Rudyard Kipling poteva conoscere l'India? Lo scrittore, Premio Nobel nel 1907, era nato a Bombay e nonostante fosse stato spedito in Inghilterra all'età di 6 anni per essere istruito a dovere, ebbe sempre il cuore volto verso la propria patria. Però per ricreare un'ambientazione come quella de Il Libro della Giungla non basta essere nati in un determinato posto, ma informarsi, scavare in profondità ogni minuzia. Fino a quando, poi, non arriva qualcuno a ritoccare il tuo lavoro, per necessità di narrazione e per esigenze di creatività. Prima Walter Elias Disney, poi Jon Favreau.

Il Libro della Giungla fu l'ultimo film prodotto da Walter Elias Disney in persona, che morì proprio durante la produzione del 19esimo Classico. La sua decisione fu irremovibile e la sua supervisione fu fondamentale: originariamente, infatti, The Jungle Book di Wolfgang Reitherman sarebbe dovuto essere una vera e propria riproposizione dell'opera di Kipling, con toni drammatici e con una vena di tristezza in quella che era la vicenda del giovane Mowgli. Disney, invece, volle una storia per le famiglie, voleva dei personaggi giocolieri: voleva Baloo. L'aglomerato di animali messi a danzare sul palcoscenico dal cineasta di Burbank, che pochi anni prima aveva convinto Pamela Travers a far danzare Mary Poppins con i pinguini, divenne un momento ilare, che era condizionato dalla presenza di veri e propri buffoni della giungla messi in fila, a marciare. Un lavoro allo stesso modo fatto con criterio, che aggiunse qualcosa in più a quanto fatto da Kipling, a partire da Re Luigi.

IL SEGRETO DELL'UOMO: RE LUIGI

King Louie nel 1967 venne rappresentato, per volere di Disney, come un orango, re del popolo delle scimmie. Un contrasto fortissimo con quelle che erano le intenzioni di Kipling, che aveva sottolineato a più riprese che le bandar-log, le scimmie che rapiscono Mowgli, non potevano avere un capo, essendo completamente indisciplinate. Inoltre gli oranghi non hanno mai nemmeno toccato l'India, essendo originari e stazionari dell'Indonesia, tra il Borneo e Sumatra. L'intenzione di Re Luigi è quella di poter completare la propria evoluzione: essendo d'altronde un appartenente della famiglia degli Ominidi, poter apprendere gli usi e i costumi degli uomini è fondamentale, così da poter possedere l'arte del fuoco.

Jon Favreau ha indubbiamente apprezzato la versione di Disney, cantastorie impossibile da non apprezzare per il modo utilizzato nel reinventare molte delle favole e dei racconti contemporanei e non: così Louie è tornato nella Giungla, ma stavolta nelle sembianze di un Gigantopithecus, un'enorme scimmia che un tempo viveva tra la Cina e l'India, ma oramai estinta. Il più giovane fossile ritrovato di quello che è stato Re Luigi risale a 400.000 anni fa e il più grande studioso di tale specie, Russell L. Ciochon, un paleontologo dell'Università dello Iowa, attualmente continua la sua ricerca in quelle che sono le cave dell'India: «Studio i Giganto da anni e ora scopro che stanno diventando delle star del cinema. Non è mai successo che qualcuno si affezionasse così tanto a un animale estinto da tanti anni: solo ai dinosauri». Effettivamente, però, sebbene i Gigantopithecus si possano presentare come dei veri e propri nonni degli oranghi, per la loro simile colorazione del pelo arancione e conformazione fisica, la versione di Favreau è decisamente diversa dal King di Disney: il Luigi che vediamo al cinema è incattivito, lussurioso, bramoso, disposto a tutto pur di ottenere il fiore rosso. Non danza con Baloo, non è caciarone né arruffone, tant'è che Favreau - tanto di cappello - gli impedisce di cantare «I Wanna Be Like You» sostituendola con una più cupa cantilena.

LA BILANCIA DELLA GIUNGLA: BALOO E BAGHEERA

Ad allevare Mogwli dopo il primo periodo di gestazione a opera dei lupi, ci pensano Baloo e Bagheera. Originariamente predisposto all'essere educatore dei piccoli lupi fratelli di Mowgli, Baloo veniva descritto da Kipling come un orso bruno dormiente, una caratterizzazione che si avvicina molto a quella che è la tipologia dell'orso labiato. Anche chiamato orso bradipo, per sottolineare la sua lentezza, Baloo è noto come Melursus ursinus nella nomenclatura esatta: un orso giocoliere, insomma. La tipologia è decisamente inusuale, perché lo sloth bear di Kipling, che vive tra Pakistan, Sri Lanka e India, si nutre di noccioline e miele, che va in contrasto - ma non eccessivamente - con quella che è la natura insettivora dell'orso bradipo, ghiotto di termiti e meno di miele.

Una specie incredibilmente interessante da studiare, soprattutto per il suo comportamento di caccia e per il suo non andare in letargo, diversamente dagli altri orsi e diversamente da quanto Baloo provi a far credere a Mogwlii nel film di Favreau. Anche in tal caso il regista ha voluto riproporre la versione di Disney, distaccandosi da quell'orso saggio e burbero che alleva il giovane orfano fino a condurlo al villaggio degli uomini. Con Baloo quello che interessa è alzare i massi e rintracciare alcune formiche da mangiare. Lo stretto indispensabile, insomma.
Bagheera, invece, è la pantera nera che trova Mowglii e lo affida ai lupi, per come la vide Disney. Per come la vide Kipling, invece, Bagheera riuscì a convincere i lupi a tenere con loro il piccolo, tenendolo il più possibile lontano dal villaggio degli uomini, odiati tanto quanto Shere Khan, la sua nemesi nella Giungla. Per Favreau, ancora, è esattamente l'opposto, dando alla pantera una vena di austerità e di giustezza che è propria del saggio giaguaro nato e cresciuto in cattività: il rispetto nei suoi confronti è alto, perché ha conosciuto l'uomo, lo ha visto crescere e lo conosce, per questo sa come combatterlo. È la massima forma di conoscenza che esiste nella Giungla: è forse il personaggio più completo e affascinante che Kipling avesse collocato nel suo Libro. Nella sostanza, in ogni caso, Bagheera non è altro che una variazione melanica di quello che è un classico giaguaro o leopardo: è come un uomo di colore al cospetto di un uomo caucasico, insomma. Analizzato, infatti, molto da vicino, il fenomeno della pantera viene svelato dalla presenza di alcune macchie nere facilmente confondibili dalla maculazione del pelo. Altresì, anche se meno conosciute, esistono pantere bianche, individui albini del giaguaro o del leopardo. Un animale mistico, una derivazione che nasce da una mutazione di un gene dominante, un'evoluzione inaspettata, che dona ancora più magnificenza e grandezza a Bagheera. Attualmente la specie è stata classificata come quasi a rischio d'estinzione.

LA TENTAZIONE E LE FAUCI: KAA E SHERE KHAN

Chiudiamo con quelli che sono gli antagonisti della vicenda: Shere Khan e Kaa, al quale dedichiamo un forte appunto. Partiamo dalla tigre del Bengala, zoppa e accompagnata da un bieco sciacallo, elementi che Disney volle assolutamente eliminare. Per il Classico, Shere Khan è vigoroso, è potente, è il predatore più temuto della giungla. Non ha nessuno al suo servizio perché vive e caccia da solo, annunciato soltanto dall'arrivo degli avvoltoi che attendono una carcassa sulla quale fiondarsi.

Attualmente esistono poco più di 3000 esemplari in tutto il mondo, con la metà che vive in India. Qualche anno fa la specie rischiò l'estinzione, scendendo al di sotto delle 3000 unità, ma negli ultimi anni il tasso di pericolosità è decisamente diminuito. C'è poco da sottolineare su quelle che sono le riproposizioni filmiche, perché Shere Khan tigre era e tigre è rimasta, con tutti i pro e i contro, decisa a perseguire Mowgli per quello che è: un cucciolo d'uomo, che va ucciso prima che possa diventare un uomo completo. Il suo nome significa "re tigre" in persiano, per volere di Kipling, che perseguì la magnificenza della bestia anche nel suo stesso nome, che rimbomba nella Giungla al sol pensiero.
Chiudiamo quindi con Kaa, un pitone delle rocce indiane. Per Kipling quel serpente non era altro che un amico di Mogwli, un fedele compagno di caccia e di scorribande per la giungla, un personaggio positivo e pregno di saggezza, quasi un fedele supporto a Bagheera. Per Disney, però, non poteva essere così, e nemmeno per Favreau. Veste i panni di secondo antagonista, tenta di iptonizzare il cucciolo d'uomo e mangiarlo, sottraendolo dunque a Shere Khan. La sua lunghezza può arrivare fino a 21 piedi, 6 metri e mezzo, e, incredibilmente, il suo più grande nemico, attualmente, è l'automobile dell'uomo. La specie di Kaa viene spesso confusa con il pitone velenoso, mentre in realtà il pitone delle rocce indiane non è assolutamente velenoso, solo capace di stringere qualsiasi tipo di preda nella sua morsa, avvolgendolo, ma nei confronti di un uomo non sarebbe mai capace di farlo. È ingente, tra l'altro, il commercio della sua pelle, il che lo ha reso una specie ad altissimo rischio d'estinzione: l'India ha per questo, da poco, stabilito un programma di ripopolamento della specie, creando dei centri di allevamento che permettano loro di essere protetti dalla caccia e aiutati nella creazione di nuove generazioni di pitoni. Così da poter ipnotizzare nuovi Mowgli, come Walt Disney volle.

«Il problema con Il Libro della Giungla è che è un romanzo, un libro per l'appunto. Tutti i personaggi di Kipling sono un misto di figure immaginarie e di animali realmente esistiti o esistenti. Per questo è impossibile dire con precisione quale animale appartiene a quale specie». Così disse Kaori Nagai, uno studioso di Kipling all'Università di Kent, autore di tantissime opere riguardanti lo scrittore indiano, nonché a oggi uno dei più accorti studiosi dei racconti dell'autore. Un'opera davvero immensa per quei tempi, quando Kipling intravide in quegli animali la possibilità di parlare, di interagire, di vivere accanto a un uomo, tanti anni prima che lo intuisse Walter Elias Disney, al quale, ancora una volta, un romanziere deve la diffusione e la massificazione del proprio messaggio. A Jon Favreau, invece, l'onore di aver elaborato un live action come pochi, finalmente convincente, finalmente riuscito.

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