Speciale Hawkeye - Hakuna Matata

Il mito e gli aneddoti dietro ad uno dei più grandi successi della storia dell'animazione

Speciale Hawkeye - Hakuna Matata
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L'11 novembre, dopo il clamoroso successo riscosso negli Stati Uniti, Il Re Leone è tornato anche nei cinema italiani, per emozionare ancora una volta grandi e piccini. Il film d'animazione che ha incassato di più nella storia del cinema (dietro a Toy Story 3) è ora a portata...di occhialini 3D, in una nuova, straordinaria versione stereoscopica che aggiunge spettacolare profondità all'immagine senza nulla togliere agli stupendi disegni originali. Ascoltare la meravigliosa colonna sonora -vincitrice di due premi Oscar e rimasterizzata per l'occasione secondo le nuove tecnologie-, inoltre, non può che emozionare come la prima volta. Un'occasione unica, per chi lo ha visto all'epoca, lo ha rivisto mille volte in home video e ora lo vuole riassaporare, magari insieme a chi era troppo piccolo, o addirittura ancora non era nato, nel 1994, anno della sua uscita originale.
Personalmente, quello che mi ha fatto impressione è stato anche riascoltare, con tutti i crismi, il magistrale doppiaggio dell'epoca, ricco di caratteristi eccezionali (Tullio Solenghi, Tonino Accolla) e voci di artisti indimenticabili e purtroppo ora scomparsi, come Vittorio Gassman e Roberto Del Giudice.
Vista l'importanza della pellicola, ci è parso giusto dedicarle uno speciale Hawkeye, scritto per l'occasione da uno dei più importanti esperti di animazione disneyana che abbiamo in Italia: Andrea Giglio.
Lascio la parola a lui, buona lettura e... hakuna matata!
Testi di Andrea Giglio

La storia della Disney è indissolubilmente legata al mondo degli animali: fin dall’inizio topi, paperi e altre specie animate hanno popolato i prodotti dello studio. Sempre alla ricerca di un maggior realismo, nel 1942 Walt Disney decise di portare sullo schermo la vicenda del cerbiatto Bambi. Il risultato fu talmente realistico per l’epoca che molti si chiesero se fosse stato veramente necessario realizzarlo in animazione. Negli anni ’50, volendo testare nuovi terreni, Disney diede il via alla serie di lungometraggi dal vero “La Natura e le sue Meraviglie”, filmati da Al e Emma Milotte, dando origine ad un nuovo genere: il documentario naturalistico.
Ma il maggior successo legato al mondo animale per la Disney rimane il Re Leone, The Lion King in originale, ad oggi uno dei migliori prodotti dell’animazione statunitense. Per capire l’importanza di questo film basti pensare che, solo negli Stati Uniti, la pellicola incassò 312 milioni di dollari alla sua prima uscita in sala, battendo ogni record precedente.
Per capire questo fenomeno occorre andare indietro di 10 anni circa rispetto alla prima cinematografica del film, per arrivare al 1984. Quello fu un anno estremamente critico per lo Studio Disney, che tentò di essere lottizzato e spartito tra diversi investitori. A salvare le sorti dello Studio scese in campo il nipote di Walt, Roy, e venne deciso di eleggere Michael Eisner e Frank Wells, rispettivamente, alle cariche di Chairman e President della Disney.

Per tutto l’arco degli anni ’80 all’Istituto Cal Arts in California -fondato dallo stesso Walt per accrescere le capacità artistiche del suo staff- avevano iniziato la loro carriera artistica grandissimi nomi dell’animazione e del cinema come Tim Burton e John lasseter. Sotto la guida di Eisner e di Wells questi talenti iniziarono a dare il loro meglio fino ad arrivare, alla fine del decennio, ai risultati sorprendenti di “Chi ha incastrato Roger Rabbit?” e “La Sirenetta”.
Nel 1989 tra i diversi prodotti da realizzare si iniziò a progettare un documentario naturalistico, in stile National Geographic, chiamato “King of the Jungle”. Il produttore Don Hahn ricorda che sin dall’inizio il film venne considerato un B movie e i maggiori artisti ed animatori dello studio non lo presero seriamente in considerazione. Ma coloro che si appassionarono al progetto ci credettero fino in fondo, considerandolo qualcosa di speciale.
Nel 1991 il gruppo creativo al quale il progetto venne affidato partì per un viaggio di due settimane in Kenya, a bordo di una Land Rover. Al ritorno dal viaggio gli artisti si radunarono in una stanza dello Studio per due giorni di fila, parlando di tutto quello che il viaggio in Africa gli aveva trasmesso. Lo spirito di gruppo si solidificò ed insieme iniziarono a creare qualcosa che nessuno avrebbe potuto realizzare singolarmente.
Per quanto riguarda lo sviluppo della storia, gli artisti si rifecero ai racconti biblici di Giuseppe o del figliol prodigo, toccarono Amleto, presero spunto da “Bambi” e da “Kimba, il Leone Bianco” di Osama Tezuka (anche se Disney si è sempre ostinata a non riconoscere quest’ultima, palese, fonte). Dopo un primissimo trattamento di Thomas Disch, nel 1991 entrò in scena, soppiantando Disch, Roger Allers, seguito sei mesi dopo dal co-regista Robert Minkoff.

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Creando un continente

Uno dei primi passi nella realizzazione de “Il Re Leone” fu quello di trovare uno stile per il film. Non fu un’impresa facile capire se l’approccio dovesse essere stilizzato o naturalistico. L’art director Andy Gaskill ricorda che venne deciso di prendere ispirazione dai lavori di David Lean e alle sue riprese di vastissimi territori mostrate in “Lawrence D’Arabia”, “Il Dottor Živago” e “Il ponte sul fiume Kwai”. Le linee orizzontali della Savana vennero pronunciate ancora di più grazie a giganteschi alberi d’acacia sparsi nel deserto. Questo permise di adottare uno stile naturalistico, ma leggermente più epico, ispirato, per quanto riguarda le scelte cromatiche, a quanto gli artisti avevano visto in Africa. Un altro artista che ispirò lo stile grafico fu NC Wyeth, soprattutto per i tratti poderosi dei suoi dipinti, i suoi soggetti virili, il suo forte senso di compositing e la sua abilità di far nascere le opere da forti sentimenti interiori.
La precedente scelta di realizzare scene stilizzate ispirate all’arte africana venne mantenuta durante i brani “Hakuna Matata”, e soprattutto “Voglio diventar presto un re”, in cui il production designer Chris Sanders stilizzò nel numero tutti gli animali che ballavano, e marcò un forte stacco stilistico con il resto del film.

Le mille voci delle Terre del Branco

È del 1967 è un altro film con meravigliosi animali: Il Libro della Giungla. L’esperienza di quel film fu fondamentale alla realizzazione de Il Re Leone. Fu allora che Walt Disney decise di dare al suo cast di personaggi voci famose come Louis Prima, George Sanders e Phil Harris, e trasferire qualche loro tratto somatico nei personaggi animati. Notando come l’importanza cruciale di questa scelta avesse contribuito al successo de Il Libro della Giungla, gli artisti del “Il Re Leone” decisero di fare altrettanto nel loro film. A doppiare Mufasa venne chiamato James Earl Jones, “dotato”, secondo i registi, “di una voce così bassa che qualche volta pare ruggisca” (in Italia sarà Vittorio Gassman a prestargli la voce, in uno dei suoi ultimi ruoli cinematografici), per contrastare la potenza della sua voce e conferire il dovuto tono teatrale venne chiamato, per dar voce al malvagio Scar, Jeremy Irons (splendidamente doppiato in italiano da Tullio Solenghi). Gli attori comici Nathan Lane ed Ernie Sabella prestarono voce a Timon e Pumbaa, mentre Matthew Brotheric interpretò Simba, il leone protagonista, nella sua versione adulta, mentre Jonathan Taylor Thomas doppiò Simba da cucciolo. Moira Kelly e Niketa Calame doppiarono Nala rispettivamente adulta e giovane, mentre Rowan Atkinson venne chiamato a dar voce a Zazu, il noioso valletto di Mufasa. Completarono il cast Robert Guillaume (il babbuino Rafiki), Madge Sinclair (la madre di Simba, Sarabi) e Woopie Goldberg, Cheech Matin e Jim Cummings (le iene Shenzi, Banzai ed Ed). I singoli attori vennero ripresi mentre davano voce ai singoli personaggi e quei video divennero essenziali per trasferire alcuni tratti della loro mimica facciale nelle controparti animate.
Allo scopo di riuscire a dare il massimo realismo ai singoli personaggi, proprio come avvenne nel 1942 con Bambi, leoni ed altri animali vennero accompagnati allo Studio per studiarne l’anatomia e il movimento.

Animando il tutto

Ogni singolo personaggio venne affidato ad un supervisore all’animazione specifico, in modo che ognuno avesse il suo stile caratteristico. I singoli artisti cercarono di stabilire un equilibrio tra il realismo dell’anatomia e dei movimenti corporei e una stilizzazione che li rendesse attraenti, espressivi e, almeno nei termini dell’espressione facciale, umani. Toni Fucile, animatore di Mufasa, rese più poderose le zampe anteriori, distinguendolo dagli altri leoni e facendone il Re per antonomasia. Già famoso per l’animazione di personaggi quali Roger Rabbit, Re Tritone ne “La Sirenetta”, Gaston ne “La Bella e la Bestia” e Jafar in “Aladdin”, Andreas Deja sfruttò al massimo la recitazione teatrale di Jeremy Irons per ricreare in Scar un personaggio raffinato, raggiratore, intrigante e, a suo dire, il più cattivo tra quelli da lui creati. Dopo essere stato supervisore all’animazione di Ariel, Belle e Jasmine, Mark Henn si misurò su un nuovo tipo di personaggio con Simba. Il compito di animare il cucciolo che si avvicina al corpo morto del padre fu tra i compiti più difficili che un artista si sia mai trovato ad affrontare nella realizzazione di un lungometraggio animato. Henn amplificò l’impatto emotivo della scena ripetendo una scena già vista precedentemente nella pellicola: all’inizio del film Simba si era avvicinato al padre svegliandolo per andare a vedere il regno all’alba, ora Simba si avvicina al padre, ma questa volta il padre non si muove. La scena fu anche un simbolo di quanti passi avanti erano stati fatti, e di quando la società fosse cambiata, dai tempi di Bambi, in cui la morte della madre del protagonista avveniva fuori scena. C’è un altro tratto che accomuna la produzione di “Bambi” a quella de “Il Re Leone”: fino al 1942 il ruolo delle donne nella produzione dei film animati era relegato al settore dell’inchiostrazione e colorazione del personaggi. In Bambi invece, per la prima volta ad una donna venne permesso di animare una sequenza di cani feroci che inseguivano il cervo protagonista e la sua compagna. Allo stesso modo a Ellen Woodbury venne affidata la supervisione all’animazione di Zazu, un personaggio destinato, per ruolo e dimensioni, ad essere succube di tutti gli altri, ma proprio per questo ad avere una personalità più spiccata: il volo di Zazu durante la sequenza de “Il Cerchio della Vita” resta una testimonianza della maestria e del massiccio studio anatomico fatto dalla Woodbury. Altro problema da tenere in considerazione fu quello delle proporzioni tra i diversi personaggi. La diversa dimensione dei personaggi di Timon e Pumbaa ad esempio sarebbe potuta divenire un potenziale ostacolo; gli artisti risolsero la questione facendo in modo che la testa e il muso del facocero diventassero un palco naturale per Timon, libero di muoversi sopra di lui e di rubare la scena grazie a sapienti primi piani. Sempre parlando di Timon e Pumbaa, c’è da segnalare che i rispettivi supervisori all’animazione, gli artisti Tony Bancroft e Michael Surrey, si presero molte libertà nella loro caratterizzazione, basata su gag e una comicità più scurrile, che mai prima del 1994 si era vista in Disney. Questa libertà venne resa ancora più palese quando gli attori che prestarono voce ai due personaggi fecero coming out alla prima del film.

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L’aiuto del computer

Da quando, nel 1986, Basil, l'investigatopo aveva introdotto l’uso della computer grafica nei lungometraggi d’animazione, consentendo agli artisti di far muovere gli ingranaggi del Big Ben, i passi in avanti non erano stati pochi. Il sistema CAPS (Computer Assisted Production System) era stato utilizzato per colorare digitalmente i personaggi, soppiantando totalmente il metodo precedente di inchiostrazione, basato sulla stampa xerografica dei personaggi su fogli di acetato, introdotta nel 1961, con La Carica dei 101, e usata fino al 1989, per La Sirenetta. Grazie all’aiuto di studi allora neonati come la Pixar, la Disney aveva abituato il pubblico a scene mai viste prima, basti pensare alla sala da ballo vista ne “La Bella e la Bestia” o al Tappeto e alla Dea Tigre di “Aladdin”. “Il Re Leone” portò avanti la tendenza all’uso del computer per portare sullo schermo sequenze mozzafiato. Tra le diverse sequenze, una per la quale il computer si dimostrò di fondamentale importanza fu quella della carica degli gnu. L’animatore Ruben Aquino disegnò il modello di uno gnu e animò tradizionalmente una sequenza nella quale lo stesso correva. L’artista digitale ricreò la scena creando un modello tridimensionale dell’animale in uno spazio virtuale. Il modello dello gnu venne poi fatto correre su un fondale dipinto a mano per studiarne l’illuminazione. Successivamente lo stesso modello venne duplicato fino a creare due branchi d’animali, che dovevano scontrarsi uno con l’altro senza che i corpi delle singole bestie si intersecassero uno con l’altro. Ogni singolo gnu venne poi colorato differentemente, in modo da permettere ai registi di individuarli uno per uno e cambiare i loro movimenti, qualora l’avessero voluto. Infine i due branchi di gnu vennero fatti correre giù per un precipizio, colorati di grigio ed integrati alla scena finale. Il risultato fu sorprendente, e reso ancora più impressionante dai rumori dei loro, innumerevoli, zoccoli scalpitanti.

Pride (and Ethnic) Rock

Due sono i nomi a cui si deve la rinascita musicale in Disney: il compositore Alan Menken e il paroliere Howard Asman. Dopo il successo de “La piccola bottega degli orrori” i due realizzarono le colonne sonora de “La Sirenetta”, “La Bella e la Bestia” ed “Aladdin” riscuotendo un grandissimo successo sia di pubblico che di critica, vincendo nel frattempo numerosi Oscar. Purtroppo Howard Ashman morì di AIDS nel 1991, poco prima che “La Bella e la Bestia” raggiungesse il grande schermo. A completare la colonna sonora di “Aladdin”, rimasta incompleta dopo la morte di Ashman, venne chiamato Tim Rice, che già aveva scritto i testi per i musical di Andrew Lloyd Webber, come ad esempio “Joseph and the Amazing Technicolor Dreamcoat”, “Evita” e “Jesus Christ Superstar”. L’ingresso di Rice nella Disney venne coronato dal successo de “Il Mondo è Mio”.

Per quanto possa sembrare assurdo, Il Re Leone non nasce come un musical: quando ancora si chiamava “King of the Jungle” ed era strutturato come un documentario, la musica assumeva un ruolo estremamente marginale. Dopo tre film che molto dovevano all’influsso dei musical di Broadway si capì che era il momento di cambiare rotta, ma era certo che la musica sarebbe stato un fattore strategico per il successo della pellicola. Il produttore esecutivo Thomas Shumacher chiese a Tim Rice se il film potesse diventare un musical, Rice rispose che ogni cosa poteva diventare un musical. Ricordando la sua collaborazione a “Il Re Leone”, Rice afferma sempre che il suo più grande contributo al film fu quello di proporre il nome di Elton John. Rice disse però che che non sarebbe stato facile convincerlo. Diversamente dalle sue aspettative invece John accettò immediatamente, convinto di poter scrivere quanto di meglio fosse mai stato sentito in un film Disney. Oltre ad essere un’incredibile artista rock, John dimostrò di essere anche un incredibile narratore. “Il Re Leone” arrivò nella sua vita in un momento della carriera in cui l'artista britannico aveva bisogno di nuovi stimoli, qualcosa di differente, da prendere come una sfida. Così come Howard Ashman prima di lui, Elton John non venne chiamato allo studio solo per scrivere le canzoni, ma fu un elemento fondamentale nella creazione della trama.
Il compito della composizione dello score venne affidata a Mark Mancina e ad Hans Zimmer. Nel 1994 Zimmer aveva già composto le colonne sonore di “Rain Man”, “Driving Miss Daisy”, “Thelma e Louise” e “La Forza del Singolo”. Lavorando a quest’ultimo film Zimmer aveva fatto la conoscenza di un artista africano, Lebo M, ed insieme avevano composto una colonna sonora di sole percussioni e cori Zulu. Lebo M però aveva cambiato professione ed era ora un parcheggiatore di automobili: Zimmer non sapeva dove andarlo a cercare. Almeno finché una notte non fu lo stesso Lebo M a presentarsi alla sua porta. L’impatto di Lebo M su “Il Re Leone” fu forse il più significativo per il film stesso: non era un cantante americano che cantava canzoni sull’Africa, ma era un’artista africano, che dirigeva un coro di cantanti africani, lasciato libero di cogliere ed esprimere l’essenza del proprio continente e di dargli voce. Basti pensare che Il Re Leone, sebbene sia stato tradotto in trentadue lingue, inizia in tutte le versioni con lo stesso Lebo M che canta in africano.
Hans Zimmer trovò nella composizione de “Il Re Leone” il modo di raccontare anche la propria biografia: rimasto orfano del padre a sei anni, volle con la sua composizione musicale iniziare a far porre ai bambini interrogativi sulla morte in modo da suscitare con le sue melodie forti emozioni, evitando però di rendere terrificante quell’esperienza.
La musica scartata dal film fu talmente tanta che la Disney decise di incidere un CD con le corali di Lebo M che non erano state inserite, per motivi di spazio, nella pellicola. Il CD venne chiamato “Rhytm of the Pride Lands” e molte traccie rimasero in africano. Per il CD Mark Mancina compose la canzone “He Lives in You”.

Fine di un film, inizio di un mito

Nessuno si sarebbe immaginato il successo che avrebbe avuto il Re Leone. Come usanza per la Disney, il film uscì in America nell’estate 1994, riscuotendo un immediato successo clamoroso. In tutto il mondo il film guadagnò 898,403,776$, un record per un film d’animazione. Purtroppo l’apice del successo della Disney coincise con l’inizio del suo declino. A capo dello Studio c’erano tre persone dal fortissimo ego: il CEO Michael Eisner, il Chairman Jeffrey Katzemberg, che prese parte alla Walt Disney Company per richiesta dello stesso Eisner, che gli affidò la supervisione della Motion Picture Division, e il nipote di Walt Disney, Roy, Vice Presidente del Consiglio D’Amministrazione e capo del reparto animazione. A mantenere l’equilibrio tra i tre c’era il Direttore Generale Frank Wells, che patito di alpinismo, morì per un guasto al suo elicottero il 3 Aprile 1994. Katzemberg puntava ora al posto occupato da Wells, rimasto vacante. Quando Eisner lo diede ad un’altra persona, Katzemberg fu costretto a rassegnare le dimissioni. Nello stesso anno Katzemberg avrebbe co-fondato, con Steven Spielberg e David Geffen, la Dreamworks SKG e sarebbe stato a capo di un altro kolossal: “Il Principe D’Egitto”. L’anno successivo la Pixar avrebbe inaugurato, con Toy Story, un modo innovativo di fare animazione: un film interamente realizzato al computer, che, in una delle sequenze finali, citava la canzone “Hakuna Matata”, segnando quasi un passaggio del testimone.
Anche se la storia di un film era finita, quella di un mito era iniziata. Nel 1994 la Disney aveva portato a Broadway una versione teatrale de La Bella e la Bestia. Per il prossimo adattamento teatrale la Disney scelse il Re Leone, scelta vista ancora una volta con scetticismo perché si ritenne impossibile portare dei personaggi a quattro zampe su un palco di Broadway. L’approccio della regista Julie Taymor fu ancora una volta innovativo. Per lei Il Re Leone era una storia che parlava di sentimenti umani, quindi, anche se le maschere dei personaggi, estremamente più stilizzate e vicine all’arte africana se confrontate con lo stile del film, sarebbero state visibili, l’uomo che le portava non ne sarebbe mai stato nascosto. L’approccio non toccò minimamente la versione animata, ma la Taymor decise di fare una diretta teatralizzazione del copione originale del film. Oltre all’arte e alla musica africana gli influssi dei altre culture sono presenti nel musical influenze di altri popoli, come possono testimoniare la presenza di ballerine balinesi o il ricorrere a pupazzi simili a quelli del teatro tradizionale cinese.
Il mito e l’impatto de “Il Re Leone” si fece sentire anche nei parchi a tema. Quando nel 1998 la Disney decise di costruire a Disney World, in Florida, un parco a tema dedicato alla natura, chiamato “Animal Kingdom”, fu piantato un Albero della Vita come quello dove risiede, nel film, il babbuino Rafiki. Alto 44 m e largo 15 quest’albero artificiale vede scolpiti nella sua “corteccia” di resina la bellezza di 325 animali in bassorilievo.

Nel 2002 “Il Re Leone” uscì nuovamente nelle sale cinematografiche, questa volta in versione IMAX, riscuotendo ancora una volta un enorme successo. E si arriva dunque ai giorni nostri, e alla riedizione in stereoscopia...

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