Speciale Hawkeye - Do the evolution! (Part 3)

Si conclude con questo speciale il nostro viaggio sul Pianeta delle Scimmie

Speciale Hawkeye - Do the evolution! (Part 3)
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Gennaio ha visto l'arrivo, in Blu-Ray e DVD, del grande successo della passata stagione cinematografica, L'Alba del Pianeta delle Scimmie, disponibile grazie a 20th Century Fox anche in un cofanetto comprendente tutti gli altri episodi precedenti della serie. Abbiamo pensato, dunque, fosse un'ottima occasione per concludere -almeno per ora!- il nostro excursus in questa grande saga con la terza e ultima parte di questo specialissimo. Le puntate precedenti possono essere lette a questi indirizzi:
Do the evolution! Part 1
Do the evolution! Part 2
Il passaggio del franchise in tv, pur non potendo vantare particolari glorie a livello di ascolti durante la prima messa in onda, segna comunque la sua definitiva consacrazione a livello di popolarità. Nello stesso anno di Ultimo Atto, il 1974, la CBS trasmette il serial ispirato a Il Pianeta delle Scimmie. Vengono prodotti in totale 14 episodi, ma solo 13 vanno in onda, tutti i venerdì sera dal 13 settembre al 20 dicembre. Il 14mo episodio "perduto" è stato poi recuperato in DVD. Non fu un gran successo: i tempi cambiavano e l'hype della mitologia scimmiesca andava scemando. Il serial venne interrotto prima di arrivare ufficialmente alla sua conclusione.
Con che razza di "animale" abbiamo a che fare stavolta? Pur vedendo il ritorno di Roddy McDowall, che al cinema aveva interpretato sia Cornelius che suo figlio Cesare, il serial è da considerarsi totalmente indipendente dai film, abbracciando una continuity alternativa. Lo stesso McDowell interpreta qui un'altra scimmia, di nome Galen. Lo show andò abbastanza bene in Inghilterra, che ripropose la serie intera nel 1994.
L'inizio della storia è situato nell'anno 3085, quando un'astronave terrestre approda su un pianeta sconosciuto dopo essere incappata in un time warp nella zona di Alpha Centauri, il 19 agosto del 1980. Un 1980, è bene ricordarlo, che per il '74 in cui si ambienta la serie è già un immaginario futuro. A bordo ci sono tre astronauti, uno dei quali, una donna, muore nell'impatto (il che accadeva anche nel film di Schaffner). Un uomo soccorre i due sopravvissuti e offre loro riparo, dopodiché gli presenta un libro in cui ci sono testi storici e foto della Terra del 2.500. Così, i due capiscono che si trovano sulla Terra del futuro. Ma c'è un altro testimone dell'impatto, un giovane scimpanzé evoluto che riporta quanto visto a suo padre, un diplomatico del villaggio. Il gran consigliere Zaius - un personaggio analogo a quello omonimo dei film - ricorda che un incidente simile è avvenuto dieci anni prima. Ordina così al capo dei gorilla, il generale Urko, di trovare gli umani e portarglieli vivi. Ma temendo che Urko possa ucciderli, gli affianca il suo nuovo assistente scimpanzé, Galen (McDowall).
I due umani, il colonnello Alan Virdon (Ron Harper) e il maggiore Burke (James Naughton), tornano alla nave per controllare il loro cronometro e si rendono conto di aver viaggiato 1.000 anni nel futuro. Tentando di trovare una soluzione per tornare nel loro tempo, vengono catturati, e l'uomo che li aveva ospitati viene ucciso. Galen trova il suo libro e lo legge: inizia così a dubitare di tutto ciò che gli hanno sempre raccontato. Che le scimmie abbiano sempre dominato il pianeta, e che gli umani siano sempre stati inferiori e subalterni. Aiuta così i due umani a fuggire da Urko, che vuole ucciderli. Galen parla a Zaius del libro, ma viene accusato di eresia e condannato a morte. Agli astronauti tocca restituire il favore. Lo salvano. I tre fuggitivi iniziano allora a vagare per il territorio che un tempo erano gli USA incontrando vari personaggi, sia umani che scimmie, oltre che rovine dell'antica civiltà umana.
Particolarmente controverso fu l'episodio The Liberator, e questo fu sostanzialmente il motivo per cui non andò mai in onda. Si parlava infatti dell'uso di gas velenosi come arma di distruzione di massa. Considerato il periodo in cui l'episodio sarebbe dovuto apparire in TV, tra il Watergate, il movimento anti-militarista, il Vietnam, l'Agente Arancio e il colpo di stato cileno, si può comprendere facilmente il motivo della reticenza del network.
Nel 1981, alcuni episodi della serie vennero rimontati e presentati come film per la TV, dai titoli Back to the Planet of the Apes, Forgotten City of the Planet of the Apes, Treachery and Greed on the Planet of the Apes, Life, Liberty and Pursuit on the Planet of the Apes, Farewell to the Planet of the Apes. Quando il prodotto passò alla ABC, i capi del network decisero di dargli un'aggiustata, richiamando McDowall per riprendere il ruolo di Galen in piccoli filmati di apertura e di chiusura - intitolati The new Planet of the Apes - che sostituivano le intro e le outro originali create da Fox e facevano apparire gli eventi del serial come un flashback. Nei panni di un Galen ormai anziano, l'attore coglieva l'occasione per spiegare che fine avessero fatto Virdon e Burke, accontentando i (pochi) fan della serie che erano rimasti a bocca asciutta quando la serie era stata interrotta: secondo il racconto di Galen, i terrestri avrebbero ritrovato il loro computer in una città e sarebbero scomparsi nello spazio esattamente nello stesso modo in cui erano arrivati.

Cartoni primati

Parallelamente alla serie ‘live action' venne realizzato anche un cartoon, intitolato Return to the Planet of the Apes e prodotto da DePatie - Freleng Enterprises in associazione con la 20th Century Fox. La serie si distingueva sia dai film che dalla versione televisiva con attori in carne e ossa perché, non avendo limiti di budget per le scenografie, poteva finalmente rappresentare la società delle scimmie come descritta da Boulle, ovvero tecnologicamente avanzata e completa di automobili, cinema e televisione. Fatta eccezione per libri, fumetti e merchandise, questa sarà l'ultima produzione ufficiale legata alle scimmie per molti anni, prima del remake di Tim Burton del 2001. Si tratta anche dell'unico elemento del franchise originale in cui non appare l'attore Roddy McDowall. La serie, di 13 episodi, esordì su NBC il 6 settembre del 1975 e andò avanti per un anno, per essere poi riproposta nel 1992.
Le premesse erano quelle ormai acquisite, a partire dal film di Schaffner: due astronauti (Jeff e Judy) sbarcavano incidentalmente sulla Terra del futuro, per la precisione nell'anno 3.810, dove si ritrovavano, stupefatti, di fronte a una civiltà di scimmie evolute, e facevano del loro meglio per dare un senso a quanto accaduto, tenendosi lontani dai poco amichevoli cacciatori scimmieschi e dando una mano ogni tanto a qualche loro simile. Gli episodi erano legati tra loro, richiamandosi spesso l'uno con l'altro, per cui è necessario, per comprenderne il senso, vederli in ordine.
La continuity del cartoon, come del resto lo era quella della serie con attori, è autonoma rispetto ai film, da cui comunque è influenzata. Il look delle scimmie, pur inserite in un contesto ben più ‘tecnologico', è molto simile a quello degli attori che le avevano interpretate nelle pellicole, e alcuni personaggi sono presi direttamente da lì. Ci sono Cornelius, Zira e il Dottor Zaius, così come Brent - rinominato Ron Brent - e Nova, e anche alcune persone che vivono sottoterra, vagamente ispirate ai mutanti visti in L'Altra faccia... Il generale Urko è invece preso in prestito dalla serie tv.
Ma è chiaro che non possono essere gli stessi personaggi dato che l'azione si svolge a un secolo di distanza rispetto a quanto raccontato nei film. Si tratta, in sostanza, già di una riscrittura, o ‘remake', o re-immaginazione (come più in là proprio Burton definirà il suo film), così come lo era il serial ‘live action', con cui condivide il triste destino di essere stata interrotta prima della sua effettiva conclusione: non sapremo mai se Jeff e Judy sono poi riusciti a tornare nel loro tempo. Ma un finale comunque c'è: Zaius, riconosciuto un abuso militare da parte di Urko, lo distoglie dal suo incarico, mentre Cornelius e Zira ammettono che la società delle scimmie è nata molto tempo dopo quella degli umani e propongono al senato di trattare gli uomini alla pari.
Un tratto caratteristico della serie a cartoni è che le scimmie nominano spesso alcuni personaggi importanti della loro storia che si chiamano in pratica come altrettante personalità della storia umana, ma semplicemente inseriscono la parola ‘Ape' (scimmia) nel loro nome. Ad esempio Shakespeare diventa Apespeare. In una scena alcuni soldati chiacchierano su un film chiamato The Apefather, evidente omologo ‘scimmiesco' de Il Padrino di Coppola.
Come per la serie ‘live action', anche qui c'è un misterioso episodio ‘perduto'. In questo caso, però, si tratta di una leggenda metropolitana. Il fantomatico A date with Judy era infatti il titolo provvisorio dell'episodio chiamato The Unearthly Prophecy. Le ‘novelization' del cartoon riportarono però la prima versione, alimentando l'ipotesi che si trattasse di un'altra puntata.
Con un'animazione e un doppiaggio piuttosto rozzi anche per l'epoca, il cartoon aveva però dalla sua ottimi sfondi, un character design piuttosto curato e dei movimenti di macchina di gran qualità, paragonabili a quelli visti al cinema. Ma soprattutto, aveva un taglio adulto e intelligente, capace di catturare il tono e l'atmosfera dei film a cui era ispirata, compreso il senso di alienazione e smarrimento dei personaggi alle prese con un mondo extraterrestre. Può essere recuperata in DVD, anche italiano. E' infatti stata inclusa interamente in un'edizione speciale del ciclo delle scimmie, contenuta in una lussuosa confezione da collezione che riproduce la testa di un primate.

Time Warp

Nel 1977 arriva Star Wars, e i canoni della fantascienza al cinema e in tv vengono totalmente ridefiniti dal successo galattico della saga di Lucas. Di scimmie evolute, almeno in sala, nessuno vuol più sentirne parlare. Si accettano di buon grado i replicanti di Blade Runner, i cyborg di Terminator con annessi paradossi temporali - in qualche modo imparentati con quelli della saga scimmiesca - la satira corrosiva del superpoliziotto Robocop e infine la fantafilosofia da cerchio alla testa di Matrix. Solo nel 2001 qualcuno riporta in vita l'idea che, da qualche parte nell'universo, potrebbero esistere animali intelligenti che ci sono pari e, forse, superiori. E' Tim Burton, il visionario regista con alle spalle grossi successi come Beetlejuice, due leggendari Batman, l'incubo in stop-motion Nightmare Before Christmas e favole gotiche del calibro di Edward mani di forbice e Il mistero di Sleepy Hollow.

Per la verità, di ripescare le scimmie dal cappello a Hollywood se ne parla da tempo. Già nel 1988 c'è l'idea di un remake interpretato nientemeno che da Arnold Schwarzenegger - scelta ineccepibile, visto quanti, con buona ragione, lo paragonano a Charlton Heston per carattere e fisicità - e diretto nientemeno che da Oliver Stone. Si arriva quasi in fase di pre-produzione. Poi, iniziano le vicissitudini, i cambi di programma, i ‘vorrei ma non posso'. Una serie di nomi altisonanti alla regia vengono via via annunciati ciascuno come il sostituto del precedente: Chris Columbus, Adam Rifkin, James Cameron, Peter Jackson, Chuck Russell, Michael Bay. La verità è che nessun produttore se la sente di rischiare.
Anche sulla sceneggiatura, più volte rielaborata, se ne sentono un po' di tutti i colori: virus spaziali, l'Area 51, Roddy McDowall nei panni di uno scimmiesco Leonardo Da Vinci e le fattezze della Statua della Libertà mutate in quelle di un gorilla ringhiante. Finché le carte non si mescolano troppo e Return of the Apes, come avrebbe dovuto chiamarsi,viene cancellato.
Si riparte da zero, con un nuovo script di William Broyles Jr., radicalmente diverso dal modello originale. Burton accetta la sfida, perché, come ha più volte dichiarato, "non farei mai un remake. Quel che voglio è una reimmaginazione". C'era da aspettarselo, da un creativo del suo calibro. Il cast è forte: ci sono la star emergente Mark Whalberg, il collaudato Tim Roth, il versatile Paul Giamatti e il colossale Michael Clarke Duncan reduce del successo de Il miglio verde, a cui si aggiungono la sempre affascinante Helena Bonham Carter - che proprio sul set avrebbe rubato il cuore del regista, ai tempi fidanzato con la mannequin Lisa Marie, che appare in un cameo - e una bellezza del calibro di Estella Warren, modella che pur possedendo scarse doti recitative basta da sola a riempire lo schermo. Il film è un ‘reboot' a tutti gli effetti, anche se ai tempi questo termine non era molto usato.

Camminando a testa in giù

Burton cerca comunque di guadagnarsi le carte per far felici gli appassionati. Il make-up scimmiesco, tutto artigianale in un'epoca in cui la computer graphic si è ormai pienamente affermata, è opera di Rick Baker, grande maestro e specializzato in primati dai tempi del King Kong di Guillermin e di Greystoke - La leggenda di Tarzan. Le nuove possibilità in termini di trucco e tecniche di ripresa aggiungono un elemento interessante, che nella serie originale non c'era: le scimmie sfruttano i loro piedi prensili per scrivere, suonare o camminare al contrario, arrampicandosi sul soffitto. Dal punto di vista tematico, questo elemento enfatizza una caratteristica fondamentale del mondo dei primati: è un mondo alla rovescia. Presso molte popolazioni primitive, ad esempio gli indiani Pueblo del Messico, l'esistenza di un ‘mondo al contrario', dove gli uomini camminano sulle mani e si ride quando si è tristi, solitamente situato sottotera - negli Inferi o, più semplicemente, in una dimensione parallela - è un punto cardine per la delimitazioni e, al contempo, per l'affermazione dell'identità culturale. L'identità esiste in quanto esiste la diversità. E se c'è un ‘loro' (loro che camminano al contrario, loro che piangono per ridere eccetera...) allora esiste anche un ‘noi', che sta a indicare le caratteristiche base della popolazione che con il racconto del ‘mondo alla rovescia' sceglie di orientarsi e, per diversificazione, di identificarsi.

Reimmaginando il Pianeta...

Charlton Heston compare in un cameo, pronunciando la sua mitica frase ("maledetti per l'eternità!"), che assume però connotati diametralmente opposti dato che il suo ruolo è qui quello di una scimmia morente. Citazione nella citazione, anche se nel film non viene svelato il suo nome, il suo ruolo è creditato come "Senatore Zaius". Il plot diverge del tutto dal modello di Schaffner, avvicinandosi - ma solo per alcuni marginali aspetti - al libro di Boulle.
In un futuro non troppo lontano - l'anno è il 2029 - l'astronauta Leo Davidson, in servizio sulla nave Oberon, per seguire un modulo spaziale in avaria con a bordo una scimmietta di nome Pericle a lui cara, finisce all'interno di una tempesta elettromagnetica e si ritrova su un pianeta governato da scimmie senzienti, dove gli umani sono considerati alla stregua di animali. L'astronauta, catturato dalle scimmie, viene ridotto in schiavitù e comprato da un orango commerciante di umani, di nome Limbo, e poi viene venduto ad Ari, una scimpanzé attivista contro il maltrattamento degli uomini.
Leo decide di fuggire assieme ad altri umani, tra i quali c'è la bellissima Daena. Assieme a loro, fuggono anche Ari e Krall, un gorilla ex generale dell'esercito la cui carriera è stata distrutta dal malvagio generale Thade, promesso sposo di Ari, che però non lo ama. Nella fuga si trascinano dietro anche Limbo. La meta è un luogo sacro per le scimmie, chiamato il tempio di Semos, nella zona misteriosa di Calima. Secondo la religione scimmiesca, in quel luogo il dio Semos avrebbe dato origine alla vita delle scimmie, anche perché Leo, recuperata la sua apparecchiatura dalla nave in avaria, capta un segnale che gli indica che l'Oberon è sbarcato lì vicino, probabilmente per cercarlo. Amara la sua sorpresa quanto, giunto sul posto con i suoi compagni, scopre che in realtà il tempio non è altro che l'Oberon stesso, finito anch'esso nella tempesta elettromagnetica ma arrivato sul pianeta molti secoli prima di lui. Anche il nome Calima altro non sarebbe che la contrazione di "Caution, Live Animals", avvertimento che campeggiava sull'astronave, che utilizzava appunto scimmie come supporto al personale. Ci sono anche delle registrazioni, da cui Leo apprende che i primati come Pericle, che prestavano servizio agli umani, si sono ammutinate e hanno preso il controllo, dando origine alla nuova specie che ora popola il pianeta.
Subito dopo l'arrivo al tempio, tutti gli umani ancora liberi, avendo appreso che esiste un uomo che sta lottando contro le scimmie, confluiscono nei pressi del posto, per combattere con lui. Il giorno dopo arriva anche l'esercito dei primati, al comando del generale Thade. Dopo un iniziale momento, in cui gli umani sembrano avere la meglio grazie a un'idea strategica di Leo, che usa come arma il carburante rimasto nell'Oberon, le scimmie, grazie alla loro superiorità fisica e numerica hanno il sopravvento, ma quando tutto sembra essere perduto dal cielo arriva una navetta spaziale. A bordo c'è Pericle, incolume. Anche lui è finito nel gap spaziotemporale giungendo in un momento ancora diverso. Non appena le scimmie lo vedono, s'inchinano adoranti di fronte a quello che credono essere il ritorno del dio Semos, come era stato annunciato dalle profezie. Nonostante la tregua, il generale Thade e Leo riprendono il loro scontro, ma questa volta è Leo a uscirne vittorioso, riuscendo a rinchiudere il generale all'interno di una zona dell'astronave. Del finale, ambiguo, parleremo tra breve.
Del prototipo è mantenuta solo la premessa e, oltre al cameo di Heston, ci sono molte citazioni: Krall, come Cornelius in Fuga dal Pianeta delle Scimmie, si offende quando Leo lo chiama ‘Monkey'. L'inglese prevede infatti la distinzione tra il termine ‘Ape', che indica scimmie più grandi e intelligenti, e la parola ‘Monkey' che si riferisce invece a esemplari più piccoli e meno evoluti, come i macachi. Le rovine dell'Oberon, nella zona proibita di Calima, sembrano proprio la corona puntuta della Statua della Libertà. Anche l'inquadratura e la reazione di Davidson di fronte alla rivelazione del paradosso temporale sono le medesime di Heston nel finale dell'originale. Infine, anche Linda Harrison, la Nova dei primi film, compare nei panni di una schiava umana, mentre a chiamarsi Nova è qui una graziosa scimpanzé interpretata dalla modella Lisa Marie.
Piccole citazioni di questo tipo sono le uniche concessioni della re-immaginazione burtoniana al modello originale, rispetto al quale prevalgono le differenze: gli umani, pur ridotti in stato di schiavitù e tendenti a radunarsi in tribù e vivere a contatto con la natura, sono perfettamente in grado di esprimersi e di parlare. I personaggi sono completamente diversi, anche se c'è qualche assonanza tra l'umanista Ari e la scienziata illuminata Zira della serie originale. L'azione, esattamente come in Boulle, non si svolge sulla Terra del futuro, ma su un altro pianeta. La civiltà delle scimmie sembra porsi a un livello di sviluppo superiore rispetto ai film precedenti, simile a un oscuro Medioevo. Non ci sono automobili e televisori - in questo senso, Burton, con l'ampio budget che aveva a disposizione, perde un'occasione per rifare Boulle direttamente - ma i primati vivono in grandi abitazioni scavate nella roccia e indossano all'occorrenza abiti pregiati, mentre nella versione Schaffner erano per lo più vestiti di pelli e abitavano in tende. Resta in piedi il jolly del paradosso temporale, che porta a un finale ancora una volta inaspettato. Forse troppo. La conclusione del film, infatti, per lo più incomprensibile, è stato uno degli aspetti più criticati della pellicola. Se non avete visto il film e avete intenzione di farlo, interrompete la lettura qui, perché stiamo per rivelarlo.

Remake riuscito, reboot fallito...

Quando tutto sembra essersi calmato ed un clima di pace è stato raggiunto da uomini e scimmie, Leo decide di utilizzare la navetta spaziale di Pericle per tornare a casa. Finisce nuovamente nella tempesta elettromagnetica e riesce a tornare sulla terra atterrando a Washington, D.C., nei pressi del Lincoln Memorial. Ma, similmente a quanto succedeva all'attonito Ulysse nel libro di Boulle, gli tocca un'amara sorpresa: al posto della statua di Lincoln, ce n'è una raffigurante il generale Thade, e tutti i cittadini e i poliziotti che accorrono per vedere cos'è accaduto, sono scimmie ancor più civilizzate di quelle che aveva lasciato su quel pianeta lontano, vestite di tutto punto e in grado di guidare e imbracciare armi da fuoco, che gli vengono puntate contro.
All'interno del film non c'è nulla che spieghi chiaramente cosa sia accaduto anche se, a pensarci bene, non può che esserci una soluzione: Thade deve essere riuscito in qualche modo a ‘evolversi' a sufficienza da far funzionare l'Oberon. Poi, partito dal suo pianeta, deve essere incappato a sua volta in un gap temporale che lo ha portato sulla Terra, molti anni nel passato, riuscendo a condurre una rivolta delle scimmie contro gli umani che le ha portate a dominare il pianeta.
Interrogato, Burton ha sempre divagato sul finale, apponendo spiegazioni surreali ed eccentriche, in linea col suo stile. Nel commento all'edizione DVD dice semplicemente: "Oh, a me succede tutti i giorni...esco per recarmi in un posto e mi ritrovo in un altro posto, totalmente assurdo". La verità è, probabilmente, che il regista e gli sceneggiatori hanno peccato di tracotanza, riservandosi di spiegare il "colpo di scena" in un sequel che loro davano per scontato si sarebbe fatto ma, paradossalmente, anche per colpa di questo finale insoddisfacente, non è stato invece mai realizzato.
Il successo finanziario, in realtà, fu più che ragionevole: a fronte di un budget di 100 milioni di dollari, la pellicola ne guadagnò 362, ma a stroncarla fu soprattutto la critica. Non si trattava solo di quello ‘strambo' finale. Alcuni non tollerarono l'uso del make-up artigianale - per la verità molto ben fatto - che appesantiva nel loro parere le espressioni degli attori. Altri restarono perplessi di fronte a una trama che sembrava procedere più per associazioni di idee che seguendo le canoniche relazioni di causa ed effetto. Il film era troppo autoriale e ‘burtoniano' per gli appassionati di fantascienza, e troppo commerciale per chi invece seguiva da anni le stralunate visioni del regista d'origine californiana.
La verità è che Il Pianeta delle Scimmie 2001, pur non mancando d'atmosfera e di un certo onirico fascino, fatica a trovare un'identità tematica. Torna il leitmotiv della guerra, una guerra ambientata in un deserto che, solo qualche mese dopo - il film esce in America il 27 luglio, in Italia il 14 settembre, tre giorni dopo l'attentato alle Torri Gemelle - sarebbe stato facilmente identificabile come simbolo ideale dell'ambiente mediorientale, dove da anni si combatte un conflitto destinato a cambiare la storia. Ma la maggior parte degli occidentali, durante quell'estate, è ancora cieca e ignara di ciò che sta avvenendo in quella "lontana" porzione di mondo.
Certo è che a Burton la scienza interessa poco. Le riflessioni sulle diverse possibilità di evoluzione delle specie sono annacquate - gli umani parlano esattamente come le scimmie - e anche il paradosso temporale è usato solo come espediente per creare un po' di suspance. Ci sono accenni forse allo schiavismo: "è giusto incatenare esseri che sono in grado di parlare e socializzare esattamente come noi?". Laddove il ‘noi', naturalmente, nel film rappresenta le scimmie ma è uno specchio della società occidentale. Uno spunto antropologicamente interessante e certamente focale nella storia dell'umanità, ma perché tirarlo fuori nel 2001? Il pubblico meno colto, o semplicemente meno attento, non lo coglie. E questo è un problema grande, in un franchise che tenta di reimporsi anche e soprattutto sul piano commerciale.
Altro tema che, solo qualche mese più tardi, avrebbe assunto ben altra importanza è quello dell'uso della tecnologia a fini bellici: qui si rivela che le scimmie temono gli umani e li tengono in catene perché sanno che la loro capacità tecnica in fatto di costruire armi è più avanzata. Un elemento in qualche modo mutuato dalla versione filmica di Schaffner, dove le Sacre Scritture recitavano "Guardati dalla bestia umana". La famiglia di Thade, che si ritiene discendente diretta di Semos, tiene nascosta un'arma da fuoco, rilevata dall'Oberon. E nel pre-finale, prima di restare imprigionato, Thade impara a usarla. Tutti vogliono l'atomica, insomma. Ma anche qui, probabilmente senza piena coscienza, il visionario Burton precorre i tempi.
Dopo qualche anno di riflessione, Burton rinuncia - arrivando a dichiarare, in un intervista, "piuttosto che farne un sequel preferirei buttarmi dalla finestra" - e la Fox sceglie piuttosto di ritentare con un altro reboot.

Scimmie dagli occhi a mandorla

Fin qui le manifestazioni ufficiali. Ma, si sa, quando una serie ha successo fioccano anche copiose ondate di ‘rip off', ovvero prodotti "fortemente ispirati" all'opera d'origine che pur senza avere alcun crisma formale né, tantomeno, l'autorizzazione dell'autore, sfruttano comunque il successo del franchise con tucchi di ‘somiglianza' più o meno subdoli, ma con effetti, spesso, degni di nota. Nel caso delle scimmie, poi, la questione si fa peculiare, perché non ci vuole certo un particolare permesso per usare in un film primati dotati di parola. Quindi, largo alle numerose parodie e alle copie più o meno spudorate, di cui va segnalata per prima la serie tv giapponese Saru no Gundan (letteralmente traducibile con La legione delle scimmie). I nipponici adoravano la saga cinematografica scimmiesca, tanto che a loro venne dedicato un extended cut di 1999 - Conquista della Terra come ringraziamento per la devozione. La Tsubaraya Productions creò la sua serie proprio in risposta alla popolarità dei film, proponendo, a partire dal 1974 - più o meno parallelamente ala messa in onda del serial tv americano - 26 episodi di mezz'ora ciascuno, con una trama piuttosto simile a quella del Pianeta delle Scimmie originale ma stando ben attenta a non fare nessuno riferimento diretto al franchise. Alla base del plot, ci sono una donna e due bambini che si svegliano in un mondo di primati senzienti, militarizzati e per lo più ostili, in seguito a un incidente in un laboratorio di criogenesi. La società delle scimmie è qui a uno stato decisamente avanzato, molto simile a quella del XX secolo terrestre e anche oltre: macchine, divise, poliziotti, mitragliatrici perfino qualche robot. Si presume che si siano evolute per imitazione. Una particolarità della serie sta nella caratterizzazione delle razze scimmiesche: qui sono gli scimpanzé a rappresentare la casta guerriera, aggressiva e militarista, mentre i gorilla sono più pacifici. L'esatto inverso di quel che accade nella controparte americana e, secondo gli zoologi, una prospettiva più realistica e accurata. Niente contraddice direttamente la serie originale, ma la presenza di una sorta di UFO creato da umani iper-evoluti rende un po' difficile piazzare Saru all'interno dei canoni di continuity fino ad allora stabiliti. Pur non avendo registrato un successo strabiliante, la serie riuscì laddove la "gemella" americana falliva: lo show completò la sua corsa senza essere sospeso, fino a quella che era la conclusione effettivamente prevista, ovvero il ritorno dei viaggiatori temporali nel passato. Anche se non è mai stato tradotto interamente in inglese, gli americani conoscono il serial col titolo Army of the Apes. Inoltre, nel 1987, la Sandy Frank Entertainment ne rimontò un paio di episodi, traducendoli e trasformandoli in un film per gli USA di 97 minuti, intitolato Time of the Apes. In Giappone, la serie venne accompagnata da un merchandise molto simile a quello che negli Stati Uniti faceva da cassa di risonanza al serial americano: ci furono pupazzi, soundtrack, un manga, libri e giochi da tavolo. Nel 1991 la serie venne parodizzata dal programma satirico-antologico Mystery Science Theater 3000. Anche la serie tv americana arrivò in Giappone, nel 1975, ma non fece particolari record di ascolto. I nomi dei personaggi erano leggermente diversi, perché alcuni suoni mancano nella lingua giapponese, per cui Galen divenne Geiron, Burke divenne Baku, Virdon fu trasformato in Badon, Zaius in Zeiusu e Urko in Ako. Ma la bizzarria più grande è che l'attore Roddy McDowall veniva accreditato nei titoli come Roddy Saru, ovvero...Roddy Scimmia!

Ridere e far l'amore tra gorilla e scimpanzé

Nel campo delle parodie, si distinsero particolarmente i brasiliani, con la serie umoristica O Planeta dos Homens (dal '76 all'82) e lo spoof-movie O Trapalhão no Planalto dos Macacos (1976). La prima era in effetti una sitcom, che si sviluppava in brevissimi sketch girati direttamente davanti al pubblico. Il concetto di base era che alcune scimmie senzienti provenienti da un altro pianeta osservavano, criticandola con simpatia, la società dei tempi. Storica la sigla d'apertura, allora innovativo esperimento in termini di computer-graphic, che vedeva un uomo-scimmia sbucciare una banana da cui fuoriusciva una minuscola ballerina. Il secondo ricalcava più o meno la trama del film di Schaffner, sostituendo il complesso make-up con mascheroni di gomma e aggiungendo belle donne, umorismo slapstick e tante battute comprensibili però solo dai brasiliani. A interpretarlo era un trio molto popolare, Os Trapalhões, specializzato in parodie dei blockbuster hollywoodiani.
Un mondo popolato da scimmie senzienti - e chissà quanto sessualmente poderose - titilla naturalmente anche l'immaginario erotico. Non potevano mancare le pornoparodie, dalle più soft (Planet of the Erotic Ape, che vanta ben due sequel, World of the Erotic Ape e Babes in Kong Land) alle più piccanti (Playmate of the Apes) fino all'hard estremo di Planet of the Babes. Tutti prodotti piuttosto recenti, paralleli o successivi al film di Burton.
Citiamo infine, per amor di completezza, un "misterioso" dvd chiamato Land of the Apes, la cui grafica di copertina rimanda parecchio al franchise scimmiesco, da cui è mutuato anche il font per il logo. In realtà, si tratta di episodi della serie TV The Lost World, tratta dai romanzi di Sir Arthur Conan Doyle, montati insieme alla bene e meglio e confezionati in modo da richiamare l'attenzione cavalcando, anch'essi, l'onda del film di Burton, che comunque commercialmente funzionava. Ovviamente, le puntate sono poco comprensibili, svincolate come sono dal contesto della serie, e non ci sono scimmie senzienti né pianeti sconosciuti, ma solo una tribù di uomini primitivi che, lungi dal dominare il pianeta, si limita a qualche scorribanda nella terra selvaggia dove gli incauti esploratori protagonisti sono loro malgrado incappati.

Scimmie tra le nuvole

Un successo di tale calibro non poteva che coinvolgere altri media come, ad esempio, i fumetti, ma anche i libri. Molti sono i tie-in e gli spin-off legati ai film sulle Scimmie e alla serie televisiva, nonché le ‘novelization' e gli adattamenti fumettistici - di alcuni abbiamo già detto - realizzati da moltissimi editori in ogni parte del mondo. Tra i più curiosi, ci sono ben due manga giapponesi, entrambi adattamenti della prima pellicola ed entrambi intitolati Saru no Wakusei, che in inglese viene tradotto Planet of the Monkeys. Chissà cosa ne avrebbe detto Cornelius, che nella versione originale di Fuga dal Pianeta delle Scimmie chiede agli umani di non usare il termine ‘monkey' (che sta ad indicare le scimmie più piccole e meno intelligenti, come i macachi) per indicarlo, perché lo ritiene offensivo. Difficile da rendere in italiano, dove la distinzione non esiste. I traduttori hanno optato infatti per il termine ‘scimmioni'.

La prima versione manga è disegnata da Jôji Enami e pubblicata nella rivista contenitore Bessatsu Bôken'Ô nell'aprile del 1968, in concomitanza con l'uscita del film. La seconda da Minoru Kuroda e pubblicata nel 71, nel manga Tengoku Zôkan. Venne adattato in Giappone anche Anno 2670 - Ultimo atto, col nome Saigo no Saru no Wakusei, che traduce il titolo inglese del film Battle for the Planet of the Apes. Pubblicato nel 1973 in una uscita speciale del magazine Weekly Shōnen Champion, è realizzato da Mitsuru Sugaya.
Il secondo film della serie, L'Altra faccia del Pianeta delle Scimmie, venne invece adattato da Gold Key Comics nel 1970. Immancabile la Marvel Comics, che con la sottoetichetta Curtis produsse molte uscite in formato di rivista in bianco e nero, dal 1974 al 1977. Accanto agli adattamenti di tutti e cinque i film, c'erano anche storie originali, scritte da autori come Doug Moench, Gerry Conway, Mike Esposito, Mike Ploog, George Tuska e moltri altri, a cui venivano aggiunti articoli sui ‘making of' delle pellicole e della serie tv. Nel 1975 arrivò l'esperimento del colore, con la serie Adventures on the Planet of the Apes, che ripresentò gli adattamenti dei primi due film in undici uscite.

La Marvel UK riprese le storie, abbinando loro un'operazione davvero insolita. Per allungare la zuppa, infatti, vennero recuperate per l'occasione delle storie che avevano per protagonista il personaggio di Killraven, che l'autore Gerry Conway in comune coi fumetti sulle scimmie. Solo che l'eroe venne ribattezzato Apeslayer e testi e disegni vennero modificati per adattare le storie all'universo de Il Pianeta delle Scimmie. Gli usuali nemici del personaggio, che erano i marziani, vennero ad esempio ridisegnati per sembrare delle minacciose scimmie antropomorfe. La pubblicazione andò avanti per un po', cambiando spesso titolo con la formula dell'albo ‘split', su cui lo spazio dedicato alle scimmie veniva diviso con altri personaggi come Dracula o L'Incredibile Hulk.

Molte filiazioni fumettistiche arriveranno dalla serie TV. Oltre a quattro romanzi tratti da altrettanti episodi (Man the Fugitive, Escape From Tomorrow, Journey Into Terror e Lord of the Apes), scritti da George Alec Effinger, che vennero pubblicati da Award Books, ci furono tre speciali dell'inglese Brown-Watson Books che mescolavano fumetto e racconto in prosa, e alcuni LP con incise avventure ispirate allo show televisivo: Mountain of the Delphi, Battle of Two Worlds, Dawn of the Tree People e Volcano. Uscirono sia in versione ‘stand alone' che abbinate a una pubblicazione illustrata.

Alcuni fumetti in lingua spagnola vennero pubblicati in Argentina dalla Mo.Pa.Sa: erano scritti da Jorge Claudio Morhain e Richard Barreiro, e disegnati da Sergio Mulko e T. Toledo. Non sono mai stati pubblicati in inglese in maniera ufficiale, ma alcuni fan si sono organizzati per fare il lavoro da sé. Nel 75 la Chad Valley, una casa di giocattoli britannica, produsse poi una singolare serie di 32 slide show per un particolare proiettore, lo Sliderama, che erano basati su immagini rielaborate dalla serie TV. Oggi sono un rarissimo pezzo da collezione.

Nell'81 una casa editrice argentina si accaparrò poi i diritti per trasporre il libro originale di Boulle, con il titolo A Majmok bolygója (The Monkey Planet), ancora una volta confondendo il termine ‘Monkey' con quello di ‘Ape'. L'autore era l'ungherese Ernő Zórád, e anche in questo caso l'unica traduzione disponibile è quella realizzata dagli appassionati.
Nei primi anni '90 le scimmie passarono tra le mani di Malibu Graphics/Adventure Comics, che si cimentò in veri e propri sequel, ambientati dopo l'epoca di Cesare. 24 uscite in totale, più un one-shot (Sins of the Father), un crossover con Alien Nation - altra serie tratta da un film cult anni '80 - chiamato Ape Nation, un annual e ben 5 miniserie originali: Urchak's Folly, Forbidden Zone, Ape City, Blood of the Apes. Sempre la Adventure ripubblicò alcune delle storie Marvel, tra cui gli adattamenti dei primi tre film e la saga Terror on the Planet of the Apes. Parallelamente, una parodia chiamata Planet op di Eyps vedeva la luce nelle Filippine, pubblicata dalla rivista Pilipino Funny Comics.

In concomitanza con l'uscita del remake-reboot di Tim Burton, poi, la Dark Horse Comics, specializzata in adattamenti e tie-in fumettistici di famose pellicole, realizza una miniserie che si collega direttamente al film, Planet of the Apes: The Human War, oltre a un adattamento e una serie che però ha breve durata (6 uscite, le prime tre col titolo Planet of the Apes: Old Gods e le ultime tre col titolo Planet of the Apes: Blood Lines). C'è anche un minifumetto incentrato su Thade, pensato per la catena di negozi di giocattoli Toys R'Us, e un serial in tre parti incentrato sul personaggio di Attar, braccio destro di Thade, per la collana Dark Horse Extra.

Poi, fino al 2005, i diritti passarono alla Mr. Comics, che rilasciò una miniserie in sei numeri chiamata Revolution on the Planet of the Apes, scritta tra gli altri da Joe O'Brien, Ty Templeton e Sam Agro e disegnata per lo più da Gabriel Morrissette, con aiuti supplementari da illustratori addizionali. Si trattava ancora una volta di un sequel di 1999 - Conquista della Terra, alternativo a quello di Adventure Comics. In questo caso si tentava di colmare il gap temporale tra il quarto e il quinto film della serie. Venne pianificata anche un'altra serie, Empire on the Planet of the Apes, che però non fu mai realizzata.

L'ultima, recentissima serie è pubblicata in USA da BOOM! Studios, a partire dall'Aprile 2011. Scritta da Daryl Gregory e disegnata da Carlos Magno, la testata, almeno nelle intenzioni, abbraccia la continuity ‘classica' dei film originali, collocandosi però temporalmente prima del primo capitolo.

Esistono poi spin-off letterari legati al film di Tim Burton, oltre alla sua stessa novellizzazione in doppia forma: per adulti e per ragazzi. Le altre ‘novel' si chiamano The Fall, Resistance, Force, Rule e Colony e si collocano temporalmente prima o dopo gli eventi narrati nella pellicola. Nessuna, però, a quanto risulta, offre quello che davvero i fan avrebbero voluto: la spiegazione di quell'assurdo ‘twist ending' piazzato dal regista a conclusione della storia!

Giochi da primati

Essendo una serie nata e cresciuta per lo più negli anni '70, quando ancora nelle sale giochi si trovavano solo flipper e biliardini, e in casa ill computer più potente che si potesse possedere era una calcolatrice, è abbastanza naturale che Il Pianeta delle Scimmie abbia bazzicato poco il mondo dei videogiochi. Eppure, qualcosa esiste: nel lontano 1983 viene infatti realizzato uno sparatutto ispirato al film di Schaffner per la console Atari VCS, che allora andava per la maggiore. Nei panni di Taylor, il giocatore avrebbe dovuto attraversare diversi scenari ispirati alle sequenze della pellicola: la foresta col fiume, il villaggio con la prigione, il deserto, le caverne e infine la spiaggia con i resti della Statua della Libertà, evitando i colpi delle scimmie e rispondendo al fuoco nemico. Il gioco era praticamente pronto quando, con grande disappunto del programmatore John Marvin, la Atari fallì, impedendo di fatto la commercializzazione del suo pregevole lavoro. Nel 1999 però, un prototipo salta fuori da uno stock dove qualcuno aveva incautamente scritto il nome di un altro gioco (Alligator People). Un gruppo di appassionati, col permesso di Marvin, lo recupera e lo rende disponibile, con musica aggiuntiva e un incremento di memoria da 4 a 8K, che permette di migliorare anche la grafica. Per ragioni di copyright, il nome di Taylor scompare e anche il titolo cambia in Revenge of the Apes. Oggi è possibile giocarlo procurandosi un emulatore e la relativa ROM, operazione perfettamente legale dato che non si tratta di un prodotto commerciale.

Il primo Pianeta delle Scimmie videoludico ufficiale arriva però solo nel 2001, in concomitanza con l'uscita del film di Burton, a cui, in un primo momento, doveva direttamente ispirarsi. Ma il regista è troppo imprevedibile e cambia la sceneggiatura in continuazione, per cui Ubisoft e Fox Interactive decidono di lasciar perdere e costruire una trama ex-novo, che mescola elementi del libro di Boulle (il protagonista riacquista il suo nome originale, americanizzato in Ulysses) e del film di Schaffner, senza però legarsi a nessuno dei due né ai capitoli successivi. Insomma, il gioco stesso, per PC e Playstation, è a sua volta un ‘reboot', dove compaiono personaggi familiari come Cornelius, Zira e il Dottor Zaius ma anche nuove razze, mai viste nei film, come babbuini e mandrilli. Nello stesso periodo esce un altro gioco dallo stesso titolo per Game Boy Color, la console portatile della Nintendo che, avendo possibilità tecniche molto inferiori rispetto a quelle delle controparti casalinghe, richiedeva uno sviluppo totalmente differente. Di solito, a quei tempi, in caso di tie-in cinematografici, si usava una medesima trama per tutte le versioni, adattando poi le situazioni di gioco per le piattaforme ‘minori', come appunto il Game Boy, che non supportava ad esempio la grafica poligonale. In questo caso, però, si decise di usare ancora un'altra sceneggiatura, regalando agli appassionati una sorta di ‘sequel alternativo' al primo film della serie. Nei panni dell'astronauta Ben, molto simile al Brent de L'Altra Faccia del Pianeta delle Scimmie, il giocatore doveva mettersi sulle tracce del collega disperso Taylor. Anche qui compaiono Cornelius e Zira mentre manca, nonostante venga nominata con entusiasmo dal lancio pubblicitario, la bella umana Nova.

Monkey business

Ma come dicevamo, negli anni '60 e '70 l'intrattenimento videoludico, men che mai casalingo, non era granché diffuso. La battaglia per il Box Office si combatteva a colpi di giocattoli e merchandise. Nel '68, con l'uscita del primo film, la celebre compagnia produttrice di chewing-gum Topps, la stessa che avrebbe poi ispirato lo stesso Tim Burton per Mars Attacks! con le sue popolari figurine ‘a tema alieno', produsse una serie di carte da collezione - abbinate appunto alle gomme da masticare - con i personaggi de Il Pianeta delle Scimmie, ma ci vorrà un bel po' prima che i produttori capiscano davvero che grande fonte di guadagno possa rivelarsi la serie. Anche perché l'abitudine di sviluppare merchandising di massa per promuovere un film arriverà solo negli anni '70, con la geniale intuizione di George Lucas per il suo Star Wars.

La vera Ape-mania scoppierà con la conclusione della serie al cinema e la morte del produttore Arthur P. Jacobs, evento in seguito al quale la CBS si accaparra i diritti per trasmettere i primi tre film in prima serata, ottenendo uno share da record. In risposta la Fox, con lo slogan ‘Go Ape!', programma nei cinema pazzesche maratone con i cinque film proiettati uno di seguito all'altro. Ricordiamoci che ai tempi l'home video non esisteva, e dunque poter rivedere un film non programmato da tempo al cinema o in tv rappresentava per i fan un'occasione più unica che rara. Ecco dunque che, come per magia, la "voglia di scimmie" risale, e la Addar Products Corp per prima risponde, producendo pupazzi e mini-kit ispirati ai film. Segue la Mego Corporation, il cui presidente Kenny Abrams si guadagna i diritti per produrre action figures scimmiesche proprio partecipando a una delle maratone di cui sopra, soffiandoli alla concorrente Azrak Hamway International (AHI). Nel 1974 appaiono così nei negozi i pupazzi di Cornelius, Zira, Dr. Zaius, di un soldato scimmiesco in vari colori e dell'astronauta, che non aveva nome dato che non il permesso per usare la faccia di Charlton Heston. Vennero prodotti anche dei set (albero e villaggio) e un cavallo radiocomandato su cui far correre i personaggi.

Altra folle ondata di merchandise arrivò assieme alla serie tv, anticipata sul mercato da ogni genere di articolo, dai palloni da spiaggia ai puzzle, un secondo set di carte da collezione e perfino un disco della band Electric Cowboy chiamato Planet of the Apes - A musical trip. Immancabilmente, arrivò un secondo gruppo di action figures, sempre prodotte da Mego, che ritraevano stavolta i personaggi della serie televisiva: Galen, Alan Verdon (invece di Virdon, non chiediamoci perché), Peter Burke, Urko e Ursus, naturalmente accompagnae da ricchi playset e dalla riedizione dei pupazzi già usciti in precedenza. Si creò confusione quando anche AHI ottenne, parallelamente, i diritti per produrre altro materiale scimmiesco: vennero fuori nuove versioni di Galen e Zaius, equipaggiati di paracadute, e anche delle ‘Action Apeman' che palesemente ‘piratavano' i pupazzi prodotti da Mego, tanto che la questione finì in tribunale.
Ma non c'erano certo i soli pupazzetti in ballo e, quando si trattava di produrre maschere a forma di muso di scimmia o tazze con stampati i volti di primati, spesso il problema dell'ufficialità passava in secondo piano. Negli anni '70 d'ispirato alle scimmie c'era un po' di tutto, prodotto da qualsiasi compagnia riuscisse a ottenere il permesso per farlo - dalle più misconosciute alle famose Mattel, Deka e Aladdin - o riuscisse comunque a farlo senza farsi ‘pizzicare': anelli, matite, pistole ad acqua, cestini per il pranzo. Ovviamente, tutti questi illustri giocattolai si misero le mani nei capelli quando lo show venne cancellato dai palinsesti.

Altre action figures molto dettagliate, ispirate alla serie originale, vennero prodotte nel 2007 dalla giapponese Medicom, mentre nel 2001 fu la Hasbro a occuparsi dei bambolotti ispirati alla versione burtoniana, mentre Neca dedicò al film una serie di belle statue da collezione e busti che ritraevano, tra gli altri, Leo Davidson e Thade in posa battagliera e Attar (busto) con un'espressione ringhiante.

Ibridare ed evolvere

L'ultima tappa del lungo percorso evolutivo del franchise è il nuovo film L'Alba del Pianeta delle Scimmie, uscito in Italia il 23 settembre. Dopo aver riflettuto 10 anni, Fox ha deciso di lasciar perdere la re-immaginazione di Burton e ricominciare daccapo per la seconda volta. Che il visionario californiano non sarebbe tornato a dirigere scimmie lo si era capito già dopo l'uscita del film del 2001, quando aveva rivelato i suoi rapporti non certo idilliaci con lo studio. Ma magari, dato che al botteghino le cose non erano andate poi malaccio, qualcuno si immaginava, e quasi sperava, che un altro autore si sarebbe messo alla guida di un sequel, se non altro nel tentativo di dare uno straccio di spiegazione di quel finale - diciamolo, via - così assurdo e inconcludente. Niente da fare, il rischio, con tutte le critiche che il film si era attirato addosso, era davvero troppo alto.
Scartato il seguito, cerchiamo di capire che genere di individuo è il nuovo arrivato, dato che, come il suo protagonista Cesare, scimpanzé con intelligenza umana, è un prodotto ‘ibrido'. Certamente è un reboot, sia dal punto di vista commerciale che da quello concettuale. La storia, molto lineare, non è legata a nessun capitolo della serie originale né - come si può facilmente intuire - al film di Burton, non prevede paradossi temporali, riparte da zero ed è perfettamente autonoma e comprensibile anche a chi non ha mai visto un solo film del franchise.
Ma, al contempo, è anche un po'un remake. Non del Pianeta originale, ma di 1999 - Conquista della Terra. Ricordate? Là, uno scimpanzé evoluto di nome Cesare, la cui intelligenza sviluppata si doveva al viaggio indietro nel tempo dei suoi genitori Cornelius e Zira (risalente al film precedente, Fuga dal Pianeta delle Scimmie), guadagnava il dominio del pianeta mettendosi a capo di una rivoluzione di primati contro gli uomini che li sfruttavano e li maltrattavano. Questo plot funge da base anche per il nuovo film. Anche qui abbiamo uno scimpanzé intelligente di nome Cesare che diventa il leader della rivolta scimmiesca. Non essendoci capitoli precedenti, non c'è però il paradosso temporale, e la sua particolare capacità di apprendimento è dovuta a un esperimento genetico per la cura contro l'Alzheimer. Inoltre, nel film del '72 Cesare già articolava discorsi e camminava eretto, mentre qui si limita a comunicare per gran parte del tempo con il linguaggio dei segni. La trama è comunque diversa. Ovvio che, con il passare degli anni, le problematiche cambiano. Sarebbe fuori luogo riferirsi oggi ai moti razziali degli anni '70, e dunque il tema diventa lo sfruttamento sugli animali. Ma l'ispirazione viene proprio da Conquista... e questo, in una certa misura, ne fa anche un prequel. Grazie all'espediente narrativo del viaggio indietro nel tempo, Conquista... era un prequel del Pianeta delle Scimmie del '68. Anche L'Alba del Pianeta delle Scimmie, con qualche piccolo sforzo da parte dello spettatore, potrebbe idealmente collocarsi circa un millennio e mezzo prima degli eventi narrati nella pellicola di Schaffner. Certo, nel 2011 la paura della bomba atomica e delle radiazioni è inattuale, e dunque l'agente pericoloso per la razza umana diventa un potentissimo virus. Ma in fondo, le affermazioni di George Taylor sulla distruzione della civilità nel film del '68, attribuite appunto allo scoppio di armi radioattive, non sono che sue supposizioni, ascrivibili alla sua mentalità di uomo del 1972 (futuro imminente rispetto all'anno di realizzazione del film). Quindi si potrebbe ben immaginare che sia sbarcato sul mondo a cui L'Alba del Pianeta delle Scimmie prelude.
Tutto ciò, per dire che il regista Rupert Wyatt, qui al suo secondo lungometraggio, ha trovato assieme ai suoi sceneggiatori un modo intelligente per accontentare un po' tutti, riuscendo al contempo a raccontare la sua personale versione, evitando coraggiosamente di imitare altri modelli. Certo, per farlo ha dovuto un po' sudare e imporsi: lo dimostra il fatto che il film ha cambiato più volte soggetto e titolo: prima doveva chiamarsi Caesar e svilupparsi come remake "puro" di Conquista..., ma, per i motivi che abbiamo sopra indicato, non poteva proprio funzionare. Divenne allora Planet of the Apes: Genesis e infine soltanto Genesis, prima di approdare alla sua forma attuale. Evoluzione nell'evoluzione.
Non è questa la sede per un giudizio sul film, interpretato, tra gli altri, da James Franco, Freida Pinto, Brian Cox e l'esperto di ‘motion capture' Andy Serkis - già Gollum e King Kong per Peter Jackson - nei panni digitali del protagonista Cesare, ma una riflessione fondamentale è possibile delinearla.
Evolvere significa certo mantenere ciò che serve e svilupparlo al meglio, ma anche perdere qualcosa, rinunciando a funzioni e caratteristiche ormai desuete che non vengono più utilizzate. L'uomo, nel suo processo evolutivo a partire dalla scimmia, guadagna la parola e la postura eretta, rinunciando, ad esempio, al piede prensile, che non gli serve più dal momento che non vive più sugli alberi. La saga del Pianeta delle Scimmie, allo stesso modo, guadagna e perde qualcosa.
L'Alba... è un film semplice, facilmente comprensibile, che punta sui personaggi e le emozioni piuttosto che sul ‘twist' narrativo dato da elementi come paradossi temporali e teoria della relatività. Quel che guadagna è certamente la chiarezza, come ogni reboot degno di tal nome deve effettivamente fare. Quel che perde è un po' di potenza visionaria, e l'ormai tradizionale ‘finale shock'. Tutti i film della serie, finora, lo avevano avuto: nel primo, lo abbiamo detto più volte, Taylor scopre di trovarsi sulla Terra inorridendo di fronte alle rovine di Miss Liberty. Tutti gli altri capitoli hanno cercato di imitare questo climax, non sempre riuscendo ad eguagliarlo. L'Altra Faccia.. proponeva un massacro finale seguito dalla distruzione del pianeta, Fuga... il salvataggio a sorpresa di Cesare e la prima parola da parte di una scimmia, Conquista... la chiusura del cerchio dei paradossi temporali con la nascita effettiva del Pianeta delle Scimmie, Ultimo atto... la criptica lacrima da parte della statua di Cesare. Perfino il remake di Burton si incartava proprio nel finale, nel tentativo vano di assemblare un twist conclusivo anche alla sua versione. Non riveleremo il finale de L'Alba..., ma possiamo tranquillamente dire che non c'è nulla di simile. La trama segue semplicemente il suo percorso fino alla naturale conclusione.
Ecco come la vede lo stesso Wyatt: "Non era possibile riproporre le stesse tematiche dell'opera d'origine, ma abbiamo voluto comunque fare un film ricco dal punto di vista emozionale. Era un'altra epoca, con problemi molto più specifici. Noi abbiamo deciso di concentrarci sui maltrattamenti agli animali nei laboratori e ai pericoli di certe sperimentazioni genetiche. So che il pubblico si aspetta un finale a sorpresa, ma non l'ho cercato e, in tutta onestà, non mi sento obbligato a farlo. L'universo della saga è abbastanza ricco da poterlo evitare. Cercare di emulare l'originale ci avrebbe necessariamente spinto a un fallimento, perché non avremmo mai potuto trovare un'immagine con la stessa forza evocativa".
In compenso, gli appassionati della saga troveranno in questo film moltissime citazioni pescate un po' da tutte le pellicole precedenti: la prima scimmia catturata dagli uomini vine soprannominata "bright eyes", che era il nomignolo attribuito da Zira a Taylor nel primo film quando ancora non era in grado di pronunciare il suo nome. In un sequenza Cesare gioca con un modellino della Statua della Libertà. Anche qui il termine ‘monkey' viene utilizzato dagli umani come un'offesa verso i primati. Tra i seguaci di Cesare c'è un combattivo e coraggioso gorilla che potrebbe proprio essere il fantomatico Aldo del Mito scimmiesco. Sarà lui il primate in grado di pronunciare il primo ‘No' contro gli umani? Spoilerare su un film in uscita sarebbe davvero scorretto, e non lo faremo. Ci limitiamo qui a ricordare quanto raccontato da Cornelius in Fuga dal Pianeta delle Scimmie: "Un giorno, che è commemorato dalla mia specie e documentato interamente dai testi sacri, arrivò una scimmia chiamata Aldo. Non grugniva e non ringhiava, ma era in grado di articolare le parole. E ne disse una che gli umani gli avevano ripetuto un'infinità di volte: disse ‘No!'"
Se il film piacerà o no, potrà dirlo solo il Box Office, ma le carte per un rilancio del franchise, ora sono in tavola. Ed ecco qual'è l'ultimo stadio dell'evoluzione della saga al cinema. Grandi emozioni e massima semplicità.

Conclusioni

Anche il nostro personale percorso evolutivo nella percezione della saga scimmiesca termina con molti guadagni. Quando rivedremo i film, la serie tv, il cartoon o quant'altro di scimmiescamente ispirato ci piacerà ripescare dal cilindro crossmediale per rinfrescarci la memoria prima o dopo la visione de L'Alba del Pianeta delle Scimmie, lo faremo ora con un'ottica diversa, con la coscienza che non siamo solo di fronte a un racconto di primati parlanti, ma a qualcosa che ci parla di noi. Uno specchio per l'essere umano in generale, e per quello occidentale in particolare. Attraverso il nostro cammino concettuale, ne abbiamo estratto i punti salienti: l'evoluzionismo e il relativismo, in conflitto tra loro, ma anche il guerra e l'uso della tecnologia in ambito bellico, l'ansia da apocalisse, i diritti di uomini e animali e la parità delle razze, il rapporto tra mito e storia, l'eterno incontro/scontro tra fede e scienza.
Abbiamo constatato che evolvere significa guadagnare ma anche perdere. Cosa abbiamo perso nel nostro cammino di affinamento di conoscenza della saga? Non sapremmo dirlo. Chi non ama troppo i saggi sul cinema, ritendendo che studiare un flm equivalga in qualche modo a dissolverne la magia dietro una montagna di concetti e parole, direbbe che ora non saremmo più in grado di approcciare al franchise con uno sguardo puro, innocente, che ci permetterebbe di "sentire" le nostre affinità con la storia delle scimmie senza necessariamente doverne analizzare razionalmente il significato e la provenienza. A ciascuno il suo. Il cinema è arte popolare e democratica, per cui ognuno ha diritto di fruirne come meglio crede.
Noi pensiamo che comprendere il cinema permetta di immaginarne altro, sempre più bello, significativo, interessante, potente. In questo compito siamo tutti coinvolti: registi e sceneggiatori, come parte in causa. E poi critici e studiosi, che hanno tempo e modo di elaborare, smembrare e ricostruire "dall'esterno" acquisendo elementi che, per forza di cose, chi passa tutto il suo tempo in studio o sul set non può - né deve, per non minare appunto la sua spontaneià creativa - conoscere. E infine il pubblico, che oggi più che mai ha potere decisionale su ciò che vorrebbe o non vorrebbe vedere al cinema, dato che, con l'avvento di Internet, pirateria, peer-to-peer e Video on Demand non è più scontato che vedere, conoscere, assorbire un film significhi anche supportarlo economicamente in sala.
Per come termina L'Alba del Pianeta delle Scimmie, il futuro del franchise potrebbe assumere qualsiasi forma. Se i produttori si riterranno soddisfatti dei risultati, potremmo avere un sequel diretto, che narri i primi anni del governo di Cesare, oppure un remake puro del film del '68 che, coadiuvato dalle moderne tecnologie di filmmaking digitale, potrebbe finalmente mostrarci una ‘Ape City' moderna e fedele al romanzo di Boulle. Ma potrebbe anche non esserci nulla, oppure un ennesimo reboot. Al di là della qualità del film, c'è ancora spazio nel cuore e nei portafogli degli spettatori per una vicenda di scimmie intelligenti? Sarà il pubblico a decidere come andrà a finire. E sarà, ne siamo certi, un finale a sorpresa.

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