Il destino dei discepoli è rivivere le orme dei maestri, cercando magari una propria dimensione nel farlo. È questione di eredità e carattere: si percepisce il peso delle proprie responsabilità al crescere delle capacità e delle ambizioni, mentre nel cuore e nella mente si avverte come un atto dovuto, a se stessi, ai propri idoli, agli insegnanti di vita e al mondo. Non un percorso obbligato ma una sfida, un modo per mettersi ancora una volta e nuovamente in gioco, andando oltre la propria natura e salendo sul ring in prima persona, fisicamente, anche osservandolo da dietro una macchina da presa, creativamente. Dopo il successo del primo Rocky, per Sylvester Stallone tanta fu la confidenza con il mezzo cinematografico e il modello d'espressione di genere sportivo, che scelse di andare oltre la sceneggiatura ed esordire anche alla regia del franchise, divenendo in sostanza autore a tutto tondo e continuando lungo quella strada per diversi anni (anche se il suo debutto dietro la macchina da presa fu nel 1978, con Taverna Paradiso). Ci troviamo allora ancora oggi ad analizzare e discutere del suo cinema e della sua cifra stilistica, dove sofferenza, riscatto e resilienza vanno di pari passo con un senso del pathos e del dramma spesso caricato all'eccesso ma funzionale, il che rende Stallone autore molto amato e decisamente particolare. Non è chiaro se Sly possa tornare o meno a dirigere e interpretare un nuovo film su Rocky (o su altro), ma è chiaro come il suo percorso d'accompagno in Creed sia ormai giunto al termine, lasciando dunque al discepolo Michael B. Jordan il compito di accettare o rifiutare la sua eredità, sia fuori che dentro la scena.
Crederci (alla terza)
Alla fine del secondo, eccellente capitolo della saga dedicata ad Adonis Creed, un Rocky ormai stanco ci regalava le spalle, seduto a riposo su di una sedia, guardando al quadrilatero e al futuro, rappresentato dal figlio di Apollo. "Ora è il tuo momento", diceva, mentre la folla acclamava il Campione del Mondo. In quel momento, così fugace ma così intenso e cristallino nelle intenzioni, Stallone ha consegnato il testimone alla generazione successiva, questa volta - forse - definitivamente, lasciando che Creed sia Creed, senza la figura di Rocky a definirne la sua stessa natura. Un invito a camminare sulle proprie gambe, che ci spinge a pensare che Sly non tornerà neanche alla sceneggiatura di un futuro e probabile Creed 3, dando modo a qualcun altro di addentrarsi diversamente e nel profondo delle nuove sfide di Adonis, sul ring e nella vita. In realtà non è assolutamente chiaro quale sia, al momento, il futuro del franchise, quali le basi su cui lavorare e quali le possibilità di alterarne intelligentemente il DNA per renderlo ancora più moderno, ancora più unico, senza per forza guardare al passato e tendere invece un mano a qualcosa di coraggioso e differente. Se ci sarà o meno quella "nuova dimensione" di cui parlavamo all'inizio non è insomma definito, così come sfocate sono le idee ipotizzabili, da un ritorno di Clubber Lang fino a un pugile totalmente originale inserito in un contesto finora inesplorato, eppure le parole di Dolph Lundgren (Ivan Drago) fanno riflettere sul prossimo capitolo della saga e sulla stessa questione del lascito artistico e umano di Stallone.
L'attore ha infatti recentemente dichiarato che Creed 3 "dovrebbe passare necessariamente per Michael B. Jordan". Si riferisce ovviamente sia alla presenza fisica dell'interprete di Adonis che alla sua visione, alla sua conoscenza del personaggio, al suo amore per il franchise e a tutte quelle sottigliezze imparate direttamente dal suo mentore.
Eredità
"Ho sentito diverse voci su Creed 3", ha spiegato Lundgren: "Penso che Drago ci sia dentro, in qualche modo. Ho anche sentito che Michael B. Jordan vorrebbe esordire alla regia, forse proprio con il prossimo capitolo del franchise. Dovesse accadere, spero davvero di esserci". Nel riportare con emozione e un pizzico di eccitazione queste voci di corridoio, l'interprete cita proprio la carriera dell'amico e collega Stallone, ricordando come tutto questo potrebbe rappresentare una sorta di cammino sulle orme dei padri artistici putativi. Se Jordan dovesse raccogliere l'eredità di Stallone in quanto regista, dopo aver già accolto il suo lascito in quanto attore, questo renderebbe Creed 3 un film dedicato al retaggio sportivo e culturale dell'intera saga, il primo passo in solitaria di un franchise svezzato ma bambino, che potrebbe sorprendere tutti imparando a correre e falcate importanti, distanziando con decisione Rocky. Compito arduo ma emozionante, che ci auguriamo possa essere seriamente portato a termine proprio da Jordan, meritevole di questa opportunità, mentre da una sedia, in lontananza, uno Stallone sorridente osserva al lavoro i combattenti di domani.
Creed 3, l'eredità di Rocky fuori e dentro la scena con Michael B. Jordan
L'interprete di Adonis Creed potrebbe prendere in mano le redini del terzo film del franchise, seguendo definitivamente le orme di Sylvester Stallone.
Il destino dei discepoli è rivivere le orme dei maestri, cercando magari una propria dimensione nel farlo. È questione di eredità e carattere: si percepisce il peso delle proprie responsabilità al crescere delle capacità e delle ambizioni, mentre nel cuore e nella mente si avverte come un atto dovuto, a se stessi, ai propri idoli, agli insegnanti di vita e al mondo. Non un percorso obbligato ma una sfida, un modo per mettersi ancora una volta e nuovamente in gioco, andando oltre la propria natura e salendo sul ring in prima persona, fisicamente, anche osservandolo da dietro una macchina da presa, creativamente.
Dopo il successo del primo Rocky, per Sylvester Stallone tanta fu la confidenza con il mezzo cinematografico e il modello d'espressione di genere sportivo, che scelse di andare oltre la sceneggiatura ed esordire anche alla regia del franchise, divenendo in sostanza autore a tutto tondo e continuando lungo quella strada per diversi anni (anche se il suo debutto dietro la macchina da presa fu nel 1978, con Taverna Paradiso). Ci troviamo allora ancora oggi ad analizzare e discutere del suo cinema e della sua cifra stilistica, dove sofferenza, riscatto e resilienza vanno di pari passo con un senso del pathos e del dramma spesso caricato all'eccesso ma funzionale, il che rende Stallone autore molto amato e decisamente particolare.
Non è chiaro se Sly possa tornare o meno a dirigere e interpretare un nuovo film su Rocky (o su altro), ma è chiaro come il suo percorso d'accompagno in Creed sia ormai giunto al termine, lasciando dunque al discepolo Michael B. Jordan il compito di accettare o rifiutare la sua eredità, sia fuori che dentro la scena.
Crederci (alla terza)
Alla fine del secondo, eccellente capitolo della saga dedicata ad Adonis Creed, un Rocky ormai stanco ci regalava le spalle, seduto a riposo su di una sedia, guardando al quadrilatero e al futuro, rappresentato dal figlio di Apollo. "Ora è il tuo momento", diceva, mentre la folla acclamava il Campione del Mondo. In quel momento, così fugace ma così intenso e cristallino nelle intenzioni, Stallone ha consegnato il testimone alla generazione successiva, questa volta - forse - definitivamente, lasciando che Creed sia Creed, senza la figura di Rocky a definirne la sua stessa natura. Un invito a camminare sulle proprie gambe, che ci spinge a pensare che Sly non tornerà neanche alla sceneggiatura di un futuro e probabile Creed 3, dando modo a qualcun altro di addentrarsi diversamente e nel profondo delle nuove sfide di Adonis, sul ring e nella vita.
In realtà non è assolutamente chiaro quale sia, al momento, il futuro del franchise, quali le basi su cui lavorare e quali le possibilità di alterarne intelligentemente il DNA per renderlo ancora più moderno, ancora più unico, senza per forza guardare al passato e tendere invece un mano a qualcosa di coraggioso e differente.
Se ci sarà o meno quella "nuova dimensione" di cui parlavamo all'inizio non è insomma definito, così come sfocate sono le idee ipotizzabili, da un ritorno di Clubber Lang fino a un pugile totalmente originale inserito in un contesto finora inesplorato, eppure le parole di Dolph Lundgren (Ivan Drago) fanno riflettere sul prossimo capitolo della saga e sulla stessa questione del lascito artistico e umano di Stallone.
L'attore ha infatti recentemente dichiarato che Creed 3 "dovrebbe passare necessariamente per Michael B. Jordan". Si riferisce ovviamente sia alla presenza fisica dell'interprete di Adonis che alla sua visione, alla sua conoscenza del personaggio, al suo amore per il franchise e a tutte quelle sottigliezze imparate direttamente dal suo mentore.
Eredità
"Ho sentito diverse voci su Creed 3", ha spiegato Lundgren: "Penso che Drago ci sia dentro, in qualche modo. Ho anche sentito che Michael B. Jordan vorrebbe esordire alla regia, forse proprio con il prossimo capitolo del franchise. Dovesse accadere, spero davvero di esserci". Nel riportare con emozione e un pizzico di eccitazione queste voci di corridoio, l'interprete cita proprio la carriera dell'amico e collega Stallone, ricordando come tutto questo potrebbe rappresentare una sorta di cammino sulle orme dei padri artistici putativi.
Se Jordan dovesse raccogliere l'eredità di Stallone in quanto regista, dopo aver già accolto il suo lascito in quanto attore, questo renderebbe Creed 3 un film dedicato al retaggio sportivo e culturale dell'intera saga, il primo passo in solitaria di un franchise svezzato ma bambino, che potrebbe sorprendere tutti imparando a correre e falcate importanti, distanziando con decisione Rocky.
Compito arduo ma emozionante, che ci auguriamo possa essere seriamente portato a termine proprio da Jordan, meritevole di questa opportunità, mentre da una sedia, in lontananza, uno Stallone sorridente osserva al lavoro i combattenti di domani.
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