Fast & Furious 9 arriverà nelle sale italiane il 18 agosto, l'ultimo capitolo di una saga che, vent'anni fa, permise a Vin Diesel e Paul Walker di diventare delle celebrità, un simbolo per una generazione, il "via" di un iter cinematografico che li ha portati verso vette di successo e popolarità che nessuno poteva prevedere. Era cominciata con gare clandestine nella California multiculturale, è finita con macchine nello Spazio, sommergibili, un gigantismo incredibile, un dedalo di personaggi ed eventi che anno dopo anno si sono incuneati nella mente del pubblico.
Ora è però giunto anche il momento di fare i conti con l'eredità di tutto questo, e ancor più con la sua identità, con ciò che rappresenta, l'insieme di significati e riferimenti che l'hanno reso in tutto e per tutto un universo in cui regna una nuova mitologia.
Fast & Furious e il mito della frontiera
Può sembrare eccessivo parlare di "miti" riferendosi alle avventure della banda Toretto, ma se ci si concentra sul significato di tale parola, su come essa sia strutturata per esprimere le modalità con cui il mondo e chi ne fa parte siano descritte in un certo modo, all'interno di un preciso contesto socioculturale, la cosa acquista più senso.
Qualora tale definizione non bastasse, si può anche comprendere quella di mito eziologico e di mito storico, applicato al grande contenitore a cui fa riferimento questa saga: la società americana. In tutto e per tutto, fin dagli inizi Fast & Furious si è infatti posta come un'estremizzazione del mito americano, più ancora dei modelli culturali che da sempre hanno reso l'America la patria dell'individualismo più spinto e autoreferenziale. Nel primo film, il poliziotto Brian rappresentava l'ordine, la disciplina, lo status quo di un universo basato su una semplicissima struttura divisa tra bene e male, legge e non legge, incaricato di infiltrarsi in una banda composta da individui assolutamente distanti da ogni cosa egli rappresentasse. Il mondo di Brian segue protocolli, leggi, numeri e un iter programmato, quello di Dom Toretto e dei suoi è invece in totale antitesi all'ordine dello Stato, si rifà piuttosto al mito della frontiera, all'individualismo più totalizzante e incurante della società.
Dedita alle corse clandestine, parte di un mondo in cui contano solo coraggio, sprezzo del pericolo e il proprio nome, la banda Toretto è stata fin dall'inizio la versione aggiornata del mito del fuorilegge, del gangster tanto caro alla cinematografia e narrativa americana. Uomini come i fratelli James, Reno o Dalton, come Sam Bass e più avanti John Dillinger, affascinavano (e continuano ad affascinare) proprio perché alfieri di una libertà personale, di uno staccarsi dai principi e dalle regole della "gente normale".
Tra uomini virili e libertà assoluta
Tale elemento, oltre che dal celeberrimo Nemico Pubblico di Michael Mann, era stato già anticipato dal grande regista anche nel leggendario Heat, nel confronto tra due uomini totalmente asserviti alla loro professione, incapaci di tirarsi indietro, diversi eppure uguali.
Nel primo Fast & Furious, come nel più classico dei polizieschi, l'agente e il criminale diventavano amici, complicando la vita per entrambi, per quanto poi alla fine Brian salvasse Dom, riconoscendo in lui quei valori che pensava di aver trovato nella divisa. Uno degli aspetti più ricorrenti nella cinematografia dedicata ai criminali (che li ha resi in realtà un simbolo torbido del loro concetto di libertà) è il fatto che essi siano liberi da quelle catene esistenziali e materiali, da quei limiti che intimamente ogni americano odia. Internet è pieno di meme dedicati alla "famiglia" di Dom, ma in realtà il gruppo (via via allargatosi e rinnovatosi) non è poi così diverso dalle tante gang e bande fuorilegge che in fondo si sceglievano l'un l'altro ai tempi della Colt o dei mitra Thompson, uniti da un comune codice e finalità. Le stesse auto a bordo delle quali si perdono per la Città degli Angeli descritta da Ellroy e nei deserti amati da John Ford, in fondo sono sempre state le eredi dei mustang e sauri in sella ai quali fu costruito il mito della Frontiera.
Tale mito si rifà al concetto di uomini temerari, individualisti all'estremo, pieni di energia, senso pratico e audacia. Sono tutte doti che Dom Toretto porta avanti, calibrate nel suo essere qualcosa a metà tra un rider e un capobanda, un bandito e un cavaliere solitario. Dom non ne vuole sapere di vivere "come gli altri", così come non ne volevano sapere Dillinger, Neil McCauley, Mad Dog Call e tanti altri che infrangevano la legge vivendo come fa lui: un quarto di miglio alla volta.
Un racconto sull'amicizia al tempo della Mtv Generation
Tuttavia vi è molto più dell'epica del ribelle, del macho palestrato attorniato da macchine, pupe e birre. Sì perché il grande tema trainante per quasi tutti i film della saga è stato l'amicizia virile. Fino alla tragica scomparsa di Paul Walker, Brian e Dom erano il pilastro di una dimensione da buddy movie in cui lealtà, onore, fedeltà reciproca e complicità andavano a braccetto.
Ogni prova, ogni duello, ogni scontro era un test al legame tra i due, era un'occasione per rafforzare il loro legame, si muovevano su un comune percorso in cui ognuno, come nei più classici miti antichi, era l'opposto dell'altro, completandosi a vicenda. Brian era il più riflessivo, più sotto le righe e il meno estremo tra i due, con un atteggiamento sicuramente meno netto, a lungo è stato a metà tra l'uomo di legge e il desperado, ma anche dopo aver abbracciato la vita di Dom non ha rinunciato a uno stile di vita più "borghese" e conservativo. Si sposa, fa un figlio, cerca una vita tranquilla in Brasile. Allo stesso tempo rimane un rapinatore incallito e abile. La sua è un'anima divisa a metà.
Dom invece è totale passione e improvvisazione, è orfano, cresciuto per la strada e riconosce solo quella come il posto in cui vuole stare. Anche dopo essere diventato padre, di base si isola da tutto e tutti, la stessa paternità è una sorpresa a cui si adatta, non una scelta di vita.
In lui rivive il sogno del lupo solitario, il rifiuto a quella vita lontana dai guai fino al giorno in cui morirai, ma vi è di più. Tutta la sua essenza, la sua comunicatività, è permeata da riferimenti a dir poco fortissimi alla cultura musicale degli anni '90, alla dimensione della Mtv Generation, a quella California a metà tra hip hop e metal, tra ribellione e mito consumistico. Perché Dom e poi Brian si muovevano in un mondo incredibilmente materialista, onorando i simboli della potenza americana e del successo: auto, donne sexy, soldi facili, muscoli pompati e denti perfetti. In loro rivive il mito dei macho reganiani alla Stallone o Schwarzy, permeato però di notevole autoironia o comunque di pari gigioneria.
Il contenitore di un'epoca di rivoluzioni
Nel suo "Da Omero a Dallas", il filosofo Florence Dupont ipotizzava che la telenovela americana altro non fosse che l'equivalente dei racconti omerici, di quell'oralità che celebrava un costume, un'identità collettiva, mediante un'evasione dalla quotidianità che però si glorificava.
Tale assioma può essere applicato sicuramente a Fast & Furious, alla saga più prolifica della storia del cinema, nonché quella che è mutata più profondamente. La società occidentale è cambiata, si è fatta più inclusiva e diversificata, e in questo Vin Diesel e soci sono stati dei perfetti profeti. Nel mondo di Toretto ci sono bianchi, neri, asiatici e latinos, le donne sono tutto tranne che indifese o passive, anzi proprio una di loro, Cipher, si rivelerà la nemesi più terribile mai incontrata nell'ottavo episodio. Fast & Furious ha quindi celebrato la civiltà e il sogno americano che diventava alla portata di tutti (almeno apparentemente), aprendo al pubblico nuovi Paesi, innestando la narrazione su un progressivo gigantismo specchio del mondo globalizzato. Nel farlo si è posto come interprete di mode e costumi, ha mostrato la rivoluzione tecnologica digitale, l'azzeramento dei confini nel mondo moderno, si è fatto quindi quadro celebrativo di un'epoca di profondi mutamenti.
Il nemico? Dai boss mafiosi e gang rivali, dalla strada con tutti i suoi pericoli, si è passati a supercriminali, alla cybersicurezza, qualcosa di molto più vicino alla realtà e alla nostra epoca. Eppure, Fast & Furious non per questo ha rinunciato a parlarci del "branco", della famiglia moderna slegata dal sangue e connessa a interessi e valori comuni, che travalicavano lingua o cultura, abbracciando la narrazione post-moderna, un mondo sempre più tecnologico e veloce, interattivo. Ecco il segreto dietro il suo successo: aver reinterpretato dei topoi, essere rimasta se stessa pur cambiando in continuazione.
Fast & Furious, una saga al limite: 20 anni di eccessi, miti e cultura pop
Il nono capitolo della saga è l'occasione giusta per guardare cosa ha rappresentato l'universo di Toretto & Family in Fast & Furious.
Fast & Furious 9 arriverà nelle sale italiane il 18 agosto, l'ultimo capitolo di una saga che, vent'anni fa, permise a Vin Diesel e Paul Walker di diventare delle celebrità, un simbolo per una generazione, il "via" di un iter cinematografico che li ha portati verso vette di successo e popolarità che nessuno poteva prevedere.
Era cominciata con gare clandestine nella California multiculturale, è finita con macchine nello Spazio, sommergibili, un gigantismo incredibile, un dedalo di personaggi ed eventi che anno dopo anno si sono incuneati nella mente del pubblico.
Ora è però giunto anche il momento di fare i conti con l'eredità di tutto questo, e ancor più con la sua identità, con ciò che rappresenta, l'insieme di significati e riferimenti che l'hanno reso in tutto e per tutto un universo in cui regna una nuova mitologia.
Fast & Furious e il mito della frontiera
Può sembrare eccessivo parlare di "miti" riferendosi alle avventure della banda Toretto, ma se ci si concentra sul significato di tale parola, su come essa sia strutturata per esprimere le modalità con cui il mondo e chi ne fa parte siano descritte in un certo modo, all'interno di un preciso contesto socioculturale, la cosa acquista più senso.
Qualora tale definizione non bastasse, si può anche comprendere quella di mito eziologico e di mito storico, applicato al grande contenitore a cui fa riferimento questa saga: la società americana.
In tutto e per tutto, fin dagli inizi Fast & Furious si è infatti posta come un'estremizzazione del mito americano, più ancora dei modelli culturali che da sempre hanno reso l'America la patria dell'individualismo più spinto e autoreferenziale.
Nel primo film, il poliziotto Brian rappresentava l'ordine, la disciplina, lo status quo di un universo basato su una semplicissima struttura divisa tra bene e male, legge e non legge, incaricato di infiltrarsi in una banda composta da individui assolutamente distanti da ogni cosa egli rappresentasse.
Il mondo di Brian segue protocolli, leggi, numeri e un iter programmato, quello di Dom Toretto e dei suoi è invece in totale antitesi all'ordine dello Stato, si rifà piuttosto al mito della frontiera, all'individualismo più totalizzante e incurante della società.
Dedita alle corse clandestine, parte di un mondo in cui contano solo coraggio, sprezzo del pericolo e il proprio nome, la banda Toretto è stata fin dall'inizio la versione aggiornata del mito del fuorilegge, del gangster tanto caro alla cinematografia e narrativa americana.
Uomini come i fratelli James, Reno o Dalton, come Sam Bass e più avanti John Dillinger, affascinavano (e continuano ad affascinare) proprio perché alfieri di una libertà personale, di uno staccarsi dai principi e dalle regole della "gente normale".
Tra uomini virili e libertà assoluta
Tale elemento, oltre che dal celeberrimo Nemico Pubblico di Michael Mann, era stato già anticipato dal grande regista anche nel leggendario Heat, nel confronto tra due uomini totalmente asserviti alla loro professione, incapaci di tirarsi indietro, diversi eppure uguali.
Nel primo Fast & Furious, come nel più classico dei polizieschi, l'agente e il criminale diventavano amici, complicando la vita per entrambi, per quanto poi alla fine Brian salvasse Dom, riconoscendo in lui quei valori che pensava di aver trovato nella divisa.
Uno degli aspetti più ricorrenti nella cinematografia dedicata ai criminali (che li ha resi in realtà un simbolo torbido del loro concetto di libertà) è il fatto che essi siano liberi da quelle catene esistenziali e materiali, da quei limiti che intimamente ogni americano odia.
Internet è pieno di meme dedicati alla "famiglia" di Dom, ma in realtà il gruppo (via via allargatosi e rinnovatosi) non è poi così diverso dalle tante gang e bande fuorilegge che in fondo si sceglievano l'un l'altro ai tempi della Colt o dei mitra Thompson, uniti da un comune codice e finalità.
Le stesse auto a bordo delle quali si perdono per la Città degli Angeli descritta da Ellroy e nei deserti amati da John Ford, in fondo sono sempre state le eredi dei mustang e sauri in sella ai quali fu costruito il mito della Frontiera.
Tale mito si rifà al concetto di uomini temerari, individualisti all'estremo, pieni di energia, senso pratico e audacia. Sono tutte doti che Dom Toretto porta avanti, calibrate nel suo essere qualcosa a metà tra un rider e un capobanda, un bandito e un cavaliere solitario.
Dom non ne vuole sapere di vivere "come gli altri", così come non ne volevano sapere Dillinger, Neil McCauley, Mad Dog Call e tanti altri che infrangevano la legge vivendo come fa lui: un quarto di miglio alla volta.
Un racconto sull'amicizia al tempo della Mtv Generation
Tuttavia vi è molto più dell'epica del ribelle, del macho palestrato attorniato da macchine, pupe e birre. Sì perché il grande tema trainante per quasi tutti i film della saga è stato l'amicizia virile.
Fino alla tragica scomparsa di Paul Walker, Brian e Dom erano il pilastro di una dimensione da buddy movie in cui lealtà, onore, fedeltà reciproca e complicità andavano a braccetto.
Ogni prova, ogni duello, ogni scontro era un test al legame tra i due, era un'occasione per rafforzare il loro legame, si muovevano su un comune percorso in cui ognuno, come nei più classici miti antichi, era l'opposto dell'altro, completandosi a vicenda.
Brian era il più riflessivo, più sotto le righe e il meno estremo tra i due, con un atteggiamento sicuramente meno netto, a lungo è stato a metà tra l'uomo di legge e il desperado, ma anche dopo aver abbracciato la vita di Dom non ha rinunciato a uno stile di vita più "borghese" e conservativo. Si sposa, fa un figlio, cerca una vita tranquilla in Brasile. Allo stesso tempo rimane un rapinatore incallito e abile. La sua è un'anima divisa a metà.
Dom invece è totale passione e improvvisazione, è orfano, cresciuto per la strada e riconosce solo quella come il posto in cui vuole stare. Anche dopo essere diventato padre, di base si isola da tutto e tutti, la stessa paternità è una sorpresa a cui si adatta, non una scelta di vita.
In lui rivive il sogno del lupo solitario, il rifiuto a quella vita lontana dai guai fino al giorno in cui morirai, ma vi è di più. Tutta la sua essenza, la sua comunicatività, è permeata da riferimenti a dir poco fortissimi alla cultura musicale degli anni '90, alla dimensione della Mtv Generation, a quella California a metà tra hip hop e metal, tra ribellione e mito consumistico.
Perché Dom e poi Brian si muovevano in un mondo incredibilmente materialista, onorando i simboli della potenza americana e del successo: auto, donne sexy, soldi facili, muscoli pompati e denti perfetti. In loro rivive il mito dei macho reganiani alla Stallone o Schwarzy, permeato però di notevole autoironia o comunque di pari gigioneria.
Il contenitore di un'epoca di rivoluzioni
Nel suo "Da Omero a Dallas", il filosofo Florence Dupont ipotizzava che la telenovela americana altro non fosse che l'equivalente dei racconti omerici, di quell'oralità che celebrava un costume, un'identità collettiva, mediante un'evasione dalla quotidianità che però si glorificava.
Tale assioma può essere applicato sicuramente a Fast & Furious, alla saga più prolifica della storia del cinema, nonché quella che è mutata più profondamente. La società occidentale è cambiata, si è fatta più inclusiva e diversificata, e in questo Vin Diesel e soci sono stati dei perfetti profeti.
Nel mondo di Toretto ci sono bianchi, neri, asiatici e latinos, le donne sono tutto tranne che indifese o passive, anzi proprio una di loro, Cipher, si rivelerà la nemesi più terribile mai incontrata nell'ottavo episodio.
Fast & Furious ha quindi celebrato la civiltà e il sogno americano che diventava alla portata di tutti (almeno apparentemente), aprendo al pubblico nuovi Paesi, innestando la narrazione su un progressivo gigantismo specchio del mondo globalizzato.
Nel farlo si è posto come interprete di mode e costumi, ha mostrato la rivoluzione tecnologica digitale, l'azzeramento dei confini nel mondo moderno, si è fatto quindi quadro celebrativo di un'epoca di profondi mutamenti.
Il nemico? Dai boss mafiosi e gang rivali, dalla strada con tutti i suoi pericoli, si è passati a supercriminali, alla cybersicurezza, qualcosa di molto più vicino alla realtà e alla nostra epoca.
Eppure, Fast & Furious non per questo ha rinunciato a parlarci del "branco", della famiglia moderna slegata dal sangue e connessa a interessi e valori comuni, che travalicavano lingua o cultura, abbracciando la narrazione post-moderna, un mondo sempre più tecnologico e veloce, interattivo.
Ecco il segreto dietro il suo successo: aver reinterpretato dei topoi, essere rimasta se stessa pur cambiando in continuazione.
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