Cuore Selvaggio, il visionario amore on the road di David Lynch

Nel 1990 il regista americano vince la Palma d'Oro al Festival di Cannes con un film scatenato, con protagonisti Nicolas Cage e Laura Dern.

Cuore Selvaggio, il visionario amore on the road di David Lynch
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"Un cuore matto, che ti segue ancora, e giorno e notte pensa solo a te..." inizia così uno dei grandi classici della musica italiana, cavallo di battaglia del compianto Little Tony. Un testo che avrebbe potuto benissimo adattarsi all'anima portante di Wild at Heart, firmato agli albori degli anni Novanta da un David Lynch da lì prossimo all'imminente successo televisivo di Twin Peaks.
Invece il geniale artista americano ha preferito optare per una colonna sonora dalle tonanti sonorità metal e hard rock, lasciando alla voce di Nicolas Cage il compito di esibirsi in ballad romantiche dal taglio ben più classico.
Perché Cuore selvaggio, vincitore della Palma d'Oro alla 43esima edizione del Festival di Cannes, è un'opera dalle molteplici atmosfere, sospese in quel limbo che solo l'unico e irripetibile stile del regista è in grado di generare. Un on the road fuori da ogni canone, dove all'interno di dinamiche tipiche da love-story d'altri tempi si insinuano riferimenti sempre più criptici e drammatici, in un mondo dove il vero e il falso danzano su un confine sottile e ricco di suggestioni.

Come Elvis e Marilyn

La succitata storia d'amore è quella tra Sailor Ripley e Lula Pace che, come scopriamo già dal prologo, è destinata ad affrontare mille insidie e difficoltà. Il ragazzo viene infatti incarcerato dopo aver ucciso un uomo per legittima difesa, il tutto sotto gli occhi vigili di Marietta, la viscida madre della fidanzata ora determinata a ogni costo a vietare alla figlia di frequentarlo ancora.
Divieto ovviamente infranto, tanto che appena finito di scontare la condanna - relativamente breve date le attenuanti - Sailor trova Lula ad accoglierlo fuori dalle mura del carcere. I due decidono di partire per un viaggio in California, prima tappa New Orleans.
Marietta, nel frattempo resa sempre più instabile da alcool e medicine, assolda un suo ex fidanzato, il detective privato Johnnie Farragut, affinché si metta sulle tracce della coppia, per essere maggiormente sicura però ingaggia anche il crudele Marcello Santos, al quale ordina di uccidere senza pietà il potenziale genero.
Sarà solo l'inizio di una serie di disavventure, popolate da personaggi sempre più strani e ambigui, nelle quali Sailor e Lula dovranno lottare con le unghie e con i denti per preservare la forza del loro legame.

Fuoco cammina con me

Un fiammifero e il fuoco che divampa, quel "fuoco cammina con me" tanto caro agli appassionati lynchiani, aprono letteralmente le danze di questo film folle e scatenato, che viaggia sugli eccessi in maniera spesso, apparentemente, fracassona e dissonante ma altrettanto totalizzante, capace di trascinare con un'energia dirompente lo spettatore in quest'avventura cupa e tenebrosa, dove il noir cede spazio al surreale per ampliarsi a una nuova, inedita, essenza.
Adattamento dell'omonimo romanzo di Barry Gilford, pubblicato solo l'anno precedente, Cuore selvaggio ne ribalta l'epilogo offrendo una conclusione più lieta e vi innesta con maestria diverse, fondamentali, allusioni a un grande classico del cinema fantastico come Il mago di Oz (1939), con la presenza di streghe buone e streghe cattive a vegliare sul destino dei tormentati protagonisti.
Protagonisti senza un reale scopo se non quello di fuggire lontano da tutti alla ricerca di un qualcosa, di un'idea di amore che per evolvere deve necessariamente affrontare vari livelli di comprensione: se il sesso che domina gran parte della vicenda, spesso spinto ma mai gratuito, ne caratterizza la sfera carnale, quando entrano in gioco improvvise rivelazioni lo schema modifica il suo tragitto di presunto arrivo e di relativa maturazione.

In questa ipotetica partita al massacro la discesa in campo di numerosi giocatori non fa che complicare ulteriormente le carte, dando vita a un intreccio narrativo che schiera le proprie pedine con il giusto tempismo per preparare a quell'epilogo parzialmente spiazzante che si rivela però, a conti fatti, l'unica conclusione possibile di una vicenda così hard-boiled.

Una corsa senza freni

Lynch sa ovviamente come gestire questo teatrino degli orrori tramite flashback e cambi di scena puntuali e incisivi, che continuano a svelare nuovi elementi del puzzle dopo averne disseminato indizi qua e là: rispetto ad altri suoi futuri capolavori come Mulholland Drive (2001) o Strade perdute (1997), il quadro è qui compiuto senza piste lasciate aperte, con tutti i nodi che vengono al pettine, ma questo non toglie fascino alla complessità in fase di scrittura, che anzi risulta più coesa del previsto.
Cuore selvaggio vive di spiazzanti sfuriate, dalla delittuosa rissa nei secondi iniziali agli incontenibili e sensuali balli in pista dei due personaggi principali, o sulle note di incalzanti pezzi metal - un concerto dei Powermad, per gli appassionati - o sulle melodie più quiete di Elvis Presley.
Ma è anche un film che, come dice il titolo stesso, possiede un cuore in costante fibrillazione, capace sempre di attirare l'attenzione di chi guarda con soluzioni eterogenee, in perenne bilico tra grottesco e visionarietà.
Marchio di fabbrica tipico dell'autore, nel quale si riversano influenze proprio da quel Twin Peaks che ha fatto la storia non solo del piccolo schermo.

Il regista aveva appena terminato di girare l'episodio pilota e non è un caso la presenza nel cast, seppur in piccoli ruoli, di due attrici fondamentali nella relativa serie, ossia Sherilyn "Audrey" Fenn e Sheryl "Laura Palmer" Lee nonché di altri volti noti provenienti da essa. Ed ecco forse anche il motivo della scelta di girare un titolo così libero e anarchico, dove le assolate strade della California accompagnano il percorso paradiso-inferno-paradiso di queste anime gemelle tutto sesso e rock'n roll, un'ambientazione ben lontana dal clima uggioso di Twin Peaks.

Con Lynch rischia di essere un aggettivo abusato, ma ci troviamo davanti all'ennesima opera piacevolmente inclassificabile in un distinto genere da lui diretta, scheggia impazzita di una carriera sempre sull'orlo dell'eccesso, dove il sacro e profano del Dio Cinema si mescolano senza continuità di sorta. E in questo racconto senza freni, il parterre di figure protagoniste e secondarie non poteva essere da meno.
Dal diabolico Willem Dafoe in una delle scene di macabra seduzione più inquietanti che si ricordino alla nevrotica madre di Diane Ladd - reale genitrice della Dern anche nella realtà -, dal compassato e iconico volto di Harry Dean Stanton alla breve, ma illuminante, partecipazione di Isabella Rossellini, il contorno è quello delle grandi occasioni, ideale supporto per le magnifiche performance maestre delle due assolute star.

Laura Dern non ha paura di mettersi ancora una volta a nudo per il suo mentore, assai più consapevole e matura a quattro anni di distanza dalla timida fidanzatina di Velluto blu (1986), e non a caso ne è diventata l'attrice feticcio per eccellenza, mentre un Nicolas Cage così a briglia sciolta lo ricordiamo in poche occasioni: il suo canonico over-acting è qui perfetto per la parte di Sailor, e vederlo danzare in maniera compulsiva e convulsa sulle rocciose note da metallo pesante è un vero spettacolo, un contagioso ricettacolo di puro, iconoclasta, delirio cinetico.
Spesso considerato come un Lynch minore, Cuore selvaggio è invece uno step necessario per chiunque voglia addentrarsi nella sua ricchissima carriera e comprendere meglio quell'idea di arte pura e primigenia, priva di vincoli nel suo disperato bisogno di travalicare tutto e tutti per portarci a fare i conti con il lato oscuro che ammorba la società e si nasconde, latente o meno, in ognuno di noi.

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