Easy Rider: alla riscoperta di un cult attuale ancora oggi

Cosa rende Easy Rider, film arrivato in sala nel 1969, un classico senza tempo del cinema ancora oggi attualissimo? Scopriamolo insieme.

Easy Rider: alla riscoperta di un cult attuale ancora oggi
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Il leggendario film del 1969 con protagonisti Peter Fonda e Dennis Hopper (anche regista) ha segnato in positivo varie generazioni di spettatori, attraverso una trama molto semplice capace però di puntare su temi e spunti di riflessione invecchiati benissimo, che hanno retto allo scorrere del tempo.
Un'avventura senza punti fermi di due motociclisti diviene così il seme da cui partire per traghettare lo spettatore in un'epopea capace di destreggiarsi abilmente tra più registri narrativi, dall'avventuroso al drammatico.

Spesso indicato come vero e proprio manifesto culturale legato a una dimensione di fuoriuscita dai canoni della vita tradizionale dell'epoca, Easy Rider è ancora oggi un piccolo grande spaccato esistenziale dell'America di fine anni '60.
Ma com'è stato trattato durante il film il tema cardine della libertà e, soprattutto, come ha fatto a rimanere così attuale ancora oggi? Scopriamolo insieme.

Easy Rider: avventura senza tempo

L'opera si apre mostrandoci i protagonisti intenti a comprare due motociclette dopo aver effettuato con successo un trasporto di cocaina.
Nonostante un incipit che potrebbe aprire tranquillamente a una vicenda dai forti toni crime, in realtà l'opera vira prepotentemente verso un'altra direzione, mostrandoci semplicemente i due personaggi principali, Wyatt e Billy, attraverso un viaggio on the road per gli Stati Uniti.

Il film punta su un pathos emozionale molto marcato, spingendo chi guarda a farsi catturare dall'indole a tratti - almeno in apparenza - senza pensieri dei due protagonisti.
Durante il corso dell'avventura, vedendo gli sconfinati paesaggi americani da attraversare in moto, sarà davvero difficile trattenersi dal non partire per un viaggio.
La forte componente avventurosa diviene via via più palese attraverso la scoperta dell'inesplorato, con Wyatt e Billy intenti a fare la conoscenza dei personaggi più disparati, partendo dalla comunità hippy che deciderà di ospitarli, fino a incontrare lo strambo avvocato alcolista George Hanson, interpretato da Jack Nicholson.
Seppur non esista in realtà un particolare momento cult all'interno dell'opera, visto che praticamente qualsiasi sequenza può essere considerata tale, sono molto intensi i confronti con l'avvocato che, grazie alle sue conoscenze, riesce a fare uscire i due motociclisti dal carcere.

Lo stesso spassoso momento in cui si fa riferimento alle teorie del complotto, in particolar modo a quelle legate agli UFO, rimane impresso nella memoria dello spettatore, seppur Easy Rider sia un'opera estremamente organica capace di dare il meglio di sé proprio nella sua dimensione a tutto tondo, abbracciando i registri narrativi più disparati, passando dall'avventura alla commedia al drammatico senza soluzione di continuità.

Le varie tappe del viaggio compiuto dai due protagonisti, per quanto possano quasi risultare modulate come degli episodi di serie tv, visto il forte taglio autoconclusivo che le contraddistingue, in realtà riescono ad amalgamarsi molto bene dando vita a un vero e proprio spaccato esistenziale dell'epoca.
Le due anime del film, cioè quella più solare e scanzonata insieme a una molto più cupa e tragica, coesistono continuamente dall'inizio alla fine, dando vita a un riuscito binomio tematico che non può che ricollegarsi all'onnipresente tema del viaggio, qui inteso in una funzione a tratti metafisica, non quindi intrapreso per tornare a una possibile (accogliente?) dimora o studiato in funzione di una particolare vendetta, quanto invece mosso in primis per raggiungere l'essenza stessa della libertà, senza alcun secondo fine.
Impossibile comunque non citare anche la colonna sonora del film, formata in realtà da vari brani, tra cui l'immortale Born to Be Wild, ancora oggi capace di emozionare gli ascoltatori/spettatori come alla prima visione.

Il prezzo della libertà

Oltre alla pura dimensione avventurosa, Easy Rider incarna profondamente la voglia di eversione tipica del Sessantotto, rappresentando se vogliamo le istanze culturali di un'intera generazione, senza però puntare eccessivamente sull'idealismo così come sul buonismo.
I protagonisti infatti ottengono all'inizio del film molto denaro in maniera illegale, seppur siano di fatto forse le persone più pacifiche del mondo, particolare capace di renderli profondamente tridimensionali.

Wyatt e Billy si muovono così da una parte all'altra degli Stati Uniti nel più completo rispetto del prossimo, pur vivendo liberi dalle più ovvie convenzioni sociali, a cominciare dal loro look (spesso trasandato) e ovviamente conducendo una vita sregolata e alla giornata.
Anche film più recenti hanno voluto provare a focalizzarsi sul coraggio e sugli eventuali pericoli dati da una vita fuori dagli schemi, che in Easy Rider trovano luogo in numerosi momenti, spesso rapportati al concetto stesso di società e di come essa reagisce a determinati stimoli.
Ignoranza, intolleranza, razzismo e addirittura follia hanno spazio durante l'avventura, ponendo i personaggi principali a confronto con i loro limiti ma anche, anzi forse soprattutto, con numerose barriere ideologiche impossibili da scardinare, generate in maniera automatica dalla società in cui vivono ma da cui, in un modo o nell'altro, cercano di prendere le distanze.

Ed è così che un altro dei temi cardine dell'opera, cioè la paura per l'ignoto (e per diretta conseguenza del diverso) diviene preponderante soprattutto nella seconda metà, mostrandoci sempre più i lati oscuri della natura umana.

È a tratti incredibile constatare quanto il film sia ancora oggi attualissimo, forse ancora più che al tempo della sua uscita, complice probabilmente un imbarbarimento culturale che è riuscito ad avanzare nel corso dei decenni in tutto il mondo, spingendoci a domandarci se, oggi, siamo davvero riusciti a fare dei passi avanti riguardo a numerosi macrotemi tra cui l'importanza di abbattere le intolleranze di qualsiasi ordine e grado.
Il discorso legato al contrasto tra una vita all'apparenza perfetta - seppur incastonata attraverso una routine giornaliera - e una più sregolata e borderline - in cui però non si è vincolati a nulla e nessuno - non diviene solo metaforico ma anche letterale, come vedremo a più riprese nel corso del film.
Sarà proprio uno dei personaggi presenti nella pellicola a spiegare che, per un certo tipo di persone, anche solo arrivare a concepire un'idea di libertà assoluta fa davvero paura, così come l'osservare individui realmente slegati dai binari prestabiliti dalla collettività.
Paura che può addirittura trasformarsi in odio, come ad esempio nella scena in cui i motociclisti e l'avvocato, fermatisi in un locale per fare una piccola pausa, si scontrano letteralmente con l'ostilità degli abitanti del posto.
La sequenza, impostata in crescendo, genera una forte tensione, mostrandoci i protagonisti assolutamente non inclini nel controbattere alle provocazioni, lasciando ancora una volta trapelare la loro indole di base pacifica.

Il film abbraccia in questo modo una profondissima natura esistenzialista e sociologica, che saprà sconvolgere a più riprese lo spettatore proprio per particolari quanto coraggiosi risvolti di trama non così prevedibili.
Di enorme impatto emotivo lo stesso finale, che lascia un profondo senso di vuoto negli spettatori, attraverso un continuo gioco al rialzo sui concetti di libertà personale e intolleranza, ancora una volta in grado di aprire la mente a stratificati spunti di riflessione capaci di sedimentare per molto tempo anche dopo la prima (o la decima) visione.

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