Doctor Strange nel Multiverso della Follia: lo stile visionario di Raimi

Rispetto al Doctor Strange di Scott Derrickson, il sequel gode di un upgrade artistico che però rinuncia alla coerenza stilistica del primo capitolo.

Doctor Strange nel Multiverso della Follia: lo stile visionario di Raimi
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Doctor Strange nel Multiverso della Follia (in tutte le dimensioni troverete la nostra recensione di Doctor Strange nel Multiverso della Follia), il nuovo lungometraggio Marvel Studios di Sam Raimi (La casa, Darkman), fin dalle prime immagini e filmati mostrati al pubblico rivelava una cura estetica fantasiosa e variopinta che ben si adatta al background del magico incantatore. Fin dall'origin story del personaggio contenuta in Doctor Strange (2016), Scott Derrickson (Ultimatum alla Terra, The Exorcism of Emily Rose) che ha co-scritto e diretto il film, aveva posto l'accento su un piano soprannaturale e spirituale in cui si muovevano i personaggi; una dimensione misterica in cui tutti gli incantatori riuscivano a muoversi, la realtà specchio, che poteva essere plasmata dai maghi a piacimento.

Se a quest'elemento aggiungiamo diverse regole "fisiche" di stampo magico, come la divisione tra piano reale e astrale, più la manipolazione di portali per raggiungere luoghi all'istante, il risultato è un impianto estetico vertiginoso che continua ad essere sorprendente nonostante siano trascorsi ben 6 anni di evoluzioni tecniche nel Marvel Cinematic Universe. Il sequel non fa eccezione e, anzi, alza ancora di più l'asticella sul fronte artistico, dimostrando da un lato le abilità registiche di Sam Raimi, dall'altro esprimendo al meglio il variopinto spettro di possibilità che offre il Multiverso. Per evidenziare il forte impatto visivo di Doctor Strange nel Multiverso della Follia è necessario, però, fare un viaggio che comincia proprio dal titolo precedente.

Doctor Strange: gravità speculare e un mondo magico complesso ma lineare

Doctor Strange è un perfetto esempio di come un film introduttivo su un supereroe dovrebbe essere, e ciò non si limita ad una caratterizzazione brillante del personaggio interpretato da Benedict Cumberbatch, ma anche al mondo che lo circonda.

Il Marvel Cinematic Universe ha sempre avuto diversi filoni tematici (e durante la Fase 4 si sono aggiunte più variabili), come quello più classicamente scientifico (Ant-Man, Black Panther), mitologico (Thor, Moon Knight), cosmico (Guardiani della Galassia, Eternals) e anche quello magico, espresso per la prima volta proprio dal titolo del 2016 dedicato allo Stregone Supremo. Derrickson affida all'Antico (Tilda Swinton) il compito di trascinare Stephen (e di riflesso anche gli spettatori) in un vasto universo popolato da stregonerie, tomi magici, creature invincibili, rappresentando bene il contrasto tra il razionalismo medico di Strange (che ricordiamo essere un chirurgo prima della chiamata supereroistica) e lo spiritualismo magico-ascetico di Kamar-Taj, la comunità himalayana che inizia il protagonista alle sacre vie del piano astrale e dei suoi segreti. Durante tutto il film abbiamo non solo modo di conoscere la già citata realtà specchio, dove possiamo assistere a combattimenti vertiginosi giocando sulla gravità senza la violazione irrealistica delle leggi fisiche del nostro mondo, ma anche approcciare per la prima volta a strumenti, regole e dettami che governano questo ecosistema magico parallelo alla nostra vita di tutti i giorni.

Il risultato estetico è sorprendente perché, nonostante si appelli ad elementi di fantasia, riesce a mantenere la sua coerenza interna senza sfociare in nessuna esagerazione o forzatura. Nel complesso il cinecomic crea una realtà perfettamente indipendente, ma al tempo stesso connessa al Marvel Cinematic Universe, alterando con saggezza i dogmi del nostro mondo mediante la regia e l'arte, riuscendo a spiegare tutto in modo lineare.

Il Multiverso della Follia: un viaggio colorato e variegato senza soluzione di continuità

Sam Raimi, invece, per quanto sia palese che abbia studiato il lavoro di Derrickson in Doctor Strange, si è preso molte più libertà artistiche e registiche (come peraltro ha affermato lui stesso in un'intervista, spiegando di avere avuto libertà creativa dai Marvel Studios su molte cose), rompendo quella coerenza che rendeva la pellicola antecedente tanto funzionale e riuscita.

Con alla base una serie di accorgimenti da seguire, che ovviamente dovevano tenere conto del prima e del dopo nel Marvel Cinematic Universe, l'autore americano si è buttato nello sperimentalismo più folle ed estremo in Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Lo vediamo dai combattimenti, che per quanto si attengano in generale alle regole imposte dal mondo di Derrickson, trovano delle interessanti e innovative applicazioni, con stregonerie visivamente spettacolari, scene di ispirazione musicale (il duello tra note è forse il punto più alto del film) e una violenza ben contestualizzata che va oltre la magia pulita e armonica che avevamo visto fino ad ora. Ma l'estro di Raimi raggiunge probabilmente il suo picco nella caratterizzazione dei vari mondi del Multiverso, ognuno frutto dell'ingegno e dell'inventiva del filmmaker, che unisce ispirazioni gotiche ad altre futuristiche, dipingendo luoghi desolati ai confini dell'universo conosciuto, cattedrali di pura luce e rigogliosi paesaggi urbani.

Se è vero che l'autore della trilogia di Spider-Man non distrugge in maniera eccessiva quello che è stato costruito nel primo film, non segue una linea coerente di sviluppo del mondo, ma si diverte a caricarlo di elementi sempre diversi e variegati e ciò, inevitabilmente, non sempre è in linea con quanto ha realizzato Scott Derrickson. Ciò che rimane è comunque affascinante e stimolante ed è un qualcosa di mai visto nell'MCU, ma sembra perseguire una filosofia che probabilmente non tutti apprezzeranno.

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