Atlantis, l'Impero Perduto della Disney tra le mani di Trousdale e Wise

Nel 2001 Disney tornò alla pellicola a 70mm per realizzare il terzo film di Gary Trousdale e Kirk Wise: Atlantis - L'Impero Perduto.

Atlantis, l'Impero Perduto della Disney tra le mani di Trousdale e Wise
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Se nominiamo Kirk Wise e Gary Trousdale diciamo La Bella e La Bestia e Il Gobbo di Notre Dame: due colonne portanti del Rinascimento Disney, di cui la prima, evento raro e unico, permise all'azienda all'epoca guidata da Jeffrey Katzenberg di arrivare a essere candidata anche all'Oscar per il miglior film. Un momento che resta nella storia e che, nelle mani dell'azienda di Burbank, doveva essere necessariamente ripetuto affidandosi nuovamente a quel duo che tante gioie aveva portato a Los Angeles. Nel 2001 nacque così Atlantis - L'Impero perduto, un film che, in qualità di 41esimo Classico della Walt Disney Pictures, portava con sé tantissime particolarità.

Il canto del cigno di Trousdale e Wise

Non ci fu bisogno di convincere nessun regista, nemmeno il duo già citato al ritorno, perché l'idea originaria di Atlantis partì proprio da Gary Trousdale e Kirk Wise, supportati dal produttore Don Hahn. Quest'ultimo aveva già condiviso il set con i registi per La Bella e La Bestia, ma la sua collaborazione con la Disney risaliva sin ai tempi di Red & Toby, il primo film al quale aveva lavorato come assistente alla regia, guidata all'epoca da Wolfgang Reitherman.

Hahn aveva avuto la fortuna di condividere il proprio lavoro anche con Don Bluth, altra personalità di grande valore nell'ambiente Disney, poi passato a realizzare per Fox quei capolavori chiamati Anastasia, Charlie - Anche i cani vanno in paradiso e Fievel va in America.
Dopo aver lavorato, nel corso del Rinascimento, alla storia di Belle e poi a Il Re Leone, si ritrovò accanto a Trusdale e Wise anche per Il Gobbo di Notre Dame, nel 1996, anno in cui, dopo la release al cinema delle vicende di Quasimodo, si iniziò a lavorare ad Atlantis.
Il desiderio era quello di continuare a collaborare con la stessa troupe che aveva ricreato Parigi e la Corte dei Miracoli, impiegando però, per questa volta, l'elaborato setting di Adventureland.
Prendendo così ispirazione dal romanzo del 1870 di Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari, si decise di andare a recuperare il mito narrato di Platone della sommersa Atlantide, la città scomparsa nella vastità dell'Oceano.

L'obiettivo di Wise fu quello di evitare di risultare troppo morbosi affidandosi alle idee dei greci riguardanti la sparizione di Atlantide e di rendere molto più epico il viaggio del protagonista.
L'obiettivo, così come sarebbe poi avvenuto anche per Il Pianeta del Tesoro da parte di Musker & Clements, era quello di costruire un'intera civiltà, che si potesse distinguere nei vestiti, nei modi di fare, nell'architettura dell'ambientazione stessa.

David Goetz, che fu il direttore artistico del film, si ispirò a quelle che erano le costruzioni dei Maya, riprendendo molto dall'antichità dei popoli sudamericani: alle loro strutture atipiche, uniche in tutto il mondo, il team di sviluppo pensò di affiancare poi anche l'architettura cambogiana, indiana e tibetana. Ne venne fuori un insieme che oggi noi possiamo osservare proprio in Atlantis.

La sceneggiatura del Whedonverse

Atlantis porta con sé un altro incredibile elemento all'interno dello staff produttivo, perché dopo aver scritto l'intera serie di Buffy l'ammazzavampiri e il Toy Story di John Lasseter, fu Joss Whedon a occuparsi della sceneggiatura.

La prima stesura toccò proprio a lui: nonostante l'aver posto le basi e l'essere entrato a piene mani nella lavorazione del Classico, Whedon lasciò ben presto la produzione, dichiarando di non sentirsi eccessivamente coinvolto nella storia.
Fu Tab Murphy a subentrare, quindi, completando l'intera sceneggiatura in circa quattro mesi.
Con 155 pagine di risultato (molte di più delle 90 consuetudinarie, tenendo conto che nel cinema una pagina di sceneggiatura corrisponde spesso a un minuto di ripresa), Trousdale e Wise furono costretti a tagliare molte parti riguardanti Milo, il protagonista, e a velocizzare anche il ritrovamento di Atlantis, che nella storia originale costringeva tutta la troupe a compiere un viaggio molto più lungo e tortuoso.
Originariamente Milo sarebbe dovuto essere un discendente di Barbanera, al secolo Edward Teach, ma si decise di non complicare troppo la vicenda e renderlo un semplice esploratore americano.

Un'altra sfida di grande livello fu quella che vide Hahn spingere per non avere canzoni nel film: al di fuori del tema principale, infatti, la colonna sonora è basta interamente sulle composizioni di James Newton Howard, per Disney già al lavoro su Dinosauri.
Fu una grande occasione per spingersi verso scene più profonde e maggiormente incentrate sullo sviluppo dei personaggi, senza lasciarsi andare in momenti canori che ne potessero esprimere i sentimenti.
In sostituzione, quindi, Wise lavorò molto sulle scene in cui Milo e gli altri esploratori si ritrovano tra di loro a parlare delle loro vite e delle loro speranze mentre sono accampati durante le fasi di ricognizione.
Fu un evento molto particolare e una scelta tecnica, nonché artistica, sui generis, inaspettata per Disney, che però trovò il senso della scelta.

L'ibrido tra CGI e animazione tradizionale

Per quanto riguardava il lavoro sull'animazione, Hahn decise di prendere una decisione molto particolare: tornare alla pellicola in 70mm. Una scelta che era stata compiuta in precedenza solo per Taron e la pentola magica.

Oltre questo aspetto, il team dedicato all'animazione raggiunse un totale di 350 animatori, artisti e tecnici, compreso il supporto direttamente dagli studi di Parigi, che negli anni precedenti si erano distinti per le produzioni home video e avevano già supportato Burbank su Il Gobbo di Notre Dame.
Si lavorò in modo tale da realizzare un'immagine che fosse il più panoramica possibile, cercando ispirazione nei film di Akira Kurosawa, così da poter esaltare il nuovo mondo che si stava andando a creare.
Lo stile visual si deve in particolar modo a Mike Mignola, il creatore di Hellboy, che si occupò di seguire la lavorazione del film: l'autore intervenne sui personaggi, sulla storia, sul background.

Erano gli anni della CGI e fu fondamentale usarla a piene mani per molte scene: si arrivò ad avere 362 effetti digitali in totale in Atlantis, soprattutto per animare il sottomarino Ulysse e molti dei movimenti nei fondali marini.
Per questo motivo sia Trousdale che Wise dissero di essersi trovati dinanzi alla più difficile delle sfide mai affrontate, dato il passaggio da Il Gobbo di Notre Dame, totalmente in animazione tradizionale, al peso della computer grafica, una tecnica che a loro non era prettamente nota e per la quale chiesero un affiancamento tra le due tipologie di lavorazione.

L'avvento del digitale

Atlantis - L'Impero Perduto fu il primo film della Disney ad affidarsi al marketing digital. Oltre alla promozione nei classici fast food e sulle confezioni dei Kellogg's, Disney creò un sito dedicato e una serie di minigiochi che permettessero ai vari utenti finali di affezionarsi maggiormente alle tematiche del film. Per l'uscita al cinema, poi, il Classico Disney si trovò a duellare con Shrek e Lara Croft: Tomb Raider.

Sebbene Wise dichiarò di non temere assolutamente la concorrenza della CGI, che era stata usata interamente per il film con l'orco verde della DreamWorks, fu abbastanza palese che al pubblico giovane non interessava notare la differenza tra le due tipologie di lavoro e Shrek riuscì ad avere la meglio su Atlantis.
Il risultato al botteghino fu di un totale di 186 milioni di dollari, contro il budget di 100 spesi per la realizzazione.
Thomas Schumacher, l'allora presidente della Walt Disney Feature Animation, ne uscì sconfitto e deluso, ammettendo che sebbene l'idea di non concentrarsi su una favola poteva essere vincente si era dimostrata un fallimento.

Al momento della release, Atlantis finì anche in un vortice di critiche dovute alla controversia nata per la grande somiglianza con l'anime giapponese Nadia: Il mistero della pietra azzurra.
Galinax, l'azienda che aveva prodotto l'anime, decise però di non citare in giudizio Disney. La scelta fu figlia del fatto che una causa intentata contro l'azienda di Burbank non li avrebbe visti mai vincitori, oltre al voler seguire le orme già tracciate dagli eredi di Tezuka, che nel 1995 avevano evitato di citare Disney per il presunto plagio avvenuto con Il Re Leone ai danni di Kimba.
L'azienda americana non si espose mai sulla questione, ma Wise ci tenne a sottolineare di non aver mai sentito parlare dell'anime con protagonista Nadia fino a quando non era sorta la disputa.
Nonostante ciò, Atlantis restava ispirata al romanzo di Jules Verne, sebbene si poteva notare facilmente che la tecnologia dei cristalli era un elemento assente in Ventimila leghe sotto i mari e che invece era presente sia nell'anime giapponese che nel Classico Disney.
Altri parallelismi vennero notati con Laputa
, film di Hayao Miyazaki per lo Studio Ghibli: in questo caso, però, sia Trousdale che Wise ammisero che il film rientrava nelle loro principali referenze per Atlantis.

Atlantis non ottenne nessun tipo di riconoscimento, né riuscì a raggiungere gli alti livelli dell'animazione Disney di quegli anni.
Poco più tardi sarebbe arrivato Lilo & Stich, poi Il Pianeta del tesoro, ma il Post-Rinascimento, nel frattempo, stentava a decollare, nonostante l'umorismo e l'ilarità che Kuzko aveva portato con sé in Le follie dell'imperatore.
La coppia Trousdale e Wise si spostò, poi, a lavorare su I Pinguini di Madagascar, prima di infilarsi in una serie di collaborazioni per film sempre a marchio DreamWorks e lasciando, in maniera non del tutto felice, scomparire il proprio nome dagli annali del cinema se non per una consulenza creativa al live action de La Bella e La Bestia.