Everycult: Pulp Fiction di Quentin Tarantino

L'Everycult della settimana è Pulp Fiction, secondo lungometraggio del regista e sceneggiatore Quentin Tarantino.

Everycult: Pulp Fiction di Quentin Tarantino
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Il leggendario critico cinematografico Roger Ebert, durante il festival di Cannes del 1994, incontrò Quentin Tarantino a un party serale post-Pulp Fiction. Il nuovo film del regista de Le Iene era già stato proiettato, aveva già sconvolto la platea della Croisette e si era già prenotato quella Palma d'Oro che, qualche giorno più tardi, gli sarebbe stata assegnata dalla giuria presieduta da Clint Eastwood e rappresentata - tra gli altri - da Pupi Avati, Sang-ok Shin e il premio Nobel Kazuo Ishiguro.
Ebbene, a questa festa privata Ebert incrociò il giovane Tarantino e colse al volo l'occasione per fermarlo e dirgli personalmente cosa ne pensava del suo film. Quando intuì le intenzione del critico, al regista il drink andò quasi di traverso, perché Ebert rappresentava l'apice della critica americana e il film non aveva convinto durante il Festival (alcuni avrebbero fischiato durante la premiazione, con il regista che avrebbe risposto con un simpatico Fuck you).
Ma il nervosismo del giovane cineasta scemò come in dissolvenza, quando il critico lo prese da parte e gli disse: "Io non so cosa hai fatto, Quentin. Il tuo film, proprio non l'ho capito. L'unica cosa che so per certo, è che si tratta di un capolavoro."
E lo è eccome un capolavoro, Pulp Fiction: un film capace di imporsi fin da subito come uno dei rarissimi esempi di opera spartiacque, in grado cioè di tracciare una linea nella storia del cinema e separare quello che era venuto prima da quello che sarebbe venuto in seguito.
Dopo la sua uscita, semplicemente, il cinema è diventato un'altra cosa rispetto a ciò che era stato fino ad allora.

Rivisitazione totale

La caratteristica principale del cinema di Quentin Tarantino è la sua capacità di essere una lente, uno specchio attraverso il quale è possibile guardare il passato e reinventarlo totalmente per un contesto moderno. I suoi film riflettono su idee, tematiche e tecniche già ampiamente utilizzate in precedenza, ma le rivisitano con uno sguardo talmente originale da diventare inafferrabili, caustici, frenetici e imprevedibili, da sembrare non solo innovativi, ma addirittura unici.
È il motivo per cui in pochi anni l'autore texano non è diventato solo un autore, ma un vero e proprio genere cinematografico. "Un film di Tarantino" è una dicitura applicabile non solo ai prodotti di tarantiniani, ma anche a tutti i film di tutti gli autori che a Tarantino ormai si ispirano. E ce ne sono tanti: da Guy Ritchie a Robert Rodriguez (i più simili per ritmo e tipo di umorismo), da Alejandro González Iñárritu a Christopher Nolan (che da Tarantino hanno mutuato la passione per le sceneggiature non lineari), passando per Martin McDonagh (fortemente tarantiniano nella costruzione dei dialoghi e nell'esplorazione della quotidianità dei criminali), Andrew Dominik (Cogan - Killing Them Softly), Paul McGuigan (Slevin - Patto Criminale), Eli Roth e tanti altri ancora.
Perfino mostri sacri del cinema americano come William Friedkin e Oliver Stone, che di certo non hanno bisogno di imitare autori più giovani di loro, sono rimasti talmente colpiti dal cinema pulp di Tarantino da volerlo omaggiare rispettivamente in Killer Joe e Le Belve (chiudendo così un bellissimo cerchio iniziato proprio da Tarantino, che di Friedkin aveva omaggiato Il Braccio Violento della Legge con la scena dell'ago in Pulp Fiction).

Certo tutti gli elementi tipici del tarantinismo erano già apparsi prima del suo cinema: la chiacchiera sul più e sul meno calata in un contesto da cinema gangster era stata un'intuizione di Jean-Luc Godard (Fino all'Ultimo Respiro, 1960), così come un crime movie temporalmente decostruito ce l'aveva già mostrato Stanley Kubrick (Rapina a Mano Armata, 1956), senza contare le atmosfere brutali e violente tipiche della New Hollywood (il succitato Friedkin, ma soprattutto Martin Scorsese con Taxi Driver). Queste le principali fonti di ispirazione del cinefilo onnivoro Quentin Tarantino, che mentre si abbuffava di b-movie americani (blaxploitation ed exploitation), italiani (spaghetti western e gialli) e asiatici (kung-fu movie e affini), studiava tutti i più grandi maestri del cinema che l'avevano preceduto, da Truffaut e Hitchcock a Fellini (la scena di ballo fra Uma Thurman e John Travolta è un calco di quella tra Barbara Steele e Mario Pisu in 8 e mezzo).
Tutti questi ingredienti vennero gettati alla rinfusa (pulp, s. 1 massa di materia morbida, informe e quasi liquida. 2 libro o rivista che contiene storie sensazionalistiche di sesso e violenza, in genere stampato in carta di qualità scadente) e rimescolati nel calderone della sua mente, con l'aggiunta del suo (evidentemente grandissimo) talento, che aveva già mostrato ne Le Iene, ma che con Pulp Fiction ha portato a un livello superiore.

Una realtà cinematografica

L'amore per il cinema di Tarantino è così grande da trascendere i limiti dello schermo e penetrarlo, arrivando a intaccare il mondo descritto nei suoi film: una sua opera non è realistica per scelta, perché non pretende mai di esserlo, anzi vuole ricreare una sorta di realtà cinematografica all'interno della quale tutto accade come accadrebbe all'interno di un film.
I suoi protagonisti non sono persone che si fingono personaggi, ma personaggi che imitano persone. I gangster Jules e Vincent, prima di ammazzare a sangue freddo, si perdono in dibattiti sui massaggi ai piedi e gli hamburger al formaggio o spettegolano sulla moglie del loro capo; quando arriva il momento di fare ciò che il genere d'appartenenza del film gli richiede (dei gangster, in un film di gangster, devono fare cose da gangster), allora i due esclamano "entriamo nei personaggi", e la scena può finalmente iniziare.
Nei film di Tarantino è una costante questa dei personaggi cinematografici che escono dai loro schemi per imitare la parlata di persone comuni, così come lo è vedere personaggi che interpretano ruoli, come attori che si fingono qualcun altro (Tim Roth ne Le Iene è un ladro che recita la parte di un poliziotto, Brad Pitt in Bastardi Senza Gloria è un americano che si finge un italiano, Jamie Foxx in Django Unchained è un ex schiavo che si cala nel ruolo di un commerciante di schiavi).
Quella lente che Tarantino usa per rileggere i generi cui accennavamo prima, si concentra quindi anche sui protagonisti di quei generi: avendo come punto di riferimento principale il noir, Pulp Fiction ne rielabora gli emblemi, i topoi, prendendo le situazioni e i personaggi tipici del genere e portandoli da tutt'altra parte, cioè dove secondo il genere non è consuetudine che vadano.

I racconti che compongono il film - scritti originariamente come storie autonome, l'idea di unificarle all'interno di un solo progetto fu di Roger Avary - partono dai cliché del noir ma arrivano dove in un noir non sarebbero mai potuti arrivare: la storia del giovane gangster che si innamora della moglie del suo capo, in Pulp Fiction si trasforma in una morte per overdose di eroina miracolosamente scampata; lo stereotipo del boxista che si rifiuta di truccare un incontro diventa un'epopea del grottesco, quando il protagonista finisce vittima di una coppia di stupratori omosessuali; una semplice missione di due malavitosi porta all'esplosione della testa di un terzo malcapitato, e il conseguente occultamento di cadavere assume toni da commedia nera ben lontani da quelli drammatici visti qualche anno prima in Quei Bravi Ragazzi di Scorsese (1990).
Se un film di Tarantino è indipendente dal genere di riferimento (Bastardi Senza Gloria non è un film di guerra ma un film tarantiniano ambientato durante gli anni della guerra, così come Django non è un western ma un'opera tarantiniana ispirata ai western e così via) allora ne consegue che i personaggi dei film di Tarantino trascendono i generi cui dovrebbero appartenere.
Ecco perché la vita del gangster in Pulp Fiction sembra così cool, perché i gangster di Pulp Fiction fanno cose che gli altri gangster del cinema non possono permettersi di fare.

Un ritmo musicale sfrenato

L'idea di pescare idee dal passato per aggiornarle alla modernità abbraccia ogni aspetto del film, dal casting (la carriera di John Travolta pre-Pulp Fiction si apprestava alla conclusione, e dopo l'uscita del film nelle sale l'attore era tornato ai fasti de La Febbre del Sabato Sera) alla colonna sonora: in Pulp Fiction, ad eccezione di una singola canzone originale (If Love is a Red Dress Hang Me in Rags, di Maria McKee), tutti i brani diegetici ed extradiegetici sono vecchie hit che non hanno nulla a che fare con l'epoca in cui è ambientato il film (gli anni '90).
Se al tempo della New Hollywood Dennis Hopper (con Easy Rider, 1969) e Martin Scorsese (con Mean Streets, 1973) furono i primi ad avere l'idea di inserire nei loro film la musica legata alla loro attualità, Tarantino invece racconta il suo presente attraverso la rievocazione della New Hollywood: da Son of a Preacher Man a Girl, You'll be a Woman Soon, da Surf Rider a Lonesome Town e You Never Can Tell di Chuck Berry, la soundtrack di Pulp Fiction comprende solo ed esclusivamente brani originariamente pubblicati fra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70, più vecchi di oltre vent'anni rispetto al film.
L'opera trasmette musicalità anche quando tutte le radio sono spente: lo fa attraverso i dialoghi, l'uso della parola, anzi il piacere dell'uso della parola che Tarantino infonde ai suoi personaggi (non è importante a quale classe sociale appartengano, nei suoi film parlano tutti fluentemente, sapientemente e magneticamente).

È quasi una musica, incantevole e dal ritmo sfrenato. Rapisce lo spettatore, qualche volta addirittura lo stordisce, e nell'ascoltare il pubblico viene risucchiato, si perde fra una risatina e un pensiero profondo, si dimentica di essere impegnato nella visione di un film... o per lo meno di un gangster movie.
E poi sbam!, un improvviso colpo di pistola e in un attimo ci risvegliamo e siamo di nuovo in un film di gangster. Non si parla più di hamburger, non ci si stupisce più per il gusto della Sprite o di un frappé da cinque dollari... Samuel L. Jackson ha appena sparato a sangue freddo a un tizio steso su un divano, Uma Thurman ha tirato una striscia di coca e sfarfalla davanti allo specchio del bagno, John Travolta ha disintegrato la testa di Phil LaMarr.
Ma, aspettate un attimo... il suo personaggio non era stato ucciso da quello di Bruce Willis mezz'ora prima? Che fantastica magia la non linearità drammaturgica.

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