Da The Raid a John Wick: la rivoluzione del cinema d'azione 2.0

L'ultimo decennio cinematografico ha visto un'esplosione straordinaria del cinema action, più acuto, energico, sperimentale, dalla tecnica sopraffina.

Da The Raid a John Wick: la rivoluzione del cinema d'azione 2.0
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Dai suoi albori, il cinema è sempre stato azione. Unione di immagini e suoni che scorrono in ordinata, scomposta, rapida o cadenzata successione su di uno schermo, in movimento. Il nostro Maurizio Encari ne ha parlato anche nel suo Diario di un cinefilo, soffermandosi sul leggendario Viaggio sulla Luna di Georges Méliès, primo sci-fi della storia. Muto e in bianco e nero, l'antenato di uno dei generi più complessi e amati della settima arte esplorava le possibilità di un futuristico viaggio lunare proprio attraverso l'azione, con un'invenzione concettuale e di montaggio per quei tempi davvero sorprendente.
L'azione è dunque evidente parte intrinseca del cinema, elemento immanente e quasi obbligato dell'arte di riferimento che è però divenuto genere universalmente riconosciuto come tale solo negli anni '70, con l'arrivo dei primi macho-eroi hollywoodiani come Rocky o Rambo o titoli come Indiana Jones e Star Wars.

Inizialmente non proprio a se stante perché accompagnato da thriller, fantascienza o avventura, il tutto è poi sfumato verso sponde più concretamente indipendenti, soprattutto nei film di serie B con protagonisti Jean-Claude Van Damme, Steven Segal, Sylvester Stallone, Chuck Norris o Arnold Schwarzenegger. Cinema tendenzialmente popolare e per questo a suo modo spensierato, violento in senso spassoso, artisticamente disarticolato ma intenzionalmente preciso: guadagni sicuri per le piccole produzioni o gli studios, critiche mediamente insufficienti per la maggior parte. Una formula durata in realtà a lungo, praticamente fino all'arrivo di Blade o Spider-Man, che hanno saputo rimaneggiare l'azione estrapolandola di nuovo dalla sua indipendenza e trasformandola in un sottogenere ormai amato e seguitissimo.

La rivoluzione dei pugni

Da lì c'è stata una scissione: da un lato i cinecomic, cinema d'azione mainstream e di successo, e dall'altra il prosieguo di produzioni minori con i protagonisti sopra citati e sottogeneri marziali o di spionaggio, dai film con Jackie Chan al Point Break di Kathryn Bigelow o Matrix delle sorelle Wachowski, fino ad arrivare alla trasformazione più muscolare e sporca dello 007 di Daniel Craig. L'inizio degli anni '10 e l'esplosione della cultura pop hanno poi sancito la superiorità di mercato del genere, dando così modo a titoli più piccoli ed essenziali ma tecnicamente strabordanti di ricevere una visibilità prima impensabile. Soprattutto il solo cinema di arti marziali ha cominciato una lenta risalita dalla china, passando da una vera e propria ghettizzazione post anni '70 a una silver age cinematografica, rilanciato in lungo e largo da una nuova ondata di talenti che hanno saputo esprimere con una metrica stilistica importante una visione energica e più acuta della grammatica action.

Niente più condensazione formale ed estetica dell'immagine e delle sequenze, ridotte spesso, nel sottogenere, a orpello decorativo dei movimenti tecnici dei protagonisti, ripresi in modo frenetico, non sempre chiari, a volte persino con un approfondimento artistico davvero superficiale. La rivoluzione del cinema d'azione 2.0 è direttamente nei pugni, nella fluidità degli scontri, tra combattimenti corpo a corpo, inseguimenti o sparatorie. È rintracciabile nella supremazia dell'eleganza stilistica e precisa della ripresa rispetto ad esempio al contenuto, il che rende evidente la provenienza idealistico-cinematografica di questi titoli, con un'anima di serie B ma pensati per adattarsi alle produzione di serie A.

Tra i tanti titoli che hanno contribuito a questo terremoto di genere pensiamo a The Man of Tai Chi di e con Keanu Reeves, praticamente tutto il cinema di Gareth Evans, dai due eccezionali The Raid all'ultilma Gangs of London, diversi esponenti thailandesi come Ong-bak o The Protector. Tutti film estremamente validi e dall'appeal accattivante, pieni di idee e intuizioni fenomenali che a loro modo, nel loro grande o piccolo, hanno cambiato radicalmente il destino dell'azione nel mondo del cinema, rimettendola in gioco con guizzi formali e concettuali stupefacenti.

Sono riusciti persino a condizionare Hollywood, riformandola nel profondo e convincendo investitori minori o grandi major ad affidare la regia di questi titoli di genere a chi d'azione si è sempre occupato, da stuntman director a conoscitori esperti - per via diretta o indiretta - di arti marziali o gestione dei tempi action.

Senza la rivoluzione silenziosa del cinema d'azione, dall'Oriente con furore, oggi non conosceremmo registi come Chad Stahelski o David Leitch, non avremmo film appaganti come John Wick o Atomica Bionda, niente spazio a Sam Hargrave a quindi a quel piano sequenza fenomenale in Tyler Rake. Sono tutte conseguenze positive e dirette di una seconda, diversa e forte attestazione del genere nel mercato cinematografico universale, connesso da chiari punti "programmatici", che viaggiano da una chiarezza formale inattaccabile a un'esasperazione tecnica che da sola, molte volte, fa il film. Un generale sconvolgimento di valori tacito a monte e rumoroso in cima, che ha rimesso al centro di tutto l'azione che nobilita l'uomo (e la donna), ormai impossibile da ignorare e il cui grido di battaglia e rivalsa rimbomba nei timpani aperti di ogni cinefilo che voglia ascoltare.

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