Everycult: Una squillo per l'ispettore Klute di Alan J. Pakula

L'Everycult di oggi è dedicato a Una squillo per l'ispettore Klute, poliziesco del 1971 firmato Alan J. Pakula.

Everycult: Una squillo per l'ispettore Klute di Alan J. Pakula
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Una squillo per l'ispettore Klute di Alan J. Pakula è uno dei film più epocali e fondamentali della Hollywood degli anni '70. Arrivato praticamente agli albori del celebre movimento culturale e artistico noto come "New Hollywood", che avrebbe caratterizzato l'industria del cinema americano per oltre un decennio riempiendola di tutte le correnti e influenze che arrivavano dall'Europa dei registi francesi e italiani, il thriller investigativo con Donald Sutherland e Jane Fonda è l'apripista di un'era di paranoie e oscurità strisciante, nascosta nell'ombra, di inquietudine e sconforto esistenziale che sarebbe esplosa con titoli più blasonati.
È soprattutto da qui che vengono le manie di persecuzione de La Conversazione di Francis Ford Coppola, o il racconto di un certo sottobosco newyorkese che sarebbe diventato iconico con Taxi Driver di Martin Scorsese, o la deflagrante rassegnazione di Blow Out di Brian De Palma: un filo conduttore che va dal 1971 al 1981 e delinea un'America persa, spaventata, impossibilitata al progresso perché schiacciata da pesi invisibili.

Poliziesco, thriller, noir

Il film di Alan J. Pakula, primo capitolo di una trilogia tematica che include anche Perché un assassino e Tutti gli uomini del Presidente, si muove in un mondo torbido, tra prostituzione e omicidi, con il protagonista interpretato da Donald Sutherland che viene incaricato di indagare sulla scomparsa di un dirigente di un'azienda della Pennsylvania: risalirà fino a Bree Daniels, una squillo di New York interpretata magistralmente da una Jane Fonda più sensuale che mai e vincitrice dell'Oscar come migliore attrice.
Ecco quindi subito il primo tema affrontato dalla pellicola: l'arrivo della provincia (lo stato della Pennsylvania, al confine col Canada) nella metropoli statunitense per eccellenza, la Grande Mela, che non a caso sarebbe diventata il fulcro della New Hollywood rispondendo allo strapotere di Los Angeles.
Klute, grazie o per colpa di Bree, sarà iniziato al sottobosco della prostituzione newyorkese - quello che Travis Bickle cercherà di sventare da solo a colpi di revolver - scoprendo che alcune ragazze sono state assassinate da un maniaco sconosciuto, forse un serial killer.

Tutto si complica quando il rapporto tra Klute e la squillo Bree si fa sempre più stretto, l'uomo retto e ligio al dovere forse inizierà a vacillare sotto i colpi del fascino della prostituta e i confini tra indagine professionale e questione personale si assottiglieranno per colpa proprio del serial killer, che prenderà di mira la ragazza.
Già così è un soggetto incredibilmente appassionante, che non a caso Matt Reeves ha citato come una delle ispirazioni per l'attesissimo The Batman con Robert Pattinson, eppure in mano ad Alan J. Pakula diventa il punto d'accesso a qualcos'altro, una riflessione profonda sullo stato dell'America di allora e, di riflesso, sul suo modo di fare cinema.
Ispirato tanto dai gialli di Alfred Hitchcock quanto ai drammi esistenzialisti di Ingmar Bergman, Una squillo per l'ispettore Klute potrebbe facilmente rappresentare la migliore commistione di due tipi di cinema, quanto mai diversi eppure felicemente uniti nel thriller del '71: a metà tra il noir e il melodramma, è sia un'analisi lucidissima della vita femminile sia un'immersione nel cuore nero degli uomini.

Il passaggio a una nuova era

In questo senso John Klute, il protagonista che dà il titolo al film (in originale intitolato solo "Klute", appunto), rappresenta la personificazione antropomorfa di un pensiero progressista, il passaggio a una nuova era per il cinema statunitense.
Candido e puro, mosso da sani principi, praticamente le caratteristiche su cui era fondata la Hollywood Classica, nel corso della sua avventura subisce una trasformazione profonda che modificherà la sua natura, ora compromessa definitivamente dalle sue esperienze.

Certo sarebbe sbagliato dire che la New Hollywood inizia con Klute, negli anni precedenti alla fine dei '60 c'era già stato qualche titolo che aveva innescato la miccia come Il laureato, Gangster Story e Easy Rider solo per citarne alcuni, ma Pakula sposta il centro dell'azione a New York (seguendo l'esempio di Rosemary's Baby di Roman Polanski) e l'allontanarsi da Hollywood e le sue regole sembra concedergli il lusso di infrangerle tutte.
Il film va contro ogni singola aspettativa che allestisce, si pone come la storia di un detective ma ha più a che fare con la prostituta che con l'ispettore, si presenta come un whodunit che però svela il suo mistero nella prima ora, si atteggia a thriller ma ha quasi zero violenza e agisce su un livello completamente diverso.

Il vero mistero al centro di Klute è comprendere Bree, che ci viene presentata nella primissima scena solo attraverso una voce registrata su nastro, sia erotica che professionale, poi la incontriamo fisicamente ma in silenzio, seduta come una statua per essere valutata. Una giustapposizione incredibile che già dice tutto su una donna in gabbia, dalla parola incredibile quando non la si può vedere e bellissima se le viene impedito di parlare, una vittima predestinata che in quella vita sembra non avere la possibilità di essere una persona completa fatta sia di corpo che di voce.
Nell'ultima scena non a caso è così che il film la dipinge, a figura intera e alla cornetta del telefono, in un appartamento vuoto che sta per lasciare per sempre: è diventata un essere completo, un prototipo di femminismo che dura ancora oggi insieme all'eredità del film.

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