Speciale Godzilla: Diario di viaggio dal set

Il nostro inviato ci racconta la prima tappa del suo incontro ravvicinato col Godzillasauro

Speciale Godzilla: Diario di viaggio dal set
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Dove c'è un sacco di (schermo) verde, una portaerei senza il mare e tanti proiettili.

Vancouver, Canada, 17 giugno 2013
Il Godzilla Set Visit cominciò come una di quelle barzellette che non mi hanno mai fatto ridere: "C'era un italiano, un francese, un tedesco, un giapponese ...".
Fatto sta che era esattamente così, l'appuntamento per esser prelevati dal meraviglioso hotel sito al centro di Vancouver ed esser accompagnati, tramite navetta, sul set del Godzilla di Gareth Edwards era circa a mezzogiorno e, scendendo nella hall dell'albergo, mi incontrai per la prima volta con i colleghi di un po' tutto il mondo a cui, come me, era stata data la fantastica opportunità di stare lontani da casa per qualche giorno e vedere in prima persona come si lavora su un film hollywoodiano ad alto budget.
Mi sentivo sempre di più come l'italiano di quelle stupide barzellette specialmente quando, stringendo mani e presentandomi a tutti, alla fatidica domanda "where do you come from?" dovevo rispondere "Rome, Italy" e immaginavo che nella testa dell'interlocutore si formassero immagini di idraulici baffuti, cani che mangiano spaghetti con le polpette, Marlon Brando che accarezza il gatto e Nicolas Cage col mandolino in spalla. Ma stavo andando troppo indietro nel tempo. E me ne resi conto al momento in cui, dicendo che venivo dall'Italia, un giornalista mi salutò chiudendo la mano con le dita che si toccano tutte le une con le altre e agitando il polso su e giù. Scoprii poi che l'aveva imparato da Bastardi Senza Gloria secondo cui il gesto pulcinellesco del "che vuoi da me?" dovrebbe essere inteso in Italia come saluto. Risi e risposi mettendo una mano di piatto sotto al mento e proiettandola all'infuori velocemente due volte.

Godzilla on tour

Salito sulla navetta che ci avrebbe portato sul set di Godzilla scoprii che i giornalisti di cinema sono uguali in tutto il mondo: parlano solo di cinema. Insomma ero lì con gente che veniva dai punti più disparati del globo, con chissà quante cose interessanti da raccontare, che discutevano esclusivamente di "quanto ha incassato quello"; "faranno il sequel di quell'altro"; attori dimagriti, ingrassati, sposati, divorziati.
Sospirai. Ero in Canada, lontano fusi orari da casa ed ero felice come una Pasqua per questo, mi sentivo come Dorothy che si era lasciata il mondo in bianco e nero alle spalle e che ora si aggirava nel Mondo di Oz in Technicolor, eppure mi erano bastati pochi minuti in compagnia di giornalisti cinematografici per farmi ricordare che "Nessun posto è come cas..." no, mi correggo, "Che casa è un po' in tutti i posti".
Il viaggio dall'albergo al set fu breve, e lo passai chiacchierando con una collega più giovane, entusiasta e molto simpatica che mi raccontò un sacco di cose sul film di cui ci saremmo occupati. Solo al momento del nostro arrivo venni così a conoscenza, tramite lei, che il protagonista del film, Aaron Taylor Johnson, ha 23 anni ed è sposato con una donna di 45, e che la coppia ha due figli nati dal precedente matrimonio della consorte, mentre la collega durante il tragitto mi ha guardato strano almeno tre volte... nello specifico quando io, raccontandole cosa sapevo "in materia di Godzilla", ho nominato Mothra, Angilas e King Ghidorah.

Right in front of the Green Screen

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Scesi dalla navetta venimmo accolti da un tipo della Warner Bros. che ci avrebbe fatto da cicerone sul set per tutto il giorno, accogliente e solare come solo gli americani sanno essere: con jeans, camicia pesante, gilet e cappello da cowboy mi ricordò il Woody Harrelson di Benvenuti a Zombieland e, anche per questo, mi stette subito simpatico.
La navetta ci lasciò nel parcheggio del set, strapieno di trailers e camion di ogni dimensione, con gente che incessantemente saliva e scendeva da essi, portando cavi, luci, sedie, cibo. Dopo una breve sosta al carrozzone del catering dove ci offrirono da bere, ci accompagnarono sul set vero e proprio.
Situato in un grande parco verde, il centro del set era occupato dalla parte superiore di un'enorme portaerei, in scala 1:1, ricavata da una grande porzione del terreno del parco asfaltata. Ovviamente la ricostruzione dell'enorme parte superiore della nave non era completa, ma copriva solo ed esclusivamente la porzione che, nel film, sarebbe stata inquadrata. Se da un lato, il destro, considerando la posizione delle macchine da presa che l'avrebbero inquadrata, l'imbarcazione ricostruita finiva mozza, tronca, un pò come quando le strade asfaltate sono ancora in costruzione, sul lato sinistro erano evidenti segni di distruzione. Pezzi di scafo distrutto, elementi divelti e piegati gli uni sugli altri e bossoli di proiettili - o proiettili ancora integri - sparsi un po' dappertutto suggerendo che nel film la nave militare sarebbe stata protagonista, sicuramente, di una scena di grande azione. La ricostruzione dell'imbarcazione procedeva anche in verticale con un altissimo muro dalla grande porta centrale e un gigantesco numero 88 il cui perimetro era illuminato da tante lucine, sicuramente il numero di riconoscimento militare della portaerei. Il che suggeriva che nel film non sarebbe stata l'unica, ma piuttosto avrebbe fatto parte di una flotta. Attorno alla parte verticale della nave troneggiavano gli elementi del green screen che avrebbero permesso, agli artisti digitali in fase di post produzione, di "completare" il battello che nella versione live che stavamo visitando appariva come un vero e proprio "spicchio di nave". Lo schermo verde era, in realtà, onnipresente, buona parte del set era cinto da mura verdi alte decine di metri e sistemate da attrezzisti su delle gru. Il set era scoperto ma era illuminato da numerosi riflettori che lo immergevano in una luce innaturale e continua. Varie comparse, abbigliate da militari e piloti, correvano avanti e indietro. Nessun attore protagonista, per ora.
Il tipo dal grande cappello ci informò che la scena che quel giorno avrebbero girato qui sarebbe stata incentrata su di un attacco di Godzilla ad una portaerei dove si trovava il personaggio interpretato nel film da Ken Watanabe e sottolineò, sorridendo, che più tardi avremmo potuto vedere il Sig. Watanabe al lavoro, ma non Godzilla, che sarebbe stato aggiunto in digitale in post produzione. Capii subito il funzionamento della Hollywood contemporanea: puoi anche essere un grande attore, ma le icone, davvero, sono un'altra cosa: quelle si aggiungono in digitale!

Behind the Green Screen

Mi si permetta, in chiusura di questa prima parte di Diario del Godzilla set visit, un appunto ancor più personale: mi trovavo in prima persona sul set di un gigantesco film Hollywoodiano su di un'icona contemporanea di primissimo livello, qual è il Kaiju creato nel 1954 da quel genio assoluto di Ishiro Honda. Il green screen era ovunque - come fossero le mura smeraldine del Regno di Oz di cui sopra - e poggiavo i piedi sui set materiali che, fino ad ora, avevo visto solo nei contenuti speciali dei dvd e dei blu ray dei miei film preferiti.
Eppure la cosa che mi colpì di più fu tutto ciò che accadde fuori dal set. Centinaia di persone valorosissime e instancabili, donne e uomini che trascinavano continuamente e senza fiatare fasci di cavi pesantissimi, spostavano tavoli e riflettori, salivano e scendevano da scale e ruspe, trasportavano tubi per bagnare il set, poi altri tubi per asciugarlo, e il tutto sotto il non gentilissimo sole di giugno. Sono quelle persone di cui nessuno parla mai, perché il loro nome, nei titoli di coda - sempre se c'è - arriva troppo in fretta o troppo alla fine del rullo, quando già ci siamo alzati dalla sala e ci dirigiamo all'uscita a raccontare ai nostri amici cosa pensiamo del film.
Quel giorno ho visto girare una scena di un grande film Hollywoodiano, ho incontrato gli attori, il regista, ma vi assicuro che il lavoro di tutti quegli attrezzisti e tecnici, perfettamente in armonia tra loro, coreografati al millimetro e pronti a faticare fisicamente senza sosta mi è sembrato quello più valido in assoluto.
I film senza di loro non si fanno, eppure nessuno saprà mai se sono dimagriti, ingrassati, sposati, divorziati.


Godzilla e Piccion

Mauro Antonini, giornalista crossmediale, scrittore ed autore, nonché nostro inviato sul set di Godzilla, è anche autore di PiccionCinema, la popolare webseries che oggi, in esclusiva per Everyeye, presenta le prime inedite e richiestissime vignette dedicate al film di Gareth Edwards.
Piccion è un piccione viaggiatore, con il potere speciale di comparire nei momenti focali di tutta la storia del cinema. Invade spazi che non gli appartengono, si imPICCia, e si trova di vignetta in vignetta sbalzato in situazioni che lo vedono in pericolo o pronto a fare amicizia con le icone del cinema classico e contemporaneo.

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