Speciale Diario dalla Laguna - Parte IV

Il cowboy Brad Pitt e l'omicida Ewan mcGregor sbarcano a Venezia...

Speciale Diario dalla Laguna - Parte IV
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Caro diario...

Mediocrità, ecco qual è stata la costante della giornata festivaliera di ieri. Si comincia con l'ultima opera di Chabrol: La Fille Coupeé en Deux, presentata in concorso. Il film narra le vicende di una giovane (ben interpretata da Ludvinie Sagnier) che prima si innamora di un vecchio e perverso scrittore, ma poi deciderà di sposare il giovane erede di una dinastia di imprenditori chimici. Se non fosse che, poco dopo le nozze, il bello sposo comincia a mostrare segni di squilibrio mentale che, mischiati con la gelosia per l'anziano ed affascinante ex della moglie, lo porteranno a compiere un gesto estremamente folle. Benché gli attori siano tutti bravi e i dialoghi brillanti, per tutto il film si respira un'aria incredibilmente stantia e pare di trovarsi davanti, più che ad una produzione del 2006/07, ad un film degli anni '70. Il problema è tutto qui: la novelle vague (cui Chabrol è, e resta, uno dei massimi interpreti), ha ormai perso la sua spinta propulsiva ed il film, che probabilmente trent'anni fa sarebbe stato considerato un capolavoro ed avrebbe suscitato ampi dibattiti, oggi più che altro fa sbadigliare, se non ridere (come nella sequenza finale, dove il regista recupera delle atmosfere addirittura vagamente felliniane) una generazione cresciuta con ben altri "cattivi maestri". Chabrol dunque si trova ad incarnare (insieme al nostro Paolo Franchi) quanto di peggio ci sia oggi nel cinema europeo: storie cervellotiche, pulsioni sessuali mal vissute e uno strisciante, ma non per questo meno fastidioso, snobismo. Il pubblico, infatti, sia nella sala grande che nel più "popolare" PalaBiennale, ha imposto ben presto, sui pochi timidi applausi, fischi e sberleffi.

Altra delusione della giornata è il western atipico di Brad Pitt (stranamente arrrivato, insieme alla moglie, puntualissimo per l'inizio della proiezione, firmando autografi e stringendo mani), lungo e didascalico fin dal titolo (The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford, siamo curiosi per il futuro adattamento italiano...), si propone di ricostruire gli ultimi anni di vita del noto bandito americano Jesse James (un buon Brad Pitt), fino al suo assassinio, compiuto dalla mano del giovane Robert Ford (Casey Affleck), suo ammiratore sfegatato che, alla fine, frustrato dalla propria inettitudine, deciderà di tradirlo sparandogli alle spalle. La storia in sé sarebbe anche interessante ed il regista (l'esordiende Andrew Dominik) costruisce bene il torbido rapporto che si instaura fra il grande bandito e l'immaturo complice (Pitt in conferenza stampa, incalzato da un giornalista che chiedeva di eventuali implicazioni gay ha risposto in maniera sibillina, affermando di "amare le storie gay"), sempre in bilico, almeno da parte di Ford, fra amore ed odio. La regia è altrettanto brava a non prendere mai posizione sui due protagonisti, presentandoli in maniera ottima come due anti - eroi, entrambi negativi ma in maniera diversa: laddove Jesse è un affascinante sbruffone, capace però di picchiare a sangue un bambino per estorcergli delle informazioni, Bob appare come un "uomo senza qualità", frustrato e deluso che non riesce, neppure quando agisce dalla parte del "bene" (intendendo con bene l'ordine costituito) a riscattarsi dalla sua mediocrità. Tuttavia le quasi tre ore di proiezione, fra grandi cieli, piani americani e voci fuori campo, annoierebbero anche il più dogmatico fan dei bio - pic, consegnandoci un film privo (tranne che in alcuni momenti) di quella forza emotiva necessaria ad incollare lo spettatore allo schermo. Non sappiamo nemmeno se il pubblico saprà apprezzare, abituato ai montaggi da video - clip musicale, un film così ampio, sia come durata che come storia (copre quasi tre anni di vicende); in sala gli applausi ci sono stati, ma non calorosi come ci si sarebbe potuti aspettare per un film con un divo del calibro di Brad Pitt e siamo altresì convinti che i produttori (lo stesso Pitt e Ridley Scott) sappiano bene di aver intrapreso una bella scommessa con il botteghino, vedremo se saranno ripagati.

Trionfo invece per il dramma di Woody Allen, Cassandra's Dream. Infatti, stando alle impressioni dei pochi fortunati presenti in sala, sarebbe uno dei punti più alti raggiunti dall'autore newyorchese, che abbandona definitivamente l'ironia che l'ha sempre contraddistindo proponendo un noir londinese estremamente cupo e pessimista. Allen, inoltre, ha definitivamente smentito le voci che indicavano in Scarlett Johansson la sua nuova musa ispiratrice definendola "una straordinaria attrice", ma non paragonabile a Diane Keaton. Chissà come l'avrà presa Scarlett.

In chiusura vogliamo menzionare un film italiano che, finalmente, soddisfa: presentato nell'ambito della settimana degli autori, Hotel Meina, di Carlo Lizzani, è un lucido ed emozionante affresco dell'Italia durante la seconda guerra mondiale, una piccola perla (benedetta da dieci minuti di applausi ininterrotti da parte di critica e pubblico) che, purtroppo, non troverà sicuramente i favori degli esercenti delle sale cinematografiche e sarà relegato a pochi cinema di periferia, un vero peccato.

Al giro di boa della prima settimana, dunque, appare un solo vero pretendente alla palma d'oro: de Palma, che ci ha presentato l'opera probabilmente più completa e matura ma che soprattutto riesce, in maniera soprendente, a coniugare una cinematografia impegnata ed intellettuale con il ritmo richiesto dal grande pubblico, colpendo dritto allo stomaco dello spettatore. E questo non può che essere un bene.