A poco più di una settimana dalla sua uscita su Netflix, El Camino: Il film di Breaking Bad continua a incuriosire e far parlare di sé. Da una parte ci sono gli esorbitanti "ascolti" (visualizzazioni, in realtà) registrati dal servizio streaming, che confermano un successo incredibile di pubblico, tanto che se il film sequel della serie di Vince Gilligan fosse uscito nelle sale (ottenendo i medesimi risultati) sarebbe addirittura riuscito a eguagliare se non addirittura a battere il Joker di Todd Phillips. Dall'altra, su di un piano strettamente artistico, il progetto è stato accolto da una polarizzazione netta del pubblico, tra chi lo ha ritenuto un film tecnicamente riuscito ma contenutisticamente inutile e chi invece (come noi, leggi la nostra recensione di El Camino) ha visto nel progetto una conclusione chiarificatrice ed essenziale.
Curiosamente, dopo due anni a discutere del film come di un "sequel molto sentito e a lungo ricercato", in una recente intervista Vince Gilligan ha deciso di schierarsi dalla parte dei primi, definendosi orgoglioso di aver confezionato un prodotto come El Camino ma sottolineando al contempo il fatto che non fosse assolutamente necessario ai fini narrativi di Breaking Bad. L'auto-sufficienza dello show di AMC è un dato incontrovertibile e certo, e in questo siamo d'accordo con il suo autore, ma il fatto che El Camino non fosse un'espansione necessaria non rende l'idea alla base del suo sviluppo e soprattutto le sue conclusioni inutili, specie guardando la costruzione del suo finale. [ATTENZIONE, SPOILER A SEGUIRE]
Smile
Sei anni fa, Jesse Pinkman (Aaron Paul) fuggiva a bordo di una Chevrolet El Camino, sfondando una recinzione in preda alle lacrime, urlando e ridendo istericamente. Tanto nella mente di Gilligan quanto nella nostra, quello era un finale positivo, perché dava per scontata la liberazione di Jesse e la sua tensione verso un futuro diverso. Una chiusura aperta, per sfruttare una figura ossimorica, contrapposta a quella definitiva di Walter White, il cui destino si era invece compiuto lasciandogli trovare la morte non per il cancro ai polmoni (naturale, umana) ma a causa delle sue decisioni e delle relative conseguenze. C'era equilibrio insomma, una struttura bilanciata tra il proseguire una giovane vita e la morte di un condannato, ma lo stesso Gilligan dopo un paio di anni ha cominciato a riflettere sulla densità degli avvenimenti successivi e non raccontati alla fuga di Jesse, domandandosi semplicemente come avesse fatto il braccio destro di Heisenberg e lasciare Albuquerque in fretta, senza essere preso dalla polizia.
Un'idea piccola e persino ingenua, adiacente e superflua, che però è cresciuta nel tempo, anche spinta dalle richieste di Aaron Paul di continuare e chiudere in modo definitivo la storia di Jesse. Ha dunque attecchito e si è tramutata in realtà con El Camino, un film che trova la sua essenza non nell'utilità del racconto e nel necessario chiudersi di una storyline rimasta volutamente aperta, ma nel desiderio di autore e regista di donare un sorriso chiaro e sincero sul volto di Jesse, nella salvifica onniscenza di Gilligan.
Pur essendo un susseguirsi di eventi composti come un prison break movie, in cui le sbarre sono rappresentate dai confini di Albuquerque, nel finale vero e proprio si avverte tutta la potenza della scelta del regista e sceneggiatore del ritornare sul personaggio e su quella chiusura per lui convincente ma perfettibile. Così mostra Jesse ormai lontano da quello che si può considerare il suo passato, in Alaska, vestito con abiti pesanti, ripulito, completamente risanato rispetto alla prigionia nel laboratorio di Zio Jack. Lascia una lettera per Brock in mano all'Ed Galbraithdel compianto Robert Forster e sale in macchina, di nuovo.
Non è una El Camino ma un 4x4 anonimo, come poi vuole essere lui, privatosi persino della sua identità, mascherandola. Non fugge piangendo, questa volta, ma ripensa a una frase dell'amata Jane Margolis, che parla di universo e di scelte personali, del non farsi trascinare dal destino ma di prenderlo in mano e dominarlo una volta per tutte. E così fa, infine, Jesse: in movimento, con tutta la calma del mondo, sostituendo uns vita di dolore e lacrime con pacatezza, serenità e un sorriso finale reale e sincero.
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El Camino, Breaking Bad e il sorriso di Jesse: analisi spoiler del finale
Una conclusione rincorsa per anni e messa in scena nel miglior modo possibile, concentrandosi sulla corsa verso la libertà di Jesse.
A poco più di una settimana dalla sua uscita su Netflix, El Camino: Il film di Breaking Bad continua a incuriosire e far parlare di sé. Da una parte ci sono gli esorbitanti "ascolti" (visualizzazioni, in realtà) registrati dal servizio streaming, che confermano un successo incredibile di pubblico, tanto che se il film sequel della serie di Vince Gilligan fosse uscito nelle sale (ottenendo i medesimi risultati) sarebbe addirittura riuscito a eguagliare se non addirittura a battere il Joker di Todd Phillips. Dall'altra, su di un piano strettamente artistico, il progetto è stato accolto da una polarizzazione netta del pubblico, tra chi lo ha ritenuto un film tecnicamente riuscito ma contenutisticamente inutile e chi invece (come noi, leggi la nostra recensione di El Camino) ha visto nel progetto una conclusione chiarificatrice ed essenziale.
Curiosamente, dopo due anni a discutere del film come di un "sequel molto sentito e a lungo ricercato", in una recente intervista Vince Gilligan ha deciso di schierarsi dalla parte dei primi, definendosi orgoglioso di aver confezionato un prodotto come El Camino ma sottolineando al contempo il fatto che non fosse assolutamente necessario ai fini narrativi di Breaking Bad. L'auto-sufficienza dello show di AMC è un dato incontrovertibile e certo, e in questo siamo d'accordo con il suo autore, ma il fatto che El Camino non fosse un'espansione necessaria non rende l'idea alla base del suo sviluppo e soprattutto le sue conclusioni inutili, specie guardando la costruzione del suo finale.
[ATTENZIONE, SPOILER A SEGUIRE]
Smile
Sei anni fa, Jesse Pinkman (Aaron Paul) fuggiva a bordo di una Chevrolet El Camino, sfondando una recinzione in preda alle lacrime, urlando e ridendo istericamente. Tanto nella mente di Gilligan quanto nella nostra, quello era un finale positivo, perché dava per scontata la liberazione di Jesse e la sua tensione verso un futuro diverso. Una chiusura aperta, per sfruttare una figura ossimorica, contrapposta a quella definitiva di Walter White, il cui destino si era invece compiuto lasciandogli trovare la morte non per il cancro ai polmoni (naturale, umana) ma a causa delle sue decisioni e delle relative conseguenze.
C'era equilibrio insomma, una struttura bilanciata tra il proseguire una giovane vita e la morte di un condannato, ma lo stesso Gilligan dopo un paio di anni ha cominciato a riflettere sulla densità degli avvenimenti successivi e non raccontati alla fuga di Jesse, domandandosi semplicemente come avesse fatto il braccio destro di Heisenberg e lasciare Albuquerque in fretta, senza essere preso dalla polizia.
Un'idea piccola e persino ingenua, adiacente e superflua, che però è cresciuta nel tempo, anche spinta dalle richieste di Aaron Paul di continuare e chiudere in modo definitivo la storia di Jesse. Ha dunque attecchito e si è tramutata in realtà con El Camino, un film che trova la sua essenza non nell'utilità del racconto e nel necessario chiudersi di una storyline rimasta volutamente aperta, ma nel desiderio di autore e regista di donare un sorriso chiaro e sincero sul volto di Jesse, nella salvifica onniscenza di Gilligan.
Pur essendo un susseguirsi di eventi composti come un prison break movie, in cui le sbarre sono rappresentate dai confini di Albuquerque, nel finale vero e proprio si avverte tutta la potenza della scelta del regista e sceneggiatore del ritornare sul personaggio e su quella chiusura per lui convincente ma perfettibile. Così mostra Jesse ormai lontano da quello che si può considerare il suo passato, in Alaska, vestito con abiti pesanti, ripulito, completamente risanato rispetto alla prigionia nel laboratorio di Zio Jack. Lascia una lettera per Brock in mano all'Ed Galbraith del compianto Robert Forster e sale in macchina, di nuovo.
Non è una El Camino ma un 4x4 anonimo, come poi vuole essere lui, privatosi persino della sua identità, mascherandola. Non fugge piangendo, questa volta, ma ripensa a una frase dell'amata Jane Margolis, che parla di universo e di scelte personali, del non farsi trascinare dal destino ma di prenderlo in mano e dominarlo una volta per tutte. E così fa, infine, Jesse: in movimento, con tutta la calma del mondo, sostituendo uns vita di dolore e lacrime con pacatezza, serenità e un sorriso finale reale e sincero.
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