Breve storia del cinema dei Manetti Bros., fra vampiri e videoclip

Applauditi all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, la carriera dei due fratelli nasce negli anni novanta, nel mondo del videoclip italiano.

Breve storia del cinema dei Manetti Bros., fra vampiri e videoclip
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È passata qualche settimana dalla fine della 74esima Mostra del Cinema di Venezia e tra le belle sorprese di questa stagione ci sono i Manetti bros. con Ammore e malavita, una commedia musicale che eredita lo spirito dell precedente lavoro, Song' e Napule. Finalmente i Manetti si sono guadagnati il successo che meritavano da qualche anno, con una carriera nata negli anni novanta tra videoclip musicali e un'idea di fare cinema e televisione legata ad uno spirito indipendente e low-fi.

Il movimento del videoclip italiano alla fine degli anni novanta è particolarmente attivo, grazie all'entrata in scena di alcuni giovani autori. Ci sono Alex Infascelli e Francesco Fei, per dirne un paio. Nella scena romana i Manetti bros. dirigono alcuni videoclip più o meno rimasti impressi nella cultura giovanile del periodo. Ci sono cose come Notte d'Acqua degli Assalti Frontali, Supercafone di Piotta, La lunga estate caldissima degli 883. Distante anni luce da quello americano, il videoclip italiano imponeva - e impone ancora - la scelta di far girare la camera attorno al musicista e asfissiare le idee narrative, ma qualcosa di quello che sarebbe stato il marchio di fabbrica dei due registi già prendeva forma. I luoghi della normalità borgatara, il macellaio all'inizio di Supercafone o nell'autobus di Mi piaci di Alex Britti, l'erotismo spiccio e di genere, fanno presagire quello che sarebbe stato il loro percorso cinematografico e televisivo.

Quando esce Zora la Vampira (2000), tratto dalla serie di fumetti ideata da Barbieri e Pederiali, la critica si spacca a metà. C'è chi apprezza il film, ritenendolo un'operazione interessante e fresca, c'è chi l'ha criticato tacciandolo di rara bruttezza. Visto oggi Zora la Vampira è un tassello indispensabile per la strada che porta alla piccola rivoluzione vista con registi come Mainetti e sceneggiatori come Guaglianone, con buona pace di chi allora non l'aveva capito. Dracula (Toni Bertorelli) afflitto dalla cupezza del proprio castello umido e buio, affossato nella grigia Transilvania, si innamora dell'Italia guardando in televisione Carramba! Che sorpresa. Rimane affascinato dai colori dei suoi set televisivi, delle luci e soprattutto dalla bellezza erotica delle ballerine. Aiutato dal suo fedele servo (Raffaele Vannoli) decide di traslocare. Lo fa viaggiando come fosse un immigrato albanese, via mare. Ispirato al romanzo di Stoker, il barcone diviene una nave maledetta, l'intero equipaggio e la marea di immigrati muore, destando l'attenzione della polizia e del commisario Lombardi (Carlo Verdone). Giunto a Roma Dracula rimane deluso da una città e da un popolo che non sono per nulla splendidi e gioiosi come in televisione, ma riesce comunque a innamorarsi di Zora, una writer che frequenta la scena del rap locale.

Vampiri immigrati

Sul film pesa la carriera da registi di videoclip dei Manetti, attraversato da una lunga soundtrack e da belle scene nel contesto rap, e la partecipazione - anche da attori - di artisti come DJ Squarta, Chef Ragoo, Frankie hi-nrg, DJ Gruff e altri ancora. Ai Manetti va dato il pregio di essere riusciti a raccontare la scena musicale e quella sociale in un film parodia dell'horror con velleità romantiche. Detto niente. Per di più il finale si apre alle disquisizioni sull'immigrazione e dell'incapacità dell'italiano medio di accettare la diversità dell'immigrato - metafora visuale del barcone di morti.

Piano 17 (2005) è una prova di forza, girato con pochi spiccioli - e si vede - con un numero di location che si possono contare su una mano. A dispetto di una regia a volte sgrammaticata e di una partenza lenta, il film con il passare dei minuti aggancia lo spettatore alle sorti dei protagonisti, rinchiusi in un ascensore bloccato all'interno di un grattacielo. Tra questi c'è un ladro di professione, che ha il compito di far saltare in aria un ufficio all'ultimo piano e che si ritrova con la bomba in una valigetta al suo fianco. Il tempo scorre e a peggiorare le cose ci si mette di mezzo la comparsa di un killer. Il film gioca tutto sull'interpretazione dei tre protagonisti, Giampaolo Morelli, Elisabetta Rocchetti e Giuseppe Soleri. Nelle scene dell'ascensore i due registi sono abilissimi nel giocare con la lunghezza focale per accorciare e aumentare le distanze tra i visi dei tre personaggi, dandone spessore e incisività nonostante delle recitazioni non proprio esaltanti. Nonostante le atmosfere da thriller, Piano 17 è attraversato dalle sfumature da commedia all'italiana, concentrata nel personaggio di Giovanni (Antonino Iuorio). Napoletano con l'odio per i napoletani, Giovanni è un delinquente che si veste con la prima giacca color panna trovata all'Upim, è incapace di tenere una pistola in mano senza sembrare ridicolo ed è talmente grasso che gli sentiamo tutti i bronchi agitarsi mentre sale le scale.

Con due camei eccezionali, Valerio Mastrandrea nelle parti del vu cumprà e Enzo Castellari nella parte del vigilante di una banca, Piano 17 si porta a casa il beneplacido di chi ha visto nel film belle idee e ritmo. Durante la sessantesima edizione della Festa del Cinema di Cannes Quentin Tarantino spara a zero sul cinema politico e istituzionale del belpaese, accusandolo di essere un loop infernale di piagnistei sulla famiglia borghese in crisi. Intanto i Manetti passano per la televisione, la Rai dà loro in mano la regia de L'Ispettore Coliandro, personaggio scritto da Carlo Lucarelli. La Bologna studentesca e un po' provinciale veste bene ai due registi, che fanno colpo sul pubblico televisivo anche grazie a un Giampaolo Morelli in gran forma.

Largo a Wang

Dopo la commedia horror e la commedia thriller giunge il momento della fantascienza con L'Arrivo di Wang (2011). Stavolta non si ride, ma la mano e l'occhio dei Manetti si sono perfezionati e il film ha una produzione, seppur a bassissimo budget, ragionata nei minimi dettagli. Come nel caso di Piano 17 siamo di nuovo in due, tre location. Quello che colpisce di questo film è di come i fratelli siano riusciti a rendere credibile un contesto poco adatto a un tipo di narrazione che parla di contatti alieni e agenzie governative, con scenografie ridicole tra macchine del caffè "da ospedale" o "da ufficio", agenti segreti che sembrano dei buttafuori da discoteca, sbirri fascisti e una protagonista caratterizzata maluccio. Nonostante tutto il film funziona, tiene incollati allo schermo e pure il colpo di scena telefonatissimo ha un suo perché; e c'è di mezzo pure il fucile di Chekov, l'archetipo narrativo che tanto piace a scrittori e sceneggiatori di tutto il mondo. Come nel film precedente conta la direzione degli attori, che in mano ai Manetti funzionano sempre bene: brava la Cuttica, addirittura stupisce Ennio Fantastichini nella parte del poliziotto. Ne l'Arrivo di Wang i Manetti giocano con gli stereotipi, per tutto il tempo l'alieno Wang rimanda alla fragilità dell'immigrato - per di più parla solo cinese - nel contesto italiano. Come nel caso di Zora, anche questo film spacca in due l'opinione, qualcuno lo definisce una perla e altri ne rimangono delusi. Ma a livello di festival il film va benino, in Italia come nel resto d'Europa, e viene candidato all'edizione 2012 del Mélies d'oro al fianco di film di come Iron Sky e Kill List.

Napoli

Quando esce Song 'e Napule sono passati tre anni da Wang ma in mezzo ci sono i successi della serie di Coliandro e un film horror, Paura 3D. I Manetti bros., che non hanno mai dimenticato una delle sacre regole fondamentali del cinema (di genere), ovvero realizzare pellicole in nome del divertimento e della passione, si sono ormai creati una piccola équipe di amici oltre che collaboratori. Sia dietro che dentro la camera. Song 'e Napule si porta con sé l'ormai feticcio Morelli e Paolo Sassanelli dalle scene di Coliandro. A differenza degli incastri un po' rozzi e meccanici delle sceneggiature precedenti, Song 'e Napule fila liscio che è una bellezza. La storia è quella di Paco Stillo (Alessandro Roja), poliziotto raccomandato ma con la passione per la musica classica. È diplomato al conservatorio ed è un ottimo pianista. La routine quotidiana di Paco si scontra con quella del Commissario Cammarota, integerrimo cacciatore di camorristi, uomo dal pugno duro e dall'aria da reduce missino. Contro la propria volontà Paco finisce a suonare nella band neomelodica di Lollo Nessi (un Morelli in gran forma), per potersi infiltrare nella festa della figlia di uno dei pezzi grossi della camorra nella quale la band di Lollo è stata invitata.

Il film gioca con gli stereotipi della Napoli popolare e disordinata, ma non ne fa mai una macchietta. Song 'e Napule è un piccolo successo - il film è stato il più applaudito al Festival del Cinema di Roma di quell'anno - e fa capire a tutti quale sia la reale posizione del cinema dei Manetti. È qualcosa di proletario, sia nei mezzi che nei fini, che ha sempre al centro dell'attenzione la vita delle periferie e dei suoi protagonisti. Che siano nerd raccomandati, poliziotti burberi o immigrati. Non parla la lingua degli intellettuali per essere un cinema di tutti, ma ha nei suoi padri fondatori la lunga fila degli autori del'area romana, quello di Castellari, di Lucio Fulci e di Umberto Lenzi. Con un occhio attento alla commedia all'italiana di Scola e compagnia bella. Il loro cinema riesce lì dove i cinepanettoni, i Vanzina o Parenti non sono mai riusciti, ovvero non scadere nel trash e nel ridicolo. Che per un cinema del genere non è dire poco.

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