Speciale I Diari del Vaporetto - Parte IV

Bella, brava ed intelligente, Charlize Theron arriva in Laguna

Speciale I Diari del Vaporetto - Parte IV
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La pianura brucia, in America come in Israele

Finalmente la gara entra nel vivo. Dopo Kitano, ieri è stata la giornata di Charlize Theron e del suo The Burning Plain (la pianura che brucia) in cui è diretta da Guillermo Arriaga, reinventatosi regista dopo la burrascosa fine del suo sodalizio artistico con Inarritu per il quale aveva curato le sceneggiature di Amores Perros e 21 Grammi. La rivendicazione autoriale di Arriaga è potente e sicuramente destinata a dare altri frutti in futuro ma non esente da punti deboli. Tutta la vicenda ruota intorno a cinque storie lontane fra loro nel tempo e nello spazio, ma tutte legate da un minimo comune denominatore, l’assoluto protagonismo femminile. Arriaga pare voler continuare la Trilogia della Morte che aveva costruito con Inarritu arricchendola di un quarto capitolo questa volta però tutto al femminile. Abbiamo così una Madre, interpretata da Kim Basinger che cerca di rimettere insieme il suo rapporto con la figlia (la Theron) e contemporaneamente assistiamo alla storia d’amore estrema di due adolescenti che esplorano i più estremi meandri della loro passione. Pur emozionando quanto basta, grazie soprattutto all’abilità del regista di intrecciare fra loro le varie sotto trame, The Burning Plain non ci ha convinti completamente, il compitino è stato fatto bene, ma resta comunque un compitino. Spostandoci nella nostra amata sezione Orizzonti invece anche oggi la qualità non è mancata, con Z32, un film israeliano diretto da Avi Mograbi e dedicato ai soldati che vivono nelle Colonie della zona di Gaza. Costruito come un reportage televisivo surreale, Z32 offre un punto di vista completamente inedito sulla questione israelo palestinese affidandosi al racconto di due militari che hanno partecipato ad un’operazione punitiva in cui sono rimasti uccisi sei poliziotti palestinesi. Giocando sugli scambi d’identità ed usando alcune soluzioni visive assolutamente interessanti (come il mascheramento dei volti che cambia ogni volta, lasciando scoperti solo occhi e bocca) Mograbi fa sorridere e riflettere non tirandosi indietro neppure quando deve affrontare il sempre spinoso tema del rapporto fra cinema e società. C’è più arroganza nello sparare ad un bimbo di sette anni o nel credere di poter dare giudizi morali dall’alto della propria posizione da intellettuale di grido? Secondo il regista le due posizioni sono assolutamente sovrapponibili ed ognuna di esse implica una diversa elaborazione del trauma. Vediamo così il soldato che confidandosi con la fidanzata cerca un’espiazione che solo la sua coscienza può dargli e dall’altra parte abbiamo il regista che si mette in gioco davanti alla cinepresa in una sorta di musical demenziale alle cui canzoni affida tutte le sue domande inespresse.

Revisionismo in salsa italiota

A quarant’anni esatti dal mit(olog)ico ’68, la Mostra di Venezia non poteva esimersi dal celebrare in qualche modo la ricorrenza. Credevamo di aver scampato il peggio quando ci è stato detto che la retrospettiva di quest’anno non sarebbe stata dedicata al cinema della controcultura, purtroppo però non è stato così. Al cospetto del Lettino (nel senso di figlio di Gianni Letta) e di Carlo Rossella, che con il suo completino bianco assomiglia sempre di più a Carla Fracci è stato infatti presentato il documentario Venezia 68, prodotto da Medusa e dedicato alla contestazione che investì la XXIX Mostra portando alla nascita delle Giornate del Cinema Italiano e al Festival non competitivo dei primi anni settanta. Tramite una serie di interviste a Gian Luigi Rondi, Zavattini ed altri protagonisti di quegli anni, casualmente tutti quelli che hanno cambiato sponda (politica ma anche culturale), il documentario cerca in maniera abbastanza subdola di completare l’operazione revisionista in atto in questo periodo che mira a distruggere il ’68 e le sue conquiste ritenute ormai obsolete, quando non dannose. Il lavoro dei due registi, perennemente sospeso fra la marchetta e la disinformazione, dunque, più che un film da concorso, appare come un’enorme spot elettorale per una certa parte politica. Che casualmente è la stessa del proprietario di Medusa.
Il pubblico in sala è rimasto freddino, nonostante i flebili applausi e qualche sporadico urlo di approvazione, segno che i frequentatori dei festival non sono ancora assimilabili agli spettatori di Studio Aperto, pubblico al quale Venezia 68 evidentemente si rivolge.
Tornando a parlare di Cinema vero, ci fa piacere segnalare il ritorno alla regia prima di tutto ma anche al Lido di Claire Denis, che quest’anno presenta fuori concorso il suo ultimo lavoro, 35 shots of Rum. Il film, ambientato nelle periferie nord di Parigi racconta il delicato rapporto fra un padre ormai cinquantenne ed una figlia che non vuole diventare adulta; intorno a loro si muovono tutta una serie di personaggi che in un modo o nell’altro entreranno a far parte delle loro vite. La regia della Denis è, come sempre, molto attenta alla ricostruzione delle atmosfere più intime, raccogliendo la lezione di Olmi secondo cui nessuna storia è troppo piccola per essere raccontata. Nonostante l’elegantissima fotografia e un cast ben affiatato, 35 a tratti risulta fin troppo lento e con troppi punti oscuri, spiegati poco e male nelle sequenze finali che, in definitiva, lasciano lo spettatore con la sensazione di aver visto una bella confezione ma senza niente dentro.

Da stasera, infine, è cominciata la passerella dell’Italia con il primo film nostrano presentato in concorso, Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek con Isabella Ferrari e Valerio Mastrandrea dedicato alla storia di un padre di famiglia che compie una strage cruenta e senza apparenti spiegazioni. Inoltre è arrivato in Laguna un altro grande amico di Venezia, nonché beniamino del pubblico italiano, il geniale Hayao Myazaky che, dopo il Leone alla carriera di qualche anno fa, torna in concorso con Gare no ue no Ponyo, la sua ultima fatica d’animazione.