Avatar: La via dell'Acqua: la tecnologia usata per il film spiegata bene

Il primo sequel di Avatar non avrebbe mai visto la luce così come lo conosciamo oggi senza l'apporto di straordinari team di ricerca e sperimentazione

Avatar: La via dell'Acqua: la tecnologia usata per il film spiegata bene
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Senza Abyss e in parte anche Titanic probabilmente James Cameron non avrebbe potuto rapidamente contribuire alla produzione di un un'opera coraggiosa e sperimentale come il primo Avatar. Già lo spettacolare film del 2009 fu girato a risoluzione 2048 x 1080 (come da standard "DCI" - Digital Cinema Initiatives) a 24 frame al secondo. All'epoca furono applicati rivoluzionari sistemi di ripresa stereoscopica nativa con tanto di ottiche che in tempo reale si adattavano ai soggetti inquadrati, ragionando in misura non dissimile all'occhio umano. Questa metodologia 3D dedicata era composta da uno speciale sistema chiamato "Fusion Camera" (noto anche come Reality Camera System 1), sviluppato per le riprese 3D stereoscopiche.

Per l'occasione furono impiegate telecamere HD Sony HDC-F950 e in una fase successiva le Sony HDC-1500. Con Avatar: La via dell'acqua, Cameron ha alzato ulteriormente l'asticella sul fronte tecnologico, ma prima di analizzare tutti i dettagli non perdete la nostra recensione di Avatar la via dell'acqua e tutti gli altri film in sala a dicembre 2022.

James Cameron, ultima frontiera

Consci del fatto che la tecnologia avanza a una velocità ben superiore a quella degli anni solari che dividono il primo dal secondo Avatar, non era difficile immaginare che nell'ambito della qualità delle riprese digitali ci sarebbero state grandi novità. Tra le più importanti l'hardware che ha consentito a Cameron di girare in 3D a risoluzione 4K, con parte delle immagini a 48 fps (8,8 MB per frame, 48 volte al secondo, per ciascun occhio, circa 844 MB/sec di informazioni) piuttosto che 24 fps.

Già questo dovrebbe bastare a far venire il mal di testa in termini di volumi di dati da gestire, incamerare in modalità RAW per poi transitare per le workstation grafiche di Lightstorm, Lucasfilm e Weta Digital. Tre aziende colossali che a oggi rappresentano il non plus ultra quanto a R&D non solo nell'ambito delle immagini 3D, ma per tutte le soluzioni necessarie a rendere un'opera ancor più monumentale e tecnologicamente spregiudicata rispetto al passato, come il primo sequel di Avatar. La via dell'acqua è stato girato con metodologie cinematografiche non convenzionali. Come in passato la cinepresa scelta per le riprese è stata la versione aggiornata della Sony CineAlta Venice 3D, montata su un rig stereoscopico (doppia ottica per simulare la visione occhio sinistro + occhio destro) appositamente studiato utilizzando l'unità di estensione denominata "Rialto". Più cineprese Sony Venice sono state accoppiate in vari rig 2x Rialto per le diverse inquadrature e angolazioni utilizzando il sistema di cablaggio Sony, ma con opportune modifiche volte all'alleggerimento del peso di svariati chili.

Si è scesi a circa 17 Kg (certo sempre tanti) da poggiare a spalla per le riprese "a mano libera" più concitate e/o più complesse, come le inquadrature a pelo d'acqua. Se da una parte le due camere risultano posizionate una orizzontalmente e una in verticale (con supporto di uno specchio a 45° gradi), dall'altra le stesse sono state "cannibalizzate" lasciando sull'unità a spalla solo ottica + sensore, spostando esternamente corpo macchina e il 99% del resto dell'hardware.

Un'altra pietra miliare

Considerando la tipologia della storia, prevalentemente incentrata sulle tribù acquatiche di Pandora e ampie sequenze subacquee, sono stati molti gli ostacoli da risolvere. La gestione delle camere asciutte è stato un problema per scompensi come temperatura, condensa e bolle d'aria, anche perché le troupe si trovavano ad affrontare un ambiente "ostile" dentro una cisterna riempita con oltre 3 milioni di litri di acqua.

La chiusura nell'involucro sigillato implica dei limiti a partire dal vetro a tenuta stagna posto di fronte alle camere, subentrando questioni come aberrazioni cromatiche, curvatura del piano dell'immagine e distorsioni che avrebbero abbattuto il risultato finale. A soffrirne sarebbe stata anche la risoluzione, che sarebbe scesa da 4K a 2K o anche meno, senza dimenticare che trattasi di sistemi dal peso superiore ai 120 Kg che richiedono adeguato aiuto anche solo per il posizionamento in acqua.

A tale scopo è nato "DeepX 3D", per offrire una configurazione subacquea stereoscopica compatta e priva di difetti ottici e meccanici. Il sistema, incluse le ottiche, è completamente immerso nell'acqua senza involucri esterni. Un design rivoluzionario sviluppato dal geniale ricercatore australiano e direttore della fotografia Pawel Achtel, senza il quale il film non si sarebbe potuto girare. La sua soluzione ha consentito un ampio angolo di visione, nessuna distorsione geometrica o aberrazione cromatica, oltre a fornire una nitidezza virtualmente illimitata da un angolo all'altro.

DeepX 3D è l'unico sistema 3D subacqueo che non abbatte la risoluzione dell'immagine offrendo diversi ordini di grandezza in più quanto a livello di dettaglio rispetto ai tradizionali sistemi con alloggiamento. L'unità pesa meno di 30 Kg, in acqua può venire usata da un singolo operatore, utilizza obiettivi subacquei dedicati ed elementi composti di apposito materiale capace di gestire la luce ambientale sott'acqua, che è altamente polarizzata, giungendo a immagini anche superiori allo standard 4K. Di fatto il concept ingegneristico di Pawel ha aggiunto un'altra pietra miliare al cinema tecnologico di frontiera tanto caro al maestro Cameron, paragonabile alla rivoluzione introdotta dall'invenzione della Steadicam da parte di Garrett Brown nella seconda metà degli anni '70.

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