Speciale Frankenweenie

Frankenweenie... una settimana dopo.

Speciale Frankenweenie
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Temuto, atteso, applaudito: dopo tentativi più o meno riusciti e lavori, soprattutto negli ultimi anni, di discutibile successo, la nuova fatica di Tim Burton è finalmente arrivata al cinema. Come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione, noi abbiamo amato particolarmente Frankenweenie per la sua capacità di essere moderno e classico allo stesso tempo. Molti lo hanno definito "il ritorno di Tim Burton" e sicuramente Frankenweenie è un ricalcare di metodologie e temi molto cari al regista. Il film trae ispirazione dai classici horror che hanno nutrito gli anni della giovinezza di Burton: girato in bianco e nero ne esprime tutta l'innocenza, espressa soprattutto dalla tecnica di animazione in stop-motion, capace di rispettare la naturalezza della storia pur arricchendola di profondità e dettagli. Un lavoro che è riuscito ad affascinare tutti, tanto che Frankenweenie si è conquistato una nomination ai BAFTA e agli Oscar per Miglior film di animazione e ha già vinto, nella stessa categoria, il Boston Society of Film Critics Awards. Il tornare alle proprie radici di Burton sembra avergli dato la possibilità di andare avanti, uscendo a testa alta da quella spirale in discesa in cui era caduto negli ultimi anni.

Da Frankenweenie a Frankenweenie

La genesi del nuovo film di Burton è nota a molti. L'idea di Frankenweenie è sempre stata quella di un lungometraggio in stop-motion ma, a causa dei limiti imposti dal budget, nel 1984 divenne un cortometraggio in live-action per Disney. Fu lo stesso regista a realizzare i disegni dei personaggi creati dalla sua stessa mente: questi schizzi sono gli stessi usati come base dei personaggi di questo Frankenweenie, uniti ad altri originali. È impossibile non riconoscere in alcuni dei protagonisti le linee e le espressioni, le movenze e gli atteggiamenti, dei piccoli protagonisti su carta di Morte Malinconica del Bambino Ostrica, il libro di disegni e storie di Tim Burton, così come non vedere in loro i richiami dei protagonisti dei classici film horror degli anni '30. Frankenweenie diviene così l'espandersi di un progetto incompiuto e covato nella mente del regista per tutta una vita, un complesso schema di omaggi e richiami, di immagini ponderate ormai mature, una rete di link affascinanti e impeccabili. Un esempio? Il Sig. Rzykruski, doppiato nella versione originale da Martin Landau, è un tributo a Vincent Price, il compianto attore noto per i suoi leggendari ruoli in molti film horror (La maschera di cera, Il mostro delle nebbie, L'esperimento del dottor K). Nel 1982 Price è stato la voce narrante di Vincent, il poetico corto di sei minuti in stop-motion realizzato da Burton, che parla di un bambino che immagina di essere Vincent Price. In seguito Price ha recitato il ruolo dell'inventore in Edward mani di forbice... e quello è stato il suo ultimo ruolo sul grande schermo.

Il 3D nella stop-motion

Quando abbiamo visto Frankenweenie a novembre si trattava di una copia in 2D e in lingua originale, per questo ci è sembrato doveroso aggiungere un ulteriore approfondimento sul film che parlasse anche del doppiaggio italiano e, soprattutto, della resa stereoscopica del film.
Ultimamente, nonostante il doppiaggio italiano abbia una storia di ottimi successi alle spalle, si sente sempre di più il desiderio di assaporare la pellicola in lingua originale, in modo da poter approfittare di tutte le sfumature che la recitazione dal vivo regala all'interpretazione. Un discorso che non vale per l'animazione? Sicuramente in questo campo le circostanze sono differenti e, trattandosi comunque di un lavoro di doppiaggio, il livello finale è molto buono in qualsiasi lingua (ma non è certo una regola applicabile a tutti i film d'animazione). Frankenweenie, anche nella versione italiana, regala delle voci ben incollate ai suoi personaggi, evocative ed esplicative delle peculiarità soggettive di chi le indossa, capaci di arrotondare le immagini e renderle emotivamente reali.
La sensazione di totale realtà, in questo film, è data anche dalla sorprendente capacità dei personaggi di essere materiali, tattili, corposi: una caratteristica tipica dell'animazione in stop-motion che in Frankenweenie raggiunge altissimi livelli di definizione. Le profondità permesse dalla costruzione di set reali è visibile anche da un occhio meno esperto e viene quasi da chiedersi quali apporti possa dare il 3D. Nel caso del film di Tim Burton la stereoscopia è divertente e allarga maggiormente lo sguardo dello spettatore, ma non si può di certo dire che sia fondamentale al totale apprezzamento (e conseguente innamoramento) della pellicola. Anzi... in alcuni momenti, nella versione 3D di Frankenweenie, sembra che l'animazione proceda a piccoli scatti (situazioni davvero molto piccole e quasi impercettibili), certamente colpa dell'elaborazione dell'immagine e del movimento, da parte dell'occhio umano, più macchinosa rispetto alla visione in 2D, estremamente fluida e incredibilmente realistica. Una piccola pecca, che però perdoniamo a Tim Burton perché sappiamo quanto egli sia sempre alla ricerca di sperimentazioni, di nuovi modi per creare e ampliare il suo magico mondo visionario.

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