Dune, l'analisi del primo trailer: di nuovo su Arrakis con Denis Villeneuve

Diamo un primo sguardo alla poetica cinematografica con cui il regista di Arrival e Blade Runner 2049 si è accostato al capolavoro di Frank Herbert.

Dune, l'analisi del primo trailer: di nuovo su Arrakis con Denis Villeneuve
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L'attesa per il trailer del Dune di Denis Villeneuve è infine terminata, con l'arrivo di un filmato lungo più di tre minuti e carico di dettagli interessanti. Dopo Tenet, in fondo, si tratta del prossimo titolo di punta di Warner Bros, che non ha voluto lasciare nulla alla superficialità promozionale, facendo le cose in grande. È stato anche possibile confezionare un trailer tanto lungo grazie alla natura stessa dell'operazione: una trasposizione cinematografica di uno dei romanzi sci-fi più importanti e seminali della storia del genere. Non c'è nulla da nascondere, insomma, ma davvero tanto da mostrare, e questo traspare in modo evidente dalla costruzione del footage e dai tanti particolari importanti della storia già mostrati.

A due anni dal suo annuncio ufficiale, il nuovo adattamento di Dune si apre dunque in tutta la sua magnificenza davanti ai nostri occhi, ricco di un'ambizione e di uno scopo davvero nobili, sia per portata cinematografica che per valore delle tematiche trattate, tutti elementi che sappiamo essere intrinsechi all'opera di Frank Herbert, sempreverdi e oggi più che mai contemporanei. L'unico problema, se vogliamo, è che nulla traspare davvero da questo trailer se non la grandezza epica del colossal e l'attestazione visiva dell'ormai conosciuta poetica dell'immagine villeneuviana, il che non è per forza di cose un male ma neanche un bene, soprattutto ragionando sul fatto di vendere nell'immediato il film alle generazioni più giovani e a chi non conosce storia, personaggi o rilievo della creazione di Herbert.


Villeneuve a tutto tondo

Arrivando all'analisi vera e proprio del trailer di Dune, colpisce praticamente subito il lavoro di ago e filo svolto dall'autore nella costruzione dell'immaginario herbertiano secondo una propria visione, fedele tanto al romanzo originale quanto riconoscente al film di David Lynch. A saltare all'occhio è questo profondo controllo di una forma stilistica ormai acquisita, elaborata secondo dei precisi criteri artistici personali che seguono un chiaro senso logico in termini di messa in scena, fotografia e concettualità dell'esperienza cinematografica nella sua totalità.

Nella pratica - da quanto visto e percepito - Villeneuve ha voluto portare sul grande schermo una trasposizione quanto più vicina alle sensibilità fantascientifiche dell'autore del libro, pagando al contempo il suo debito di riconoscenza all'adattamento del 1984, da cui nulla recupera lato formale ma a cui deve tantissimo sul piano dell'impalcatura immaginifica. Il regista è poi andato persino più indietro, a quello che poteva essere, sfruttando Eclipse dei Pink Floyd come brano d'accompagnamento del trailer, porgendo così il suo personale omaggio al maestro Alejandro Jodorowsky e al suo mai realizzato Dune degli anni '70, che avrebbe dovuto avere proprio i Pink Floyd in colonna sonora. È come se in tre minuti di presentazione Villeneuve avesse voluto mettere subito le cose in chiaro certificando la sua conoscenza dell'intera storia multi-mediatica di Dune, sottolineando gratitudine e rispetto ma mettendo al contempo in chiaro che a comandare è lui, adesso; il suo ideale di cinema, le sue tante velleità autoriali. E si notano tutte.

A fianco di questa spettacolare epicità immaginifica, tra lo sconfinato Deserto di Arrakis, mastodontiche astronavi spaziali ed eserciti della Famiglia Atreides e Harkonnen schierati e pronti alla battaglia, il regista entra nei volti e nelle emozioni dei protagonisti già in apertura, con quel primo piano sul Paul Atreides di Timothée Chalamet, scelto proprio per questo suo volto giovane ma sofferto, come si addice alle caratteristiche base del protagonista.

È un trailer che si muove su due grandezze: i primi piani insistiti dei personaggi e i campi lunghi o lunghissimi dello scenario. In sostanza, una metrica autoriale atta alla descrizione interiore dei protagonisti ed esteriore della scena, al posizionamento emotivo caratteriale e a quello narrativo scenografico. È Villeneuve che rispetta la sua grammatica stilistica alla perfezione, tornando un po' ad Arrival e recuperando parte della brama creativa e re-inventiva già mostrata in Blade Runner 2049.

Racchiudere e superare

Questo Dune sembra però essere qualcosa di più dei suoi precedenti lavori: un progetto che fa numero tondo e di una certa rilevanza per il regista canadese, che al suo decimo film sembra voler già racchiudere insieme la sua poetica per poi in qualche modo superarla, andare oltre se stesso e valorizzare un cinema ad ampio spettro con trovate visive sui generis (gli scudi rosso-blu) e atmosfere che non vogliono imitare in alcun modo i blockbuster fracassoni e fantascientifici del calibro di Star Wars.

Traspare da ogni immagine del trailer una sofisticata lettura cinematografico-intellettuale dell'opera di Herbert, già di per sé articolata e complessa rispetto a tanti altri esponenti di genere, tanto per l'immaginario quanto per i temi (c'era già un endorsement femminista molto importante, l'ambientalismo, la schiavitù). Tanto particolare da essere stata opzionata o direttamente trasposta al cinema da alcuni dei maestri più sperimentali e audaci della Settima Arte come appunto Jodorowsky o Lynch. Villeneuve non si può accostare a nessuno dei due, ha una sensibilità che si avvicina più a Stanley Kubrick o Andrej Tarkovskij, essenziale e caratterizzata da una speciale ricercatezza per la bellezza dell'immagine. Da questo primo assaggio di Dune sembra invece aver gettato un occhio a entrambe le coppie autoriali, piazzandosi nel mezzo e incuriosendoci ancora di più.
Al netto della lunghezza e di quanto mostrato, questo primo trailer di Dune resta comunque un'anticipazione non esplicativa dei contenuti e di tutti gli intrecci nobiliari, dei tradimenti e delle parti in gioco, siano le famiglie sopra citate, i Freman di Stilgar, le Bene Gesserit o i Sardaukar imperiali.

È un immaginario che non ha nulla di realmente nuovo ed è semplicemente rivisitato da Villeneuve in chiave autoriale, mentre la prova del nove per lui, Jon Sapithes ed Eric Roth sarà la scrittura, tra relazioni, scontri, tradimenti ed evoluzione dei personaggi.

Per ora restiamo affascinati dalla rielaborazione dei vermi delle sabbie di Arrakis come delle gigantesche balene del deserto che tutto inghiottono a bocca aperta (non è un caso la scelta di imitare i Fanoni, i denti dei cetacei), delle atmosfere tra il placido, l'avventuroso e il dramma di corte, della cinematografia apparentemente ragionata e del chroma key grigio-marrone che si addice (checché se ne possa pensare) a un'opera come Dune. È comunque straordinario il fil rouge che unisce la preparazione Gesserit di Paul al modus operandi di Denis Villeneuve: nessuna paura, mente attiva a dominare sul corpo e "memoria genetica" dei predecessori ad aiutare. Niente male davvero.

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