I mondi magici di Guillermo del Toro, da Hellboy a Pacific Rim

Terrorizzano, sconcertano, commuovono. Sono i mondi fantastici e visionari del regista di The Shape of Water, qui selezionati e riuniti nella nostra Top 5.

I mondi magici di Guillermo del Toro, da Hellboy a Pacific Rim
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Guardando indietro, esplorando quei territori fantastici e spaventosi con cui, da oltre un ventennio, Guillermo del Toro ci stupisce e terrorizza, diventa chiaro come, a sorprenderci di più, non sia tanto la capacità del regista di creare dal nulla mondi completamente nuovi e fantasiosi, Terre di Mezzo del tutto autonome rispetto al nostro presente. Piuttosto, la sua forza sta nell'abilità di mischiare queste suggestioni fantastiche e orrorifiche con la nostra quotidianità, confondendo generi, temi e motivi differenti in un universo dove tutto diventa possibile. Mentre The Shape of Water è appena sbarcato al cinema - tra mostri dal cuore d'oro e brutture di un passato che, inevitabilmente, ci appartiene - diamo allora un breve sguardo ai mondi visionari del regista messicano, in una ideale Top 5 che ne racchiude la poetica, gli incubi e le ossessioni.

La spina del diavolo

Forse non si può parlare propriamente di mondi fantastici di fronte a questa ghost story arida e assolata ambientata in un orfanotrofio spagnolo durante la guerra civile. Eppure è questo, più che i precedenti Cronos e Mimic, il vero banco di prova per la tenuta della poetica visionaria di del Toro, l'emblema stesso di un terrore indicibile, sussurrato e agghiacciante che va di pari passo con la mostruosità del quotidiano, di un presente destinato, con i suoi crimini e la sua sete di sangue, a tornare ciclicamente. E a non lasciarci più.

Il labirinto del fauno

Del Toro riflette sul senso stesso del fantastico e su come questo si possa riverberare nella Storia (The Shape of Water viene dritto da qui), tracciando un antidoto a un mondo folle, violento e fascista. Lo fa mettendo in scena le fantasticherie di un Little Nemo al femminile, colorando con toni cupi una ricerca che è, insieme, fuga e romanzo di formazione. Quello che resta impresso sono i discorsi ambigui e melliflui del fauno al chiaro di luna e le creature cieche e senza volto che abitano gli incubi più che mai concreti di una ragazzina prigioniera del suo tempo.

Hellboy: The Golden Army

Basterebbe la sequenza animata di apertura, prologo di una leggenda raccontata a un piccolo, estasiato Hellboy, per catturarci con lo stesso stupore del suo protagonista. Perché difficilmente, in una grande produzione, si può vedere un autore godere di tanta libertà, dando sfogo a una creatività e a un'immaginazione - tra elfi, goblin e la Morte stessa (!) - che pare davvero inesauribile. A fare il resto ci pensano un Ron Perlman (attore feticcio di del Toro dai tempi di Cronos) strafottente e demoniaco e una storia d'amore che ricorda da lontano (ma nemmeno troppo) quella tra Elisa e il suo mostro marino. Chi ha detto che i cinecomics sono tutti uguali?

Pacific Rim

A pensarci bene, benché non sia un fantasy, l'unico sci-fi del maestro messicano è anche l'unico mondo fantastico ricostruito da zero. Nessun realismo magico o contaminazioni con una realtà a noi famigliare per il mondo apocalittico di Charlie Hunnam e Idris Elba, nessuna remora per un film consapevolmente eccessivo e rutilante, in grado di coniugare l'estetica di un blockbuster senza pretese su Jaeger e Kaiju, con il fervore inesauribile di un tocco autoriale presente in ogni frammento, anfratto o sobborgo di quel mondo brulicante e al collasso, in ogni declinazione di una poetica inscalfibile e debordante.

Crimson Peak

Trasudano di influenze gotiche e letterarie, e non solo di argilla mista a sangue, i muri dell'oscura magione di Crimson Peak. Un influsso malsano che richiama l'immancabile Poe della Caduta della casa degli Usher e si perde nei deliri dell'amato Lovecraft, fino ad autocitarsi nella resa delle sue presenze fantasmatiche. Il tutto racchiuso da un melodramma che preferisce l'intreccio e l'attenzione alle sue star (Tom Hiddleston, Jessica Chastain, Mia Wasikowska) piuttosto che la sua consueta forza spiazzante e visionaria, ma che, nonostante tutto, conserva il fascino evocativo delle sue atmosfere mefitiche, dei suoi luoghi e dei suoi fantasmi, della forza di uno sguardo e di una messinscena sempre e comunque riconoscibili.

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