Bridget Jones's Baby: 5 motivi per cui l'(anti)eroina di Helen Fielding NON è un'icona girl power

Divertente, passionale e romantica: Bridget Jones ha tante qualità ma di certo non è un’eroina girl power, ecco perché.

Bridget Jones's Baby: 5 motivi per cui l'(anti)eroina di Helen Fielding NON è un'icona girl power
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Se non contiamo le pioniere Jane Austen e Anita Loos, Helen Fielding è considerata dalla critica mondiale la scrittrice che ha dato i natali alla letteratura chick lit ovvero a quel genere di romanzi che hanno come protagoniste donne lavoratrici, indipendenti e alla moda, figlie legittime delle "sorelle suffragette". Se la Fielding è stata colei che ha portato in auge tale tipo di narrativa, va da sé che Bridget Jones sia la prima eroina letteraria protagonista di un romanzo chick lit. Nonostante questo, è davvero impossibile pensare a Bridget Jones come un'eroina post-femminista. Non ce ne vogliano le appassionate di Bridget, alla quale riconosciamo tantissime qualità tra le quali, in primis, quella di aver dato voce alla moltitudine di donne imperfette, curvy e sempre fuori luogo, ma davvero i suoi bisogni e le sue azioni risultano molto lontani da quello che le donne di oggi, emancipate e padrone di se stesse, sono. Soprattutto se ci soffermiamo sulla "versione cinematografica" di miss Jones. In sostanza Bridget, e non a caso il suo carattere e la sua personalità sono ispirate all'ottocentesca Elizabeth Bennet di Orgoglio e Pregiudizio, non è affatto un'eroina girl power come molte credono e millantano. Il motivo? Noi ve ne diamo 5, continuando comunque a farcela piacere così com'è.


1) Il lavoro al secondo posto

Una delle peculiarità principali delle eroine "girl power" del cinema è quella di essere caratterizzate per la propria professione, esattamente come l'Amanda Waller (Viola Davis) di Suicide Squad, irremovibile capo dell'ARGUS in grado di tenere a bada i più pericolosi super-criminali del mondo. Bridget Jones è una donna lavoratrice in grado di mantenersi da sola e con una prospettiva di carriera molto interessante. Il problema, però, è che quello che la contraddistingue non è il suo mestiere ma il bisogno spasmodico di avere al suo fianco un uomo. Tale desiderio, in funzione del quale Bridget sembra vivere, arriva a minare le sue potenzialità e la porta, spesso e volentieri, a rendersi ridicola - anche sul posto di lavoro - e addirittura, sia in Il Diario di Bridget Jones che nel recentissimo Bridget Jones's Baby (QUI la recensione), a lasciare la sua professione.

2) Una protagonista passiva

Un'altra delle fondamentali caratteristiche delle eroine post femministe della cinematografia è quella di essere, banalmente, fautrici del proprio destino al pari della Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) la cui scelta di partecipare agli Hunger Games al posto della sorella fa da incipit alla sua intera epopea. Nei tre film di cui è protagonista Bridget Jones, se non in alcuni rari momenti in cui decide di conquistare o riconquistare Mark Darcy (Colin Firth), non sceglie nulla di ciò che le accade. Di solito o è il destino o sono i suoi amanti a scegliere lei e per lei. Bridget inizia una storia d'amore con Daniel Cleaver (Hugh Grant) perché è lui che si rende disponibile. La stessa cosa con Mark Darcy: è lui che si dichiara e fa sì che all'improvviso Bridget cambi completamente opinione sul suo conto arrivando - spinta dal bisogno di avere al suo fianco un uomo - a desiderarlo. Addirittura in Bridget Jones's Baby, lungometraggio in cui all'inizio sembra che Bridget sia davvero diventata un personaggio emancipato rispetto al passato, la protagonista diventa madre "suo malgrado" lasciando che sia il "caso" (ovvero la mera scoperta di chi tra i due comprimari del film sia il padre del bambino) a decidere quale uomo sarà al suo fianco.

3) La minigonna

Secondo il linguaggio cinematografico lo sguardo è potere, ovvero chi guarda sta in una posizione di superiorità rispetto a chi viene guardato. In Il Diario di Bridget Jones l'esilarante scambio di messaggi tra la protagonista e Daniel Cleaver sulla minigonna di Bridget palesa la superiorità del personaggio interpretato da Hugh Grant rispetto a quello interpretato da Renée Zellweger. I connotati affatto girl power di quelle scene non vanno ricercati né nella minigonna di Bridget (anzi!), né tantomeno nei messaggi erotici di Cleaver ma nel fatto che è palese che Bridget diventi "vittima" di un gioco di sguardi/potere solo e unicamente in virtù dell'"insostenibile leggerezza del suo essere".

4) Fuorilegge a sua insaputa

Nella settima arte le eroine definite "girl power" molto spesso sono fuori legge perché l'agire e il vivere nell'illegalità è metafora cinematografica di emancipazione, basti pensare alla Sarah Connor (Linda Hamilton) in Terminator 2, la reietta per eccellenza. In Che Pasticcio Bridget Jones! anche la nostra (anti)eroina finisce in carcere ma, anche stavolta, è il destino beffardo che ce la porta in una costruzione narrativa atta, ancora una volta, a sottolineare che miss Jones non può vivere senza che il suo Darcy arrivi, puntuale, a salvarla.

5) (Not) All By Myself

A proposito di salvataggi: la vera eroina girl power non ha bisogno di qualcuno che arrivi in suo soccorso per tirarla fuori dai guai. Un esempio? Furiosa (Charlize Theron) di Mad Max: Fury Road, ultima (super)eroina e icona femminista action che non solo salva se stessa ma anche la vita delle altre schiave dall'inquietante patriarcato di Immortan Joe (Hugh Keays-Byrne). Che Bridget non sia Furiosa è lapalissiano, come al contempo lo è il fatto che nei tre film in cui è protagonista Bridget ha il perenne bisogno di un uomo che arrivi a tirarla fuori dalla sua depressione, dalla sua solitudine, dal carcere. Che arrivi, in sostanza, a salvarla da se stessa. Questo è tenero, a tratti buffo per come viene raccontato e sicuramente romantico, ma non è e non deve essere da esempio per noi eroine del XXI secolo.

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