Speciale Il cinema coreano tra festival, remake e cervelli in fuga

Negli ultimi anni il cinema coreano, coi suoi registi e interpreti, sta conquistando Hollywood: vediamo come

Speciale Il cinema coreano tra festival, remake e cervelli in fuga
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Il cinema coreano ha vissuto una crescita esponenziale negli ultimi anni. Stilisticamente e registicamente come pure economicamente la cinematografia della Corea del Sud sta vivendo i suoi anni migliori. Tutto è iniziato nel 1999 alla Mostra del Cinema di Venezia, dove vennero presentate due pellicole, L'isola di Kim Ki-Duk e Lies di Jang Sun-Woo. I due film furono un vero e proprio schiaffo perla critica occidentale, che scoprì una cinematografia nuova e capace di assorbire le influenze dei due vicini più illustri, Cina e Giappone, facendole sue e modificandole secondo la propria estetica e visione culturale. Fu così che la New Wave del cinema coreano riuscì ad uscire dai propri confini guadagnandosi visibilità e riconoscimenti internazionali. Negli anni successi diverse pellicole coreane vengono proiettate e premiate in molti festival internazionali: nel 2002, ad esempio, Oasis di Lee Chang-Dong vince il secondo premio alla Mostra del Cinema di Venezia. L'anno successivo Spring, Summer, Fall, Winter... and Spring di Kim Ki-Duk si aggiudica tutti i premi minori del Festival del Cinema di Locarno mancando soltanto il Pardo d'Oro. Sempre Kim Ki-Duk nel 2004 vince l'Orso d'oro al Festival di Berlino con il suo Samaritan Girl e il leone d'argento a quello di Venezia per Ferro 3, mentre Old Boy di Park Chan-Wook viene proiettato in tutti i maggiori festival del globo arrivando secondo al Festival del Cinema di Cannes e guadagnandosi una distribuzione anche su suolo italiano. Nel 2007, sempre a Cannes, a Jeon Do-Yeon viene consegnato il premio come Miglior Attrice per il film Secret Sunshine di Lee Chang-Dong.
Negli ultimi anni i film coreani si sono guadagnati diversi prestigiosi premi: nel 2010 Poetry di Lee Chang-Dong vince il premio per la Miglior Sceneggiatura al Festival di Cannes mentre HaHaHa di Hong Sang-Soo trionfa nella sezione Un Certain Regard. Nel 2012, Kim Ki-Duk convince tutti del suo rinnovato vigore artistico vincendo finalmente il leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia con il suo Pieta mentre con Moebius, presentato sempre a Venezia l'anno successivo, sconvolge pubblico e critica con una pellicola particolare che unisce in un'amalgama particolare commedia nera e tragedia familiare.

Se ha successo, facciamone un remake

Come si è visto dai numerosi riconoscimenti che questo cinema ha ricevuto nel corso degli anni, possiamo notare come l'interesse occidentale verso queste produzioni cinematografiche sia aumentato sempre più. Vedendo il successo di critica che queste pellicole riuscivano ad ottenere l'industria americana cominciò dunque ad interessarsi fortemente ai film provenienti dalla Corea del Sud. Fioccarono così gli acquisti per i diritti di produzione di remake vari: la Miramax acquistò i diritti per My Wife is a Gangster di Cho Jin-Gyu, mentre due pellicole di Park Chan-Wook vennero comprate: Joint Security Area e Oldboy, che è arrivato sul grande schermo quest'anno, diretto da Spike Lee. A loro volta vennero opzionati Il Mare, My Sassy Girl, The Host e A Tale of Two Sister. Non tutti questi film videro la luce: tra i grandi fallimenti troviamo il remake di The Host di Bong Joon-Ho, il più grande successo di incassi del Box Office coreano, che sarebbe dovuto essere diretto da Gore Verbinsky ma che attualmente si trova in fermo a tempo indefinito. Tra i film che invece riuscirono ad arrivare in sala ricordiamo ancora La casa sul lago del tempo di Alejandro Agresti con Sandra Bullock e Keanu Reeves, remake del film Il Mare di Lee Hyun-Seung e The Uninvited dei Guard Brothers ispirato alla pellicola A Tale of Two Sisters di Kim Jee-Woon.

Volti in fuga. Gli attori coreani ad Hollywood

Il successo del cinema coreano fece sì che l'interesse di Hollywood si allargasse non solo alle idee, ma anche ai suoi protagonisti: gli attori e i registi che hanno messo in scena questi successi di pubblico. Il 22 settembre 2004 sul piccolo schermo americano andò in onda per la prima una delle serie televisive più importanti e discusse degli ultimi anni, Lost di J.J. Abrams, Jeffrey Lieber e Damon Lindelof, che vedeva nel suo cast due attori coreani, Yunjin Kim e Daniel Dae-Kim, che interpretarono per sei stagioni la coppia di amanti Sun e Jin Kwon. La prima aveva alle spalle già sei pellicole di successo, tra cui Shiri, del 1999, uno dei blockbuster di maggior successo degli anni Novanta, mentre Daniel Dae-Kim, seppur di origine coreana, si era trasferito negli Stati Uniti all'età di due anni.
Gli attori coreani piacciono al pubblico ed ecco che due “belli” del cinema locale vengono acquistati dal cinema di Hollywood: sono l'idol del K-Pop, Rain, e l'attore e regista Lee Byung-Hun. Il primo appare per la prima volta in Speed Racer dei Fratelli Wachowski ma diventa protagonista l'anno successivo, il 2009, in Ninja Assassin di James McTeigue (film prodotto dai Wachowski insieme a Joel Silver), in cui interpreta un assassino alla ricerca di vendetta sul suo mentore, interpretato dal famoso artista marziale e attore giapponese Sho Kosugi. Sempre nel 2009 l'attore viene scelto per interpretare il ruolo che fu di Bruce Lee nel remake di I tre dell'operazione drago, Awaken the Dragon di Kurt Sutter, la cui produzione venne però interrotta pochi mesi dopo.
Lee Byung-Hun sbarcò ad Hollywood per interpretare il personaggio di Storm Shadow, il ninja bianco, in G.I. Joe - La nascita dei Cobra di Stephen Sommers, ruolo che ha ripreso nel seguito G.I. Joe - La Vendetta di Jon M. Chu. Passato da ruoli prettamente d'azione ad alcuni più drammatici, come nel recente Masquerade, film d'apertura del Florence Korea Film Fest e sua migliore interpretazione, l'attore si è mosso avanti indietro tra gli Stati Uniti e la Corea del Sud riuscendo ad ottenere successo in entrambe le nazioni. Recentemente lo abbiamo visto anche accanto a Bruce Willis, John Malkovich, Anthony Hopkins ed Helen Mirren nel secondo capitolo della saga di Red, dove interpreta un assassino su commissione che finirà per aiutare il gruppo di “pensionati”. Purtroppo, come spesso accade, anche nel film di Dean Parisot Lee Byung-Hun viene utilizzato per il suo aspetto e per la sua fisicità piuttosto che per la sua capacità attoriale, rimanendo relegato in seconda linea con ben poche battute al suo arco.

"Allarme" a Hollywood: i registi coreani sbarcano oltreoceano

Dal lato della regia invece le ultime stagioni hanno portato sul grande schermo ben tre pellicole dirette da registi coreani e prodotte da major hollywoodiane. Il primo che abbiamo potuto già vedere in sala è stato The Last Stand - L'ultima sfida di Kim Jee-Woon con Arnold Schwarzenegger, divertente (e divertito) ritorno della star dell'action muscolare degli anni Ottanta che però non è riuscito a dare al regista coreano i suoi spazi, limitandolo a fare il lavoro di un qualsiasi mestierante e facendo sorgere diversi dubbi sul perché sia stato chiamato ad Hollywood. Stoker di Park Chan-Wook, morboso ritratto di una famiglia preda di oscuri segreti con Nicole Kidman, Mia Wasikowska e Matthew Goode, è invece riuscito a convincere una buona fetta di critica, senza però riuscire a raggiungere il grande pubblico, con un misero incasso di 9 milioni di dollari a fronte di un investimento iniziale di 12 milioni. Proiettato al Sundance Film Festival, Stoker ha ricevuto recensioni miste; alcune elogiavano lo stile lugubre e particolare del regista di Old Boy mentre altre lo criticavano per gli stessi motivi. Ciononostante appare evidente di come le case di produzione della pellicola siano riuscite ad incasellare al meglio il talento di Park Chan-Wook, lasciandolo libero di esprimere la propria creatività piuttosto che relegarlo al ruolo di prestanome mestierante come accaduto al regista di film come I Saw the Devil e Il Buono, il Matto e il Cattivo, Kim Jee-Woon.
Snowpiercer di Bong Joon-Ho è stato invece l'ultimo film diretto da un regista coreano ad arrivare nelle nostre sale, dopo un periodo di incertezza riguardo alla sua distribuzione internazionale. Coproduzione tra Francia, Stati Uniti e Corea del Sud il film vede un cast di grandi star di Hollywood tra cui Chris Evans, Ed Harris, Tilda Swinton, Jamie Bell, John Hurt e Octavia Spencer accanto ad uno dei più famosi attori coreani, Song Kang-Ho, vero e proprio divo con una fama pari se non superiore ai suoi colleghi d'oltreoceano. Tratto dal fumetto francese del 1983 Le Transperceneige di Rochette(pseudonimo dell'autore Benjamin Legrand) e Jacques Lob, il film è stato accolto estaticamente in giro per il mondo e si è aggiudicato incassi da record in patria, confermando il grandioso talento del suo regista.

La parola ai protagonisti

Durante l'undicesima edizione del Florence Korea Film Fest abbiamo parlato con i diversi ospiti presenti di come il passaggio di attori e registi verso la cinematografia possa influenzare le produzioni coreane. Tra risposte stizzite, ermetiche e politicamente corrette ecco quello che ci hanno raccontato.

Choo Chang-Ming, il regista di Masquerade, è stato il più polemico: “Che [i registi andati in America] ci rimangano - ha dichiarato fin da subito, abbassando il tiro di seguito - Non volevo essere critico e auguro loro grande successo. Prima di tutto perché ci sarà più spazio per altri registi e in secondo luogo perché sono registi che se lo meritano. Credo però che i registi ad Hollywood possano rischiare di essere schiacciati da una macchina produttiva spietata che li userà per poi risputarli.”

Im Sang-Soo, regista di The Taste of Money, ci ha invece svelato un particolare di cui pochi erano a conoscenza: “Prima di girare The Housemaid ho avuto un contratto di produzione con la Francia, aveva già scritto una sceneggiatura ma purtroppo il progetto non è andato in porto. Anche io sono andato a lavorare in Occidente, senza però avere successo. Secondo me molti registi cercano di uscire dal mercato coreano per la piccolezza di quest'ultimo, andare in occidente allarga necessariamente i confini del nostro cinema. Ai posteri il giudizio se questo passaggio sarà positivo o negativo.”

Shin Su-Won, autrice di Pluto e vincitrice della sezione Independent Korea, ha dato una risposta stringata e politicamente corretta: “Credo che questo passaggio verso occidente possa avvicinare le nostre culture e unirle in qualcosa di nuovo.”

L'attrice Jeon Do-Yeon si è invece detta interessata a lavorare in Occidente: “Apprezzo tutti gli attori che sono andati a lavorare in America ma purtroppo non conosco bene l'inglese e sarò pronta solo quando la mia conoscenza della lingua me lo permetterà. Per me il cinema è comunicazione e quindi se non riesco a recitare in inglese non riuscirei a comunicare ciò che voglio.” Ma più che ad Hollywood l'attrice guarda all'Europa e dichiara che "recentemente ho conosciuto Pedro Almodóvar ad una festa e mi piacerebbe molto lavorare con lui."

Il giovane regista di Confession of Murder, Jeong Byung-Jil, si è anche lui dichiarato aperto al cinema di Hollywood: “I problemi di lingua costringono molti attori ad accettare solo ruoli d'azione, ma il mercato asiatico si sta allargando sempre più e questi passaggi oltreoceano sono il risultato di questo globalizzazione cinematografica. Se avessi la fortuna di andare ad Hollywood mi piacerebbe molto lavorare con Christian Bale, è uno dei miei attori preferiti.”

Kim Dae-Sung, ospite della sezione K-Eros con il suo The Concubine, ha infine parlato dell'erotismo in Occidente: “Non andrei a lavorare ad Hollywood poiché il mio cinema è fortemente ancorato nella società coreana. Voglio parlare dei cambiamenti che sono in atto e uso l'erotismo per poterne parlare più liberamente senza fare film dichiaratamente politici.”

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