Il demonio, il film che ha ispirato L'esorcista di William Friedkin

Nel 1963 Brunello Rondi firma un sottovalutato cult a tema esorcistico, che ha ispirato l'intero filone a venire: riscopriamolo insieme.

Il demonio, il film che ha ispirato L'esorcista di William Friedkin
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Quando si parla di esorcismi sul grande schermo il primo pensiero è sempre rivolto al cult anni '70 diretto da William Friedkin, un film capace di rivoluzionare il concetto del terrore cinematografico e di offrirci scene di paura entrate nell'immaginario comune del grande pubblico.
Non tutti sanno che anche L'esorcista (1973) è in realtà fortemente debitore di un titolo uscito esattamente dieci anni prima e girato nel nostro Paese, ossia il qui oggetto di analisi Il demonio (1963) di Brunello Rondi. Molto spesso si tende a guardare altrove quando già in casa nostra esistono opere seminali che hanno lasciato il segno su futuri registi a venire, colpa da condividere con la scarsa attenzione rivolta dalle emittenti nazionali che lo mettono in palinsesto assai raramente - l'ultima trasmissione televisiva, non certo in prime time, risulta datata 2013.

Un orrore a più facce

Inserito da certe firme critiche nel filone del gotico all'italiana, genere che effettivamente va un po' stretto vista la particolare connotazione di storia e personaggi, Il demonio viene introdotto da una scritta in sovrimpressione che ci informa di come la sceneggiatura sia basata su consolidate ricerche etnologiche che riguardano alcuni paesini del Sud Italia e sia vagamente ispirata a un fatto di cronaca di quel periodo, con una marcata attenzione alle simbologie e i riti che caratterizzavano certe zone meno avanzate della Penisola.

Protagonista del film è la bella Purif, una ragazza che cresce in provincia di Matera all'interno di un contesto agricolo-campagnolo ancora legato alla superstizione. La giovane è follemente innamorata di Antonio, ma questi rifiuta le sue attenzioni ed è prossimo al matrimonio con la fidanzata. Vistasi respinta, Purif decide di lanciare una fattura sull'uomo, solo il primo passo di un'ossessione che continua a crescere anche dopo che Antonio è infine convolato a nozze.
Ma la donna manifesta ben presto altri bizzarri comportamenti che le mettono contro tutti i suoi concittadini, i quali cominciano a essere sempre più convinti che ella sia posseduta dal demonio.

Passato e presente

Riti e tradizioni per affrontare l'ignoto, con la paura che prende il sopravvento sulla razionalità, pur offrendo spunti sovrannaturali che permettono una lettura ambivalente dello strato narrativo.
Il demonio infatti espone senza giudicare, quello è dato alla logica dello spettatore, l'arcaicismo di un microcosmo sociale che potrebbe apparire anni luce lontano dal nostro ma che è ancora ben consolidato soprattutto in certe zone dello stivale, dove il tempo moderno non è ancora comunque riuscito a sradicare certe credenze antiche.

Come abbiamo già riportato in un altro articolo di qualche tempo fa, ossia nella recensione del film Netflix Il giorno del Signore (2020), oltre mezzo milione di italiani si rivolge ancora oggi a un esorcista per liberare da presunte presenze maligne qualcuno dei propri cari.
E non deve perciò stupire come nel tessuto popolare di quasi sessant'anni fa queste pratiche fossero ancora maggiormente diffuse, soprattutto in un contesto rurale come quello nel quale è ambientata la vicenda.

Ciò che interessava particolarmente al regista Brunello Rondi, fratello del critico Gian Luigi e noto soprattutto come sceneggiatore dei capolavori di Federico Fellini - tra cui La dolce vita (1960) e (1963) - era tratteggiare questa umanità fuori dal tempo e dallo spazio, come sottolineato dai numerosi primi piani sui volti di gente normale, comparse non professioniste segnate dal lavoro sulla terra che interpretavano una versione omologa di loro stessi.

Gioco di donna

Ed ecco così una società fondamentalmente patriarcale, dove la donna anche quando palesemente in errore passa per vittima oltre misura.
Le cinghiate del padre, gli stupri subiti prima da un pastore e poi da un sedicente "santone" che garantiva la liberazione dal satanasso - ovviamente lasciati fuori campo visti i tempi, ma non meno incisivi e brutali dal punto di vista psicologico - fanno da apripista alla parte finale che propende lentamente su territori sempre più tragici e crudeli, con l'elemento di troppo, la pecora nera, da ostracizzare o peggio anche per colpe non sue.

Il gallo che sveglia al mattino, le cantilene per scacciare una pioggia, i mali auspici e le usanze per preparare il talamo nuziale.
L'ora e mezza di visione non smette di ricordarci le regole ferme e inattaccabili di un'ambientazione precisamente connotata, con le stesse cerimonie nuziali o funerarie che sono esposte con un insistito sguardo antropologico. Significativo è anche il momento in cui i vari fedeli vanno a esporre in pubblica piazza i propri peccati ed è quasi ironico che le figure più lucide e rassicuranti, dall'aura pseudo-salvifica, siano proprio quelle religiose, con il reverendo e le suore che si applicano per una persona che disdegna profondamente, per volontà sua o meno, proprio i precetti cristiani.

Le influenze della paura

Ma Il demonio, come suggerisce già l'emblematico titolo, non è solo questo.
Si spinge oltre in certi passaggi e funge da punto di partenza non solo per la tormentata resa dei conti tra Padre Merrin e la giovane Regan, bensì per l'intero sottofilone horror a venire.
In tanti ritengono che la prima, leggendaria, spider walk sia stata proprio nel capolavoro con Max von Sydow e Linda Blair, ignari che già qui si assista all'iconica, spaventosa, camminata a quattro zampe.
Avviene in una scena di accesa lotta spirituale tra la povera Purif - e il presunto spirito che la possiede - e il prete locale, con tanto di linguaccia al crocifisso e linguaggio incomprensibile pronunciato con sfida nei confronti dell'uomo di chiesa.
Pochi minuti che lasciano senza fiato in un crescendo di tensione che non ha perso, nonostante lo scorrere del tempo, un briciolo della sua forza suggestiva.

In un'altra sequenza "a tema" il personaggio principale, interpretato dall'affascinante e magnetica Daliah Lavi, attrice e cantante di origini israeliane - vista nello stesso anno nell'altrettanto memorabile La frusta e il corpo (1963) di Mario Bava e futura Bond girl nell'apocrifo James Bond 007 - Casino Royale (1967) - si lancia in una serie di muovenze spasmodiche e angosciose.
Una scena che sarà sicuramente finita nel mirino di Isabelle Adjani e del regista Andrzej Zulawski per girare la furiosa possessione in metropolitana di un altro caposaldo del genere quale Possession (1981).

Solo alcune tra le molteplici pellicole che devono aver preso spunto da questi drammatici, e ancor più macabri giacché ancorati a un in impianto realistico, novanta minuti di visione, che confermano ulteriormente l'importanza di un film che ha ricevuto troppa poca attenzione, sia prima che dopo, rispetto ai suoi reali meriti, prototipo di idee e soluzioni che vi invitiamo a (ri)scoprire.

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