Damien Chazelle e la poetica dei finali: da Whiplash a First Man

Analizziamo le chiavi di lettura dei finali di Whiplash, La La Land e First Man, che hanno in comune sensibilità e contenuti praticamente identici.

Damien Chazelle e la poetica dei finali: da Whiplash a First Man
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C'è magia nel cinema di Damien Chazelle. Non si incarna nella sola forma cinematografica, nell'espressione tecnica della settima arte, perché i film del trentaquattrenne regista di Providence vivono di un moto emotivo e sentimentale perpetuo, che continua da un titolo all'altro. Hanno dei punti di contatto evidenti, i tre straordinari lungometraggi di Chazelle, soprattutto nella costruzione delle relazioni si notano delle sensibilità intime o passionali simili. C'è conflitto e analisi, immersione e confronto, a prescindere dalla natura dei rapporti tra i protagonisti.

Ci sono vita e quotidianità ma anche sogni e speranze, nei legami intessuti da Chazelle, che spesso riescono a dialogare e ancora più spesso a respingersi perché carichi dello stesso magnetismo, non per forza poli opposti ma più e meno di immaginarie pile esistenziali che è curiosamente complesso far combaciare. E questo fa il regista: studia i poli emotivi, li sovverte e ci si addentra con intuito, riposizionando ogni elettrone umano per aiutare a migliorare il flusso e avvicinare parti distanti, o chiudere circuiti rimasti troppo a lungo aperti. Quello di Chazelle è cinema di riconciliazione: con se stessi, con l'amore, con il prossimo. E soprattutto in questo senso, la poetica nascosta dietro ai suoi finali è la sua più grande firma d'autore.

Sguardi

Partendo già dal concept, il magnetico e dinamico Whiplash è il film più conflittuale del regista. Prima di tutto c'è del suo, perché racconta una storia a lui molto vicina e in parte personale, ma di base è un caso studio sul sacrificio, sull'impegno e la dedizione necessari per raggiungere il proprio sogno. Già qui è dunque forte anche la tematica della meta, dell'obiettivo da raggiungere "non importa cosa o come", a discapito di sentimenti, famiglia e vita sociale.
Il realizzare qualcosa è radicato nelle fondamenta della scrittura vibrante di Chazelle, che con il suo primo lungometraggio scuote con particolare veemenza le corde dell'abnegazione di un promettente artista, calamita per insulti, e di un metodo d'insegnamento letteralmente brutale di un entusiasta professore di musica.

I due non hanno relazioni al di fuori dell'aula, anzi, tutto ciò che è ambientato al di fuori della prestigiosa accademia e del mondo della musica è descritto, mostrato e approfondito in modo superficiale. Chazelle resta attaccato a due elementi: l'innata devozione al sogno di Andrew (Miles Teller) e la vocazione divina da Primo Testamento di Terence Fletcher (J.K. Simmons).
Il film è questo: uno scontro di volontà e di "tempi" che sfocia in mani sanguinanti, tiri di sedie, incidenti stradali e urla di rabbia implacabili, eppure è forte e deciso, chiaro e lampante il confronto viscerale e acceso tra due schemi di vita apparentemente distanti che in realtà hanno in comune lo stesso rispetto per la perfezione.

E allora Whiplash si trasforma in quel titolo di riconciliazione di cui parlavamo nell'introduzione, quando dopo l'ennesimo, acceso scontro da Andrew e Terence, il primo usa l'argomentazione più valida che ha: il suo talento e il frutto del suo sacrificio stacanovista. Così ritmo e tempi d'esecuzione si allineano con quelli del maestro, che nell'attimo di silenzio e riposo che precede la chiusura guarda il suo allievo con intensità, sorridendogli, e lasciando fluire finalmente la sua approvazione nello studente più brillante e promettente mai avuto.

È un cinema, quello di Chazelle, che finisce sempre in un gioco di sguardi, di totale e completa rappacificazione, di emozioni taciute, ritrovate. Il confronto avviene sempre in modo calmo e pacato, anche appunto in Whiplash, che al netto del frenetico crescendo anticamera del cut al nero sceglie il solo momento di quiete per soffermarsi sugli occhi dei protagonisti, che parlano davvero da soli.

Il La La Land tiene sempre al centro della storia i sogni di Sebastian (Ryan Gosling) e Mia (Emma Stone). Nonostante nel suo conturbante musical scelga l'impossibilità di una riconciliazione amorosa tra i due, resi completi dalla propria passione, raggiunta con l'aiuto l'uno dell'altra, Chazelle opta per un amore eterno e cristallizzato nel tempo, inscalfibile, a cui accenna proprio attraverso le ultime inquadrature.

Sebastian è al piano e Mia lo sta ascoltando: le loro strade si sono ormai divise ma in quell'occasione, con quell'atmosfera, con il jazz in sottofondo, lei immagina come sarebbe stata la sua vita accanto al pianista fino a quell'esatto momento. Al che Sebastian alza gli occhi e la guarda, sorridendo. Mia non trattiene le lacrime e contraccambia, inondata dal sentimento. Capiscono entrambi di essere ancora innamorati ma che è impossibile, per loro, stare insieme. Lo accettano e tornano alle loro vite. Ancora una volta il confronto è tacito e passa dallo sguardo e da sentimenti taciuti, con una precisa poetica dietro: quella dell'accettazione e di un'intesa silenziosa; un riavvicinamento che viene nuovamente mediato dalla passione, sempre anticipato dalla musica.

Questo discorso viene spinto agli eccessi in First Man, dove la necessità di raggiungere il punto più vicino alla figlia per dirle definitivamente addio (così come al suo senso di colpa e al suo dolore) costringe il Neil Armstrong di Gosling a una relazione problematica con la moglie e i restanti figli, che sembra ignorare e mettere da parte.

La Luna è un obiettivo che non può mancare, un posto fuori dal mondo in cui interiorizzare una volta per tutte il lutto, dove la gravità rende tutto più leggero e facile da lasciare andare. Lo fa con consapevolezza e porta a termine anche il primo Allunaggio, tornando a casa da eroe.

Capisce le sue colpe nei confronti di Janet (Claire Foy) solo una volta che Chazelle decide di metterli a confronto: di nuovo in silenzio, di nuovo faccia a faccia. A separarli un vetro che non può però impedire agli occhi di penetrarsi e comprendersi. È il finale più pacifico e classico del regista, che porta a compimento al massimo della sua espressività poetica la sue sensibilità autoriali, la sua lettura cinematografica delle relazioni umane, del "sogno" prima della ragione del cuore e della meravigliosa capacità di perdonare, comprendersi e rispettarsi.

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