Avengers: Endgame rappresenta il vero finale dell'Infinity Saga?

La chiusura definitiva di un primo macro-ciclo del MCU, senza alcuna anticipazione del futuro cinematografico di vecchi e nuovi eroi.

Avengers: Endgame rappresenta il vero finale dell'Infinity Saga?
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L'abitudine non è certezza ma un percorso schematico meno soggetto ai cambiamenti. Non immune ma sicuramente più cristallizzato in un determinato tipo di consuetudini, che tendono a rassicurare e dare una direzione chiara e specifica a qualcosa, lasciando pochi spiragli al caso, all'eventualità. Abitudinaria può essere la vita ma anche il cinema, come nel caso dell'Universo Cinematografico Marvel, che in tredici gloriosi anni non ci ha mai dato modo di dubitare del ritorno di uno o più dei supereroi protagonisti, da Captain America (Chris Evans) ad Iron Man (Robert Doweny Jr.).
Le loro storie dovevano continuare per raccontare la crisi dello S.H.I.E.L.D, il senso di impotenza davanti a un nemico alieno e sconosciuto, la conoscenza di un Universo più ampio e l'incontro con il più temibile nemico mai incontrato, Thanos (Josh Brolin). Un percorso lungo e ben congegnato che ha saputo regalare momenti di sano entusiasmo, tra lotte intestine, drammi personali e un'ironia quando sagace e quando invece esasperata, e che con Infinity War ha raggiunto il suo culmine, cominciando a orbitare intorno alla sua fine.
Non è detto che ogni sole torni a risorgere, nell'atteso Avengers: Endgame, e anzi qualcuno potrebbe addirittura spegnersi per sempre, lasciando abitudini e sicurezze alla spalle, ma è giusto così: è doveroso e rassicurante trovare una fine dove prima c'era un inizio.

Il diritto dello spettatore

In fondo è questa, la vita delle storie: nascono, crescono e poi muoiono, trovando l'eternità nel loro lascito. Sono genitori affettuosi che ci crescono e ci accompagnano nel corso del nostro percorso da esseri umani, con il solo compito di insegnarci qualcosa, anche soltanto il valore di una risata, il senso più profondo dell'intrattenere, che per Stan Lee era "il lavoro più valoroso di tutti".
Nel suo primo macro-ciclo, il Marvel Cinematic Universe ha fatto proprio questo: ci ha insegnato a godere di un progetto innovativo in una continuity sofisticata che in pochi hanno saputo imitare. Ha dimostrato al mondo la forza della determinazione nel continuare un progetto lungo e dispendioso, di soldi ed energie, arrivando però a dominare il mercato e a ridurre persino al minimo la campagna promozionale di Endgame, perché sostanzialmente poco necessario.
Il prossimo capitolo degli Avengers è così oggi il film evento dell'anno, già destinato a superare i due miliardi senza essere spinto all'eccesso in fase di marketing. È il vantaggio di essere entrati nel cuore di milioni di fan in tutto il mondo e di non aver mai tirato i remi in barca, questo guadagno reale e "facile" in termini d'affetto ed economici. Noi siamo quei figli che ringraziano per la pazienza e la dedizione i genitori, ma è importante che adesso l'Universo Condiviso per come lo conosciamo si faccia da parte e si goda una meritata pensione, lasciando spazio "alle nuove generazioni".

È una questione di ciclicità alla quale la Marvel ci ha già abituati egregiamente con i fumetti, parafrasando la legge della conservazione delle masse: "Tutto si crea, nulla si distrugge", perché la trasformazione è il traguardo, diventare altro restando in qualche modo uguali, con la stessa energia.
È così che si continua a esistere, all'interno di qualcos'altro, di un nuovo corpo, di un ricordo, mentre la fisicità cambia e deperisce, diventando nutrimento per il terreno del domani. La Fase Uno è stato il bruco, la Due la crisalide e la Tre una splendida farfalla dalle ali meravigliosamente variopinte, estremamente longeva ma ormai vicina alla fine.

Ed è suo compito morire e passare oltre, specie se poi si è vissuto come ha fatto questo straordinario animale cinematografico: affascinando intere platee di spettatori, incantando grandi e piccoli, facendo parlare di sé e cambiando dall'interno la natura stessa delle produzioni di genere.
La Infinity Saga, come l'ha chiamata Kevin Feige, merita un addio onorevole, che valorizzi tutto quel lungo percorso che l'ha portata fin qui, nell'anno della sua fine, nel luogo del suo altisonante e valoroso addio. Niente scene post-credit, nessuna anticipazione sul futuro, nessun guardare oltre prima del tempo: questo meritano gli Avengers, anche quelli che forse cadranno in battaglia come Captain America.

Alcuni torneranno, altri diventeranno meteore e altri ancora appenderanno forse la maschera al chiodo, ma che si lasci fluire quest'ultimo momento di una saga pluri-decennale con il rispetto che merita e con il nostro diritto - da spettatori - di vedere conclusa una storia. In qualche modo, lo diceva anche Daniel Pennac nel suo Diritto al Bovarismo del lettore, che è quello dell'emozionarsi, del lasciarsi prendere dall'intensità della storia fino alle lacrime o alle risate, all'evasione e al godimento. Lasciarsi trasportare da una sponda all'altra del racconto, dalla partenza all'arrivo, catartico o inutile che sia, profondo o insoddisfacente. Il viaggio deve finire, prima di poterne cominciare un altro, e noi siamo ormai pronti alla Fine dei Giochi.

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