Crank: il folle film con Jason Statham compie 15 anni

Il 30 agosto di 15 anni fa usciva Crank, un mix di parodia, action, dark humor e demenzialità unico e inimitabile.

Crank: il folle film con Jason Statham compie 15 anni
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Parlare di Crank vuol dire affondare a piene mani dentro una matassa caotica, apparentemente senza senso, sconclusionata, un gigantesco guazzabuglio fatto di suoni, immagini sfocate, battute al vetriolo, spari e parodia.
A conti fatti, quindici anni fa, Jason Statham prestò il suo spigoloso e carismatico volto a un eroe atipico, che portava con sé l'elogio e insieme la decostruzione dei duri che da decenni abitavano gli action e i pulp di tutto il mondo.

Ecco allora che Crank, più che un'esagerata bevanda cinematografica, diventa un'anomalia, un freak, un concentrato di caos fiero di esserlo, di esagerazione che non rinnega sé stessa, un esempio di cinema libero fino all'estremo.
Parodia? Gioco di prestigio? Difficile rispondere ma di certo Crank rimane una perla del film di genere, un'anarchica e liberissima metafora di ciò che siamo, di ciò che vogliamo, di come viviamo.

Crank: paura e delirio a Los Angeles

Brutta giornata per Chev Chelios (Jason Statham), un killer professionista che si vocifera abbia trucidato Ricky Tan, il boss delle triadi, per conto del suo capo Don Carlos.
Chev però un bel mattino si sveglia a casa con i postumi di una mazzata sulla testa e un video in cui l'ex amico e socio Ricky Verona gli mostra come gli sia stato iniettato il "cocktail di Pechino".

Con tale termine si intende un mix micidiale di veleni cinesi, che arrestano progressivamente il battito cardiaco, a meno che il soggetto non produca un'elevata dose di adrenalina in grado di contrastarne l'effetto.
Solo, infuriato, Chev è in realtà innocente dall'accusa mossagli da Ricky Verona, che in combutta con l'ex capo di Chelios mira a prenderne il posto nell'organizzazione.
A dispetto del veleno, dei suoi effetti collaterali e delle assurdità che farà per restare sempre in botta di adrenalina per sopravvivere, Chelios si incamminerà verso un percorso di vendetta e sopravvivenza unico.
Mark Neveldine e Brian Taylor, sfruttando la fotografia di Adam Biddle, creano un'odissea quasi psichedelica in una Los Angeles diroccata, ora deserta ora affollata, di cui vediamo la parte più putrida, multiculturale, adrenalinica, ben distante dai fasti cinematografici o videoclippari a cui siamo stati abituati.
Questo è un altro elemento tutt'altro che secondario nella diegesi di Crank: regnano le minoranze, di bianchi a parte Chelios se ne vedono pochi.
Cinesi, messicani, indiani, portoricani, afroamericani, lo stesso protagonista in realtà è inglese, non americano.

Chev si muove e ci guida in un sottobosco criminale fatto di vanagloria, materialismo, con riti feticisti dietro l'angolo, l'imitazione stantia e cafona dello stile di vita alla Scarface da parte dei boss, un lusso mostrato come pacchiano, casuale e fuori contesto.
L'uomo si sveglia nella sua bella casa e distrugge le cose di maggior valore che ha, mano a mano che avanza diventa sempre più spoglio, più esteticamente sconclusionato, più folle, in perfetto contrasto con l'immagine (che lo stesso Statham ha sovente intepretato) di un maschio predatore e modaiolo, elegante e perfetto esteticamente della serie Transporter.

Un film videoludico

Si è molto parlato di Crank, così come del suo seguito Crank: High Voltage, di una sorta di enorme videogioco su pellicola.
Sicuramente vi è molto di vero in questo, il film ricalca in modo sostanzialmente perfetto la struttura dell'action-adventure a mondo aperto videoludico. Innegabile la sua somiglianza con un must come GTA, ma anche con Multi Theft Auto e volendo persino con Shenmue.

Chev ha una missione, deve andare alla caccia del nemico e salvare la sua ragazza, ma deve anche fare i conti con il veleno, che lo costringe a stare perennemente su di giri, anche con gli espedienti più folli e sconsiderati.
Tale sua condizione non può che richiamare alla memoria il principio della "vita" o "barra dell'energia" che tanti videogiochi fin dall'alba dei tempi ci hanno messo davanti come difficoltà aggiuntiva, nemesi ulteriore con cui fare i conti mentre scuotevamo i nostri mouse o joypad.
La sua stessa caccia agli indizi che portino a Verona, il suo esplorare le location, hanno molto in comune poi anche con serie come Tomb Raider, Assassin's Creed o Splinter Cell.
I mezzi che prende, il modo assurdo in cui li guida, l'estetica del suo movimento, altro non sono che un rimando alle follie che abbiamo sempre fatto fare ai nostri personaggi, soprattutto quando il gioco ormai lo conoscevamo o ci annoiava, o volevamo farci quattro risate con gli amici.

Chev come uomo-marionetta di un giocatore invisibile? In vari momenti è così, e del resto la sua stessa invulnerabilità, davvero irreale, lo rende diverso dagli altri personaggi che condividono con lui il mondo.
La scena più divertente (ma anche più rappresentativa di tale legame con il mondo videoludico) è sicuramente quella dell'epinefrina, di un'iniezione eccessiva che gli dona la stessa frenetica energia e velocità che avevano i vari Max Payne o simili quando ci era data la possibilità di prendere il "turbo" o di passare in modalità invincible.

Una metafora dei tempi moderni

Ma al di là della sua semiotica connessa con il videoludico, ciò che stupisce ancora oggi di Crank è la straordinaria incisività con cui crea una metafora dell'uomo moderno, dello stile di vita frenetico che ci assedia e ci condiziona, della continua necessità di stimoli da cui siamo dipendenti.

L'adrenalina è la sola cosa da cui dipende la nostra vita, l'eccitazione, l'esaltazione, l'emotività fatta di eccesso ed entusiasmo, di autolesionismo e di lussuria, l'ossigeno che ci tiene in vita.
Poco importa come si ottiene, o che si connetta alla felicità, ciò che conta è muoversi, accoppiarsi, drogarsi, bere, fare a botte, buttarsi da un elicottero, insomma, destreggiarsi tra le peggiori nefandezze.
La vita normale non esiste, esiste solo la noia che uccide, da cui scappare in tutti modi, anche i più cruenti o esibizionistici.

Crank allora si stacca dalla dimensione action, propria per esempio di un altro must di Statham come The Mechanic, diventa un elemento narrativo prismatico, in cui l'azione esiste per l'azione, ma l'azione stessa è immagine e somiglianza di un disagio universale.

Basta guardare TikTok o YouTube, Instagram o Facebook. Ormai siamo circondati da persone che fanno cose anche più assurde di quelle che fa Chev, le cui disavventure sono la perfetta metafora della loro personalità malata, di quella parte di anima che coltiviamo solo con l'eccesso e soprattutto con la condivisione multimediale.
Alla fine Chev si libera, morendo, nell'ultima follia di una giornata assurda e senza realismo, ma lo fa a modo suo, abbracciando la libertà. In teoria. Perché naturalmente, come nel più classico dei videogiochi, invece di diventare una sottiletta, sopravvive, appare nel livello successivo, dove si trova a fronteggiare altre assurdità, altre scariche elettriche e un'altra corsa contro il tempo.

Siamo tutti come Chev Chelios, prigionieri dentro il nostro corpo, sottoposti a ritmi di vita assurdi, a lavori che odiamo, ben poco fascinosi come quelli del sicario.
E come lui, in realtà, cerchiamo nell'eccitazione più folle l'antidoto alla noia, all'infelicità, al senso di fallimento che ci circonda e ci condiziona. Peccato solo che sovente non abbiamo una persona da salvare e pallottole da schivare, ma carte bollate o capi non meno infidi di Don Carlos.

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