Dieci cult anni '90 da riscoprire nel 2020

Gli anni '90 hanno dato tantissimo al cinema. Ma quali sono le 10 pellicole cult dell'ultimo decennio del XX secolo?

Dieci cult anni '90 da riscoprire nel 2020
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Gli anni '90, gli anni di 2Pac e dei Nirvana, di Agassi e Roberto Baggio, ma anche anni in cui il cinema (soprattutto quello indipendente e dei B-Movies) ci ha regalato film magari non subito compresi, ma che nel tempo hanno dimostrato di aver lasciato un segno imperituro nella settima arte, di aver cambiato tutto, diventando icona sociale, simbolo generazionale. Tantissimi personaggi indimenticabili, trasformatisi poi in figure estremamente riconoscibili ovunque, entrando davvero nell'immaginario collettivo mondiale. Capaci, dunque, di elevare gli anni '90 dal punto di vista filmico.
Andiamo dunque a (ri)scoprire dieci Cult Movies dell'ultimo decennio del ventesimo secolo.

Ghost Dog

Uscito nel 1999 e diretto da Jim Jarmusch, Ghost Dog è uno dei migliori noir degli ultimi trent'anni, strettamente connesso al bellissimo Le Samourai di Melville e in misura minore anche a Branded to Kill di Suzuki.
Il silenzioso e triste Forest Whitaker abita i tetti del New Jersey, tra piccioni e cemento, dove opera come sicario per conto di un piccolo boss locale che gli ha salvato la vita, di nome Louie.
Fedele al codice dei Samurai e all'Hagakure, con solo un gelataio francese e una bambina come amici, scenderà sul sentiero di guerra quando il clan di Louie cercherà di eliminarlo a tradimento.
Film poetico, raffinato, con una colonna sonora hip-hop e rap di grande spessore, è attraversato da una malinconia e una disperazione profondissime, e assieme da una struggente bellezza, che coesiste con scene d'azione degne del cinema di Hong Kong.

Tremors

Tra le pellicole più originali e amate dai millennials, Tremors quando uscì nel 1990 fu una grande sorpresa, un B-Movie che raccolse un ottimo successo di critica e pubblico e lanciò la carriera di Kevin Bacon.
Mix tra fantastascienza, horror, buddy comedy senza poliziotti, che omaggiava i grandi classici sci-fi degli anni '50 e '60, Tremors aveva come protagonisti due moderni e pasticcioni cowboy, in un Nevada desertico dove venivano risvegliati enormi vermi primordiali che cominciavano a seminare terrore e morte nella regione.
Primo film di Ron Underwood, oltre a fregiarsi di ottimi effetti speciali e un buon ritmo garantiva risate e spavento, si collegava a Lo squalo di Spielberg e al cinema western che fu: la piccola città, i cavalieri erranti, i "mostri" che l'assediavano.

L'armata delle tenebre

Terzo capitolo della saga La casa, diretto da Sam Raimi, L'armata delle tenebre è uno dei film più divertenti, fantasiosi e irriverenti degli anni '90.
Imitato, citato, punto di riferimento ancora oggi, aveva come protagonista sempre Ash Williams (Bruce Campbell), catapultato in un XIV secolo molto sui generis, tra stregoneria, superstizione e presenze che più che oscure si riveleranno spassose e demenziali.
Decostruzione e parodia di più generi cinematografici (dal peplum al fantasy, dal western all'horror) L'armata delle tenebre fu inizialmente poco compreso dalla critica, ma negli anni è stato rivalutato nel suo mixare genialmente Lovecraft, ciclo Arturiano, Flash Gordon, Romero e chi più ne ha più ne metta.

Léon

Film che unisce l'amore per l'action e i personaggi estremi del cinema americano, con i tempi e la raffinatezza del cinema noir francese. Léon di Luc Besson ci mostra lo strano e curioso rapporto tra un killer metodico e solitario (un grande Jean Reno) e una dodicenne risoluta e assetata di vendetta (la debuttante Natalie Portman), contro i poliziotti corrotti capitanati dal folle Stansfield (un Gary Oldman da antologia) che le hanno massacrato la famiglia.
Ambientato in una New York ritratta in modo completamente diverso dal passato, Léon è il capolavoro del regista francese, uno degli action più originali e intensi di sempre, incentrato sul rapporto tra due sopravvissuti, tra il maestro e la sua apprendista per caso.
Con scene d'azione assolutamente fantastiche, vive però del delicato e poetico equilibrio tra il sicario e quell'orfana che a poco a poco se ne innamora in un modo inquietante e aulico.

Una vita al massimo

Sceneggiato da Quentin Tarantino e diretto da Tony Scott, Una vita al massimo, pur fallendo al botteghino, fu elogiato in modo unanime dalla critica, per il suo stile assolutamente fantastico e per la sceneggiatura imprevedibile, creativa, che guidava lo spettatore in un'odissea dell'amoralità violenta, graffiante e dinamica.
Con scene d'azione spettacolari, dialoghi fantastici e un cast che annoverava Christian Slater, Patricia Arquette, Dennis Hopper, Val Kilmer, Brad Pitt, Christopher Walken, Gary Oldman e Samuel L. Jackson, il film segnò una svolta estetica e tematica, agganciandosi sia alla rivoluzione tarantiniana che allo stile di Scott.
Del primo esaltò la dimensione pulp e citazionistica, i personaggi fortemente caratterizzati, del secondo lo stile frenetico e accattivante, tra i più influenti degli ultimi trent'anni; omaggiando gli spaghetti western, l'hard boiled e i gangster movie, Una vita al massimo è considerato uno dei più grandi film americani anni '90.

Il 13° Guerriero

Flop al botteghino tra i più memorabili di sempre, tratto da un bellissimo romanzo di Michael Crichton (nel quale l'autore unì la saga Beowulf al mondo fantasy), Il 13° Guerriero negli anni è diventato un cult, ed è oggi considerato giustamente un film di grande bellezza, dove epica e ritmo regnano sovrane.
Ambientato poco prima dell'anno mille, vede protagonista il colto e curioso Ahmed Ibn Fahdlan (un Banderas in gran forma), che si trova suo malgrado invischiato in una spedizione di soccorso formata da dodici guerrieri vichinghi, capitanata dal valoroso Buliwyf (Vladimir Kulich), incaricata di soccorrere le terre di Hrotgar, assediate da misteriosi mostri che col calare della nebbia seminano morte e orrore.
Sarà l'inizio di una grande avventura, che il regista John McTiernan rese memorabile grazie all'abbondante dose di violenza, ironia, battaglie sanguinolente, con una fotografia di Peter Menzies Jr. impeccabile e una colonna sonora di Jerry Goldsmith diventata leggenda. Sovente horror come solo le saghe norrene sanno essere, regala una battaglia finale alquanto epica.

Dark City

Alex Proyas nel 1998 dirige uno strano film di fantascienza, sceneggiato assieme a David Goyer e Lem Dobbs, ambientato in una città oscura, infida e gotica, nella quale si muove un uomo affetto da un'amnesia che piano piano lascia spazio alla consapevolezza di essere dentro un'enorme trappola.
Fantastico nella scenografia e nella fotografia, con un cast ricco e azzeccatissimo, Dark City è uno dei film più complessi, profondi e influenti di fine secolo, una favola nera ed elegante che si ricollega al Mito della caverna di Platone, all'espressionismo tedesco di Lang, al cinema noir, a Terry Gilliam e ai manga giapponesi.
Rufus Sewell, Jennifer Connelly, William Hurt, Kiefer Sutherland e Richard O'Brien si muovono dentro un labirinto inafferrabile e distopico, in cui realtà e finzione, identità e fantasia sono tutt'uno. Punto di riferimento per la trilogia di Matrix, Dark City è tra i film che hanno fatto la storia.

Il corvo

Capolavoro visivo e concettuale diretto in modo meraviglioso da Alex Proyas, Il Corvo portò al cinema il personaggio concepito da James O'Barr, uno dei "supereroi" più famosi di tutti i tempi.
La fotografia torbida e magnifica di Dariusz Wolski, la monumentale colonna sonora rock e metal, la sceneggiatura di David J. Schow e John Shirley, la straordinaria performance di Brandon Lee, la sua tragica morte sul set... tutto questo creò un mito cinematografico ancora oggi ben vivo.
La storia di Eric Draven, il suo tornare dal mondo dei morti per vendicare la fidanzata Shelly, il corvo che lo guida e accompagna nella sua spirale di rabbiosa vendetta: tutto questo ancora oggi è simbolo indiscusso.
Detroit diventava un mix tra una Sin City glam rock e gore e una Gotham ancor più spettrale e pericolosa, teatro di un dramma aulico, oscuro, dove l'ode all'amor perduto si fondeva con l'action, con la dimensione di un sogno post-punk decadente. Un cult generazionale che tutt'ora stupisce per originalità e raffinatezza.

Clerks

Tra le commedie più amate degli anni '90, Clerks di Kevin Smith occupa un posto davvero particolare. Simbolo del film indipendente per eccellenza, girato con poco più di 25.000 dollari, raccolse un successo di critica e pubblico sensazionale, proponendo un iter narrativo popolato da giovani falliti e scansafatiche, intrappolati in un "Jet Market" dove Dante (Brian O'Halloran) e Jeff (Randal Graves) trascorrevano il tempo parlando delle proprie vite e paure, inseguiti da eventi assurdi ed esilaranti.
Tra rivelazioni, imprevisti e assurdità, il film conquistò il Premio della Settimana Internazionale della Critica a Cannes e venne salutato per quello che era: un disperato ritratto della gioventù americana di quegli anni, condannata alla vita di provincia, a diventare parte di quella classe media in perenne tumulto, a rinunciare a sogni, amici e amori per un futuro scarno e noioso.
Con dialoghi fantastici, gag pecorecce ma irresistibili, Clerks ha dato il via a un universo immaginario (il View Askewniverse) che ha mostrato sia il fallimento della Generazione X, sia la disfatta dei valori dell'America arrivista e materialista. Qui la recensione di Jay e Silent Bob - Ritorno a Hollywood, ultimo "capitolo" della serie.

Il Grande Lebowski

Inutile girarci attorno, Il grande Lebowski è uno dei cult per eccellenza. Accolto inizialmente in modo tiepido da critica e pubblico, oggi patrimonio universale, esempio perfetto di quell'artigianato cinematografico che ha regalato al cinema capolavori indimenticabili.
I fratelli Coen scrissero e diressero (solo Joel in realtà fu il regista) un film che oltre che collegarsi a Chandler e ai western, era un tributo alla cultura pop, alla Los Angeles caotica e arraffona, agli States anni '70, e andava esattamente in controtendenza al sogno americano, descriveva un'umanità sperduta, ridicola ma piena di sentimenti.
Jeff Bridges e John Goodman furono i pilastri di un iter narrativo popolato da personaggi fantastici, con battute diventate leggenda e una vena di malinconia che elevava a mito il personaggio di Drugo, perdente gioioso ma mai domo, in un universo a metà tra sogno e realtà.
Film mito, inimitabile, che rappresenta forse il vero lascito dei Coen, Il grande Lebowski fu anche inno alla quotidianità, in un'epoca di blockbuster comicamente epici e fracassoni.

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