Ghost in the Shell: dalle opere di Masamune Shirow al live-action

Cosa hanno in comune e quali sono le differenze tra l'opera cyberpunk di Masamune Shirow e il live-action Ghost in The Shell di Rupert Sanders.

Ghost in the Shell: dalle opere di Masamune Shirow al live-action
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È stato uno dei film più discussi dell'anno Ghost in The Shell e non solo per le futili questioni di whitewashing che hanno dato vita a labili polemiche, ma soprattutto perché la maggior parte degli amanti del franchise nato dalla fantasia e dalla matita di Masamune Shirow si sono chiesti come avrebbe potuto un film palesemente mainstream e di hollywoodiana matrice fare sue tematiche complesse come quelle che il fumettista giapponese ha inserito nella sua opera cyberpunk. Ed effettivamente il regista Rupert Sanders e la sua squadra di sceneggiatori, composta da Jamie Moss e William Wheeler, non sono riusciti ad entrare nel "ghost" degli anime e dei manga di Masamune Shirow ma semplicemente hanno preso qui e lì alcuni personaggi e iconiche scene degli stessi per poi farci quello che a tutti gli effetti è un mero cinecomic, la cui protagonista è per caratterizzazione più vicina a Robocop piuttosto che a una qualunque delle tante versioni "originali" del Maggiore Motoko Kusanagi.

I personaggi

Se personaggi ben noti agli appassionati di Ghost in The Shell, come il Capo della Sezione 9 Daisuke Aramaki e Batou, più o meno rispecchiano quelli creati da Masamune Shirow, la protagonista Mira/Motoko e il villain Kuze poco hanno in comune con i loro alter ego animati. Oltre al nome modificato per incomprensibili motivi e un'interprete come Scarlett Johansson che non ne rispecchia la massiccia fisicità, infatti, il Maggiore del live-action Ghost in The Shell ha una storia, un passato quasi totalmente inediti: in nessuna delle opere legate al franchise giapponese, infatti, le origini del cyborg - che nella pellicola è stata senza alcun motivo rinominata Mira - vengono spiegate nel modo in cui sono palesate nel lungometraggio e men che mai l'epilogo delle sue avventure è mai stato così semplicistico e privo della possibilità di potergli dare più di una interpretazione. Per quanto riguarda invece Kuze, il villain del film, il personaggio è un ibrido nato per questa trasposizione cinematografica dall'unione di due conosciuti "volti" del lavoro di Masamune Shirow, ovvero il Burattinaio dell'anime del 1985 e un cyborg che compare nell'anime Ghost in the Shell: Stand Alone Complex - 2nd GIG, Hideo Kuze, che effettivamente - come nel film - ha conosciuto durante la sua infanzia Motoko ma, a differenza di quel che accade nel lungometraggio, nella serie animata è proprio il Maggiore ad essere stata una figura fondamentale per la sua nuova vita.

Le scene in comune

Esattamente come per la (ri)costruzione dei personaggi principali, anche per quanto riguarda la costruzione del lungometraggio stesso, il cineasta Rupert Sanders ha deciso di prendere spunto da diversi prodotti del meraviglioso e retro-futuristico universo di Ghost in The Shell e di mixare - un po' a caso - il meglio delle versioni animate cinematografiche e non. In particolare Sanders ha attinto tantissimo dal film d'animazione del 1985, che effettivamente è la versione più nota della storia di Motoko Kusanagi: della pellicola di Mamoru Oshii, infatti, possiamo goderci in versione live-action splendide ricostruzioni del salto nel vuoto, delle poetiche immersioni del Maggiore e - soprattutto - quella straordinaria scena in cui il corpo della protagonista si strappa letteralmente nel suo tentativo di aprire il portellone del Fuchikoma. Come accennato, oltre che dal lungometraggio d'animazione di Oshii, Ghost in The Shell attinge anche a piene mani dalla serie, in particolare per la scena in cui il Mira/Motoko è chiamata ad attaccare le geishe robot nella prima "azione" che compie nel film.

Cosa manca

Al di là di questi copia/incolla dall'anime al live-action in realtà il vero problema di questa prima trasposizione in carne ed ossa di Ghost in The Shell non è quello che c'è ma quello che manca. La pellicola, infatti, non dà allo spettatore la possibilità di poter capire il Maggiore attraverso i suoi comportamenti, il suo rapporto con gli altri personaggi e, anche, la sua promiscua sessualità. Tutto quello che nelle opere originali noi comprendiamo lentamente, attraverso il pacato tormento di Mira/Motoko viene svelato già nei primi minuti del film in un paio di dialoghi, per poi lasciare spazio a una trama "action" dall'epilogo che in realtà non libera la protagonista grazie a una "rinascita", come dovrebbe, ma dà al film un finale aperto e banale che strizza l'occhio alla possibilità di un sequel in cui la narrazione ripartirà, come da hollywoodiano copione, dallo "status quo". Il lungometraggio di animazione diretto nel '95 da Mamoru Oshii, d'altronde, si concludeva con un potente quesito, "e ora dove andrà questo essere appena nato? La rete è vasta e infinita", ed è proprio l'assenza di questo - in virtù del suo profondo significato - a rendere tutto l'estetico lavoro di Sanders niente di più che un costosissimo omaggio "fan made"al franchise Ghost in The Shell .

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