Speciale Duetto Tornatore - Muccino al Festival del Film di Roma

Tornatore e Muccino si raccontano al Roma Film Festival

Speciale Duetto Tornatore - Muccino al Festival del Film di Roma
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Fra gli incontri più amati da pubblico e critica al Festival c'è da sempre il Duetto: due autori che dialogano fra loro, parlando del proprio lavoro e di quello dell'altro, confrontando scene tratte dai rispettivi lavori.
Il Duetto di quest'anno è stato forse l'incontro più lungo, ma per certi versi più interessante, dell'intera kermesse: Giuseppe Tornatore, fresco del successo di Baarìa, e Gabriele Muccino, autore del celebre L'ultimo bacio e regista apprezzatissimo negli Stati Uniti, dove ha realizzato con Will Smith due film importanti come La ricerca della felicità e Sette Anime.
Un lungo dialogo dal tono assai informale, colloquiale come una chiacchierata al bar e per questo più autentica e interessante delle “solite” interviste formali.



Per l'occasione, Tornatore ha preparato un regalo per il suo pubblico: un montaggio di quattro minuti di filmati inediti, girati da ragazzo per le strade del suo paese, Bagheria.

Da dove arriva questo regalo che hai voluto farci?

Tornatore: Sono estratti dai documentari Super 8 che facevo da ragazzo, e che a tutt'oggi sono in pessime condizioni: il suono è tutto da restaurare, tanto che l'abbiamo montate alla buona con le musiche del Maestro Morricone. E' materiale della metà degli anni '70, cose anche mai montate prima d'ora che sto cercando di recuperare. Si tratta di diverse ore, più di dieci, molti sono a tutti gli effetti dei documentari. Tutti in Super 8, o addirittura, gli ultimi, in video magnetico realizzati all'epoca di una mia collaborazione con la terza rete RAI.


Muccino, hai amato Baarìa?

Muccino: Sì, l'ho visto giusto due giorni fa, e sinceramente ero anche un po' scettico, perché avevo paura fosse un film troppo pieno della ridondanza che ho visto e sentito spesso in lui, che si ritrova nei suoi film quando non riesce a centrare esattamente i grandi concetti che vuole esprimere. Invece in Baarìa fa centro e si vede l'amore viscerale per il suo paese. Ho capito cosa ha sempre voluto raccontare, ha centrato il suo obiettivo! Ora però Giuseppe sono affari tuoi, perché devi reinventarti una nuova tematica, ahah! Non puoi ripetere Baarìa, che arriva da una verità profonda, onesta, vera, carnale.


Tornatore, che ne pensi di quest'idea della ridondanza nei tuoi lavori?

Tornatore: Effettivamente me lo sono sentito dire spesso, un discorso simile. Non so, però tutti lo prendono come un difetto...magari è semplicemente il mio stile!
E dopotutto, secondo questo metro, Baarìa non dovrebbe essere la completezza, anzi, dovrebbe risultare il più ridondante di tutti! Da un certo punto di vista lo capisco, è il ragionamento alla base dei tagli a Nuovo Cinema Paradiso nel secondo montaggio. Ma a proposito di altri film, come Una pura formalità, o La sconosciuta, non lo capisco. Addirittura L'uomo delle stelle soffre del finale incompiuto, altro che ridondanza! Cioè, una volta feci pure un film di mezz'ora con Noiret: mi dissero che era ridondante anche quello!


Gabriele, perché hai scelto “L'uomo delle stelle”, tra tanti film?

Muccino: Perché questo lungo piano sequenza raccoglie tutte le poetiche di Giuseppe!

Intervistatore: Sì, il tuo bisogno di inserire un mondo in un'inquadratura, come del resto si nota in Baarìa...

Tornatore: Sì, è una scena in cui l'idea era di proporre in un'unica sequenza la febbre di questo paese dove tutti recitavano Via col vento, ma col meccanismo della storpiatura, che di bocca in bocca va avanti finché, addirittura, Rossella si...incazza, ahah! Mi divertiva molto, soprattutto in piano sequenza: mi sembrava più divertente, musicale, così, nel suo avvitamento. Quando devo trovare una soluzione, cerco sempre di essere fedele al film: è il mio procedimento standard, e forse è questo che determina una qualche ridondanza ostinata.


E' vero che il finale doveva essere diverso e doveva comparire un famoso regista?

Tornatore: Sì, Morelli, dopo aver lasciato la ragazza, andando via si ritrova sulla strada dei personaggi anacronistici, soldati e briganti di un'altra epoca, comparse di un film di Pietro Germi. Questi lo scacciano via, ma non prima di comprargli per quattro soldi la sua attrezzatura, che è di prim'ordine: addirittura una straordinaria Mitchell. Quando poi questi facevano sviluppare, insieme ai loro giornalieri, le pellicole di Morelli, si rivedevano tutte le facce dei paesani, che si intrecciavano e si sovrapponevano per via del riciclo delle pellicole stesse. Un finale meno tragico, più stemperato, che purtroppo non si poté realizzare per mancanza di soldi. Potremmo dire un' “ennesimo” finale, dato che nei miei film ce ne sono sempre tanti.


Ho notato che spesso sono i bambini che scatenano le scene: il bambino sei un po' tu, in fondo?

Tornatore: Forse ha ragione Gabriele: con tutti i miei film ad ambientazione siciliana ogni volta, non sentivo mai di aver chiuso un discorso, e quindi certe tematiche, certi simboli sono ricorrenti. Vi do una buona notizia, ora: dopo Baarìa, questa sensazione non la sento più!

Muccino: Dicono che noi registi non facciamo che un solo film nella nostra vita, che modifichiamo e miglioriamo di volta in volta. Per certi versi è vero, nei miei cortometraggi (che mi sono vergognato a portar qui)...io in quelli vedo tutti i miei pensieri, e le tematiche che rincorro da sempre, da quando ho intrapreso questo mio percorso di crescita

Tornatore: Io questa cosa di vergognarmi dei lavori passati l'ho superata, anche se solo di recente; ad esempio coi Super 8 che avete appena visto: erano lì da trentacinque anni, ma recentemente mi sembrano la testimonianza di una vocazione, di un percorso, pur con tutti gli errori, le sfumature...


Giuseppe, perché hai scelto “Come te nessuno mai”, tra i film di Gabriele?

Perché divertente e interessante, e poi ho trovato una cifra costante nei suoi film, un'idea che lo identifica: questi ragazzi coetanei che parlano parallelamente di un tema che sta loro a cuore, a modo loro, è un meccanismo comico che Gabriele sviluppa sempre, un viaggiare in modo effervescente e brillante tra varie generazioni che inseguono la felicità attraverso le varie età, cosa che ho ritrovato nei suoi film, con tutti i suoi personaggi tormentati dallo stesso desiderio. Dando il senso al titolo de “La ricerca della felicità”, cercando senza sosta senza però sapere come fare.

Muccino: E' plausibile. Certo, a rivederlo ora è quasi naif, mi sorprendo però a rivederlo in questo modo: potrei farne un remake migliorato!


Come reagisce un regista a rivedere un proprio vecchio film? Fellini diceva sempre “chi ha fatto questo film?”

Tornatore: Io non li rivedo mai dopo la loro uscita, perché vedo solo i difetti, anche se ultimamente mi è passata un po' questa fissa e riesco a vederli con più tranquillità...ma solo dopo anni.
Muccino: Sì, anche se da solo, in privato, è più facile: in presenza di pubblico è tutta un'altra cosa!

Quindi non rivedete mai i vostri film?

Muccino: Guarda, durante la lavorazione, il montaggio e la postproduzione arriviamo a vederli anche 70-80 volte, e tra prime e anteprime, un anno e mezzo della tua vita va via vedendo il tuo film in continuazione: quando stacchi, per lavorare ad altro, lo abbandoni e pensi solo al lavoro successivo. Ho rivisto “La ricerca della felicità” solo da pochi giorni, un pezzetto, in TV per caso. Alla fine credo che un regista che affermi che un suo film è bello, prima che siano passati tre anni dalla sua realizzazione, non sa quello che dice!

Tornatore: Mi associo totalmente: ci sono colleghi che si vantano dicendoti “questa volta ho fatto un grande film!” io rimango turbato da queste affermazioni, non riesco mai a neanche a pensarle cose del genere, figuriamoci a dirle! Quasi li ammiro per questo... Io quando ripenso alle mie vecchie opere mi viene da pensare ad un serpente, che ritrova le sue vecchie pelli e si chiede come ha potuto andare in giro coi quei colori.


Una delle ragioni per le quali abbiamo pensato di riunirvi riguarda l'entità nazionale del vostro cinema, un panorama collettivo. Il vostro rapporto con l'amicizia tra adulto e bambino, archetipo del cinema italiano ma sopratutto del vostro, è toccante e commovente.

Tornatore: Uno di quei casi in cui certi temi sono difficili: nel mio film [si riferisce allo spezzone appena proiettato di “Nuovo Cinema Paradiso”, N.d.r.] non erano veri parenti ma è come se lo fossero; nel mio film però c'è il gioco, la situazione di cui tratta Gabriele ne “Alla ricerca della felicità” è molto più drammatica, perché si parla di casa. La caverna è una metafora potentissima, e ancora di più lo è l'immagine dei tizi che bussano e lui che allunga il piede per bloccare la porta. E' un rapporto comune nei nostri film, è vero, quello degli adulti che cercano di spiegare ai bambini com'è la vita.

Muccino: Siamo stati tutti figli: e i genitori ci hanno protetto anche con la fantasia. E' una capacità che va appresa per imparare a vivere con più leggerezza e ottimismo, contro le avversità. Da padri abbiamo il dovere di restituire ai nostri figli questo “ombrello”.


Poi il rapporto padre-figlio si dissolve nella favola, nel cinema, nel mondo immaginario: e qui possiamo parlare della memoria del cinema sempre presente, soprattutto in Tornatore, memoria meno esplicita invece in Muccino, che non fa citazioni speciali, è una memoria più nascosta, vero?

Muccino: Non c'è l'omaggio manifesto, ma io... so perfettamente dove “rubo”! ...la citazione è implicita, sono nato ladro: vorrei essere stato Germi, Leone, Fellini, Scola, Allen, ma non lo sono mai stato e mai lo sarò. Posso solo limitarmi a rubare, e non è facile neanche quello...è un furto con destrezza.


Tema estramente drammatico: l'idea del suicidio. Come si mette in scena una sequenza così?

Muccino: E' molto difficile, in me non c'è nulla che si avvicina a un gesto estremo del genere. Però in una persona ossessionata dal dolore c'è solo la ricerca dell'assenza del dolore stesso, perché è l'incapacità di sopportarlo che porta al gesto estremo: chi lo desidera davvero, difatti, una volta compiutolo e in attesa della morte, è assurdamente sereno. Anche Giuseppe lo realizza, in Onoff solo nel momento in cui svela questa scena clou; in effetti i film si somigliano in questo, essendo criptici ed avendo un'epifania solo quando il protagonista muore. Ma è stato casuale, abbiamo solo avuto lo stesso bisogno, usato lo stesso meccanismo.

Tornatore: E' vero, ci sono diverse analogie, soprattutto nella funzione rivelatrice della storia a un certo punto: il racconto della rivelazione, l'anello mancante per mettere a posto tutti i tasselli. Un'alta analogia è l'incipit del rito del suicidio sospeso, lasciato in aria e che si chiude solo molto dopo, cosa presente in entrambi i film. Nel film di Gabriele c'è la lucidità del suicida, e l'immagine ricorrente delle meduse che si afferra solo all'ultimo.
Il mio invece è un deliro dei suicidi che non riescono poi a commettere l'atto estremo, e sono tanti, una condizione che è il risultato di un tormento, una volontà non ben definita, una sorta di incoscienza e successiva coscienza improvvisa.
Mi sono reso conto che il film perseguiva il mio obiettivo quando uno spettatore mi ha detto di aver apprezzato la personalità di Onoff, e ho capito che l'aver giocato con l'idea di un suicida in realtà così insicuro aveva infine funzionato. A volte basta poco a noi registi per confortarci di aver fatto bene: un commento, una lettera, anche solo una smorfia durante la visione.


In quel film recitava Roman Polanski, col quale hai sempre avuto un ottimo rapporto. Puoi dirci qualcosa sulla sulla sua incresciosa situazione attuale?

Tornatore: Il mio pensiero in proposito l'ho detto più volte, ma volentieri continuo a farlo perché puntualizzare in questi casi è importante, bisogna chiarire certe cose delicate; io sono molto dispiaciuto per questa vicenda così dolorosa e poco chiara, difficile da giudicare. Parlandone tra colleghi ne è venuto fuori questo appello, da molti strumentalizzato perché poi è solo un appello di solidarietà non in funzione di meriti artistici. Mi auguro che la vicenda si concluda nella maniera più giusta, nel rispetto delle leggi. Perché in tutti questi anni non è stato raggiunto? Perché proprio ora? È bizzarro: la giustizia deve fare il suo giusto corso, ma con correttezza su tutti i fronti.

Gabriele, perché hai scelto uno spezzone da “Malena”?

Muccino: perché c'è sempre qualcosa tramandato per via fisica o orale: qualcosa che attraversa trasversalmente, geograficamente, storicamente un posto o un'epoca, nei suoi film, come in “Malena”. E' un segno stilistico. Come questo della passeggiata emblematica.

Tornatore: Ti ringrazio, come l'hai spiegato tu sembra più interessante di quanto io stesso ne pensi.


Sei consapevole di aver raggiunto un punto alto nella rappresentazione del rapporto uomo donna in Italia? Anche con tutto il discorso del voyeurismo ...quante volte ti è stato rimproverato?

Tornatore: Tantissimo, non tanto i dettagli tipo il reggicalze però, quanto il fatto che la Bellucci parlasse poco...ma lei parlava quando era giusto che parlasse...il punto di vista è quello del ragazzino, e quindi è giusto che lei non parli, perché è un oggetto inarrivabile per il ragazzino, un oggetto del desiderio. E quindi solo quando è necessario parla...sì, forse si vedono molti nudi, ma sapete, il film era giocato molto sullo schema del'iterazione. Il film era questo, non è che che erano troppe le passeggiate! Il gioco era quello del bambino che la spia per come potrebbe arrivare a fare un ragazzino: ad esempio rincorrerla nelle passeggiate. Il tipico modo d'invaghirsi di un oggetto d'amore così inarrivabile, per ragazzini invaghiti di donne più grandi. Sono quei passaggi dell'adolescenza quando ci si sorprende del proprio corpo e di quello che si scopre a proposito. E senza passeggiata non ci sarebbe stato rapporto tra i due. Ma dire che c'erano troppe passeggiate era come lamentarsi del fatto che in “Nuovo Cinema Paradiso” si vedesse troppo la sala cinematografica. Ma il film quello era

Muccino: “Malena” forse è “Baarìa” non riuscito. Malena è come il bambino, con l'attraversamento del paese, che attraversa anche la vita. E “Baaria” è così bello proprio perché sei passato attraverso queste altre opere così complesse, e “Baarìa” è il più complesso di tutti: io non riuscirei mai a realizzare un'opera così complessa, sotto tutti i punti di vista.

Tornatore: Ti ringrazio, mi colpisci con le tue parole, ma non credo sia proprio così: la passeggiata di Malena non è come “Baarìa”, la corsa e la passeggiata sono elementi diversi, lì è una corsa al destino, al sogno e alla passione in una storia complessa, mentre “Malena” è più semplice. In “Baarìa” passa un secolo ma è come se non fosse passato, e quindi i personaggi possono incontrarsi a distanza di cent'anni. La corsa e il decollo del bambino stanno proprio a significare che la chiave del realismo non è sempre la più giusta, mentre in “Malena” invece si trattava solo del turbamento di un ragazzino, ambientato in un'epoca complessa e controversa. Era l'evoluzione del mio unico soggetto non originale.


Ne “L'ultimo bacio, invece, vediamo la seduzione e il turbamento di un trentenne, non di un ragazzino...

Tornatore: Ecco, come dicevo prima, nei film di Gabriele e in questo specialmente tutti sono sintonizzati sulla ricerca di amore e felicità, chi con stupore, chi con ingenuità, chi con rinnovate emozioni che riteneva di aver perduto: ma il tema è lo stesso, e ogni volta lui con l'ironia rende ancora più profondo il tema. E alla fine, abile maestro, crea il 'corto circuito' e alcune azioni si incrociano ed esplodono, è uno stile geometrico che caratterizza lo stile di Gabriele e che colpisce il pubblico di tutte le età. E' uno stile già sperimentato e che continua a sperimentare. Un elemento che non si stanca di approfondire e che prima o poi dovrà concludere: anche tu dovrai fare il tuo Baarìa, Gabriele, così poi potrai fare altri film, ahah!

Come gestite la popolarità?
Muccino: Non sai mai come gestire i giornalisti che ti chiamano per chiederti che torta mangi a Natale, o dove vai in vacanza...

Tornatore: Fidati che è meglio, se non ti chiamano...è peggio!

Muccino: Be' ora non chiamano più da un pezzo, che faccio, mi preoccupo? Però al tempo de “L'ultimo bacio” non seppi ben gestire questa cosa, e mi paralizzò. Ci misi due anni a riprendermi, perché avevo paura di deludere chi credeva in me, e dall'altra parte invece avevo paura di far fiasco e dar così manforte a chi mi additava come incapace e semplicemente fortunato. Una paralisi che ho superato solo andando in America e facendo un film che mi ha dato successo anche oltreoceano, e mi ha rincuorato. Io che sono un tipo insicuro mi sarei paralizzato senza la parentesi americana, che è caduta sulla mia testa...fu il destino che mi ha regalato quest'opportunità.

Sembra una terapia, l'America, ma poi sei tornato sul luogo del delitto: ora farai il sequel de “L'ultimo bacio”!

Muccino: Si, penso che debba riprendere un certo discorso, “L'ultimo bacio” prendeva spunto dalla mia vita, le mie esperienze, le mie immaturità e ora sento che devo tornare a confrontarmici e vedere quanto sono maturato, e le lezioni che penso di aver imparato. “Baciami ancora” diventa un pochino la mia riflessione sulla vita, fatta attraverso gli stessi personaggi deboli e “romantici” al contempo, in qualche modo. Sono qui per darmi in pasto al giudizio di tutti.

Chiudiamo con questo omaggio, un gioco in cui si incontrano 'fisicamente' due vostri film: “La leggenda del pianista sull'oceano” e “Sette anime”.

Muccino: Noi in Italia missiamo velocemente i film, in America no. Si testano prima con degli screening e a volte si cambia in corsa, e questi screening sono fatti con musiche provvisorie. Quindi io fra quelle temporanee ci misi un brano che mi colpì tantissimo ne “Il pianista”, talmente tanto che all'epoca comprai la colonna sonora e recentemente l'ho anche riscaricata su Itunes...un brano che racchiude in qualche modo l'essenza del pensiero e la bravura di Morricone. Una nota battuta stonata, ripetuta ma superata da un movimento romantico di archi, che mi piacque molto. Mi piacerebbe lavorare con Morricone, c'era anche un progetto, ma io non avrei mai il coraggio di dire a un maestro come lui 'fai così, no questo non piace' e così via. Quindi chiesi al musicista del film di realizzare qualcosa di simile, ma non era possibile. Quindi ho fatto come Tarantino: mi sono comprato il pezzo già bello e pronto, ahah!

Tornatore: La cosa fu buffa perché me lo fecero notare altre persone, io “Sette anime” non lo vidi al cinema perché troppo impegnato sul lavoro. Mi dissero 'Oh, ma guarda che c'è la musica del “Pianista” in “Sette anime”!' Chiesi a Morricone, ma anche lui cascò dalle nuvole. Poi non si riusciva neanche a capire qual era, me lo fecero capire canticchiandola. E' uno dei miei temi preferiti in assoluto, anche per me. Ed è quello che ha la genesi più assurda, quella in cui misi più becco di tutte. Tutte le musiche che Morricone stava preparando per “Il pianista” erano belle, alcune però non erano adatte, e quella che mi serviva in quel momento non c'era. Era per un momento in cui a Novecento accede una cosa che non capisce, l'innamoramento. Come il ragazzino con Malena, che non capisce cosa sta accadendo al suo corpo e al suo cuore. Mancava quel pezzo...Morricone mi chiese cosa fare, e io glielo spiegai con giri di parole, perché non so scrivere e leggere la musica. Cercai di esprimergli l'emozione, sforzandomi di fargli capire la funzione del pezzo...lo stato d'animo dei personaggi. Il momento in cui succede che Novecento non capisce questo nuovo sentimento d'amore e non sa che fare. Lui intanto strimpellava, finché a un certo punto dico 'sai, per lui questo momento è come una nota stonata!' e... TENG!!! tirò fuori l'ostinazione di una nota stonata, e attorno a quello creò il tema. Un esempio di come si lavora, a volte, per creare una soluzione dal nulla.

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