Apocalypto e il coraggio di Mel Gibson, al suo 65esimo compleanno

Il 3 gennaio Mel Gibson compie 65 anni. Andiamo a riscoprire il film in cui ci ha mostrato più apertamente le sue idee: Apocalypto.

Apocalypto e il coraggio di Mel Gibson, al suo 65esimo compleanno
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Mel Gibson rimane uno dei volti cinematografici simbolo degli ultimi trent'anni. Come regista è stato in grado di vincere scommesse incredibili, di sorprendere sempre, di legarsi a uno stile apparentemente molto "classico" e hollywoodiano, in cui però nella realtà emergeva una sperimentazione che spesso gli ha attirato critiche feroci.
In un mondo del cinema sempre più lontano dalle sue posizioni, lui (con tutti i suoi difetti e le sue pur poco condivisibili opinioni) rimane un artista e un regista come ce ne sono pochi.
Mai infatti gli è mancata la coerenza così come il coraggio, e il 3 gennaio 2021, nel giorno del suo 65esimo compleanno, è giusto andare a riscoprire il suo film più personale, e anche più audace: Apocalypto.

Apocalypto era un grande racconto metaforico

A suo tempo Apocalypto fu accolto in modo molto contrastante. Parte della critica, così come del pubblico, non gradì il realismo con cui Gibson ci guidava in quella giungla, ci mostrava l'Impero Maya nel pieno di quella crisi economica, di potere e identità che avrebbe reso il gioco molto facile ai conquistadores.
Attraverso la tragica sorte di Zampa di Giaguaro e della sua tribù, Gibson creò un'odissea che dentro di sé racchiudeva un più ampio spettro storico e culturale, creò un parallelo con società e mondo occidentali che in quello stesso 2006 cominciavano a mostrare le prime crepe e segni di cedimento.
Al di là del sangue, dell'orrore, della caccia all'uomo serrata che ci offrì, Apocalypto era soprattutto un grande racconto metaforico, una sorta di "guida" con cui comprendere in che modo civiltà o imperi sono stati distrutti. Il procedimento, ci spiegò Gibson, era sempre duplice: prima dall'interno e poi dall'esterno.
Mediante un'accuratissima messa in scena, Gibson fu capace di trascinarci dentro un viaggio dell'orrore, nel mostrarci come l'uomo, al di là di epoche o culture, sia rimasto sovente uguale nel cercare di schiacciare i più deboli o proteggere il potere.

Mel Gibson mostra il volto violento dell'uomo

Gibson fu criticato da alcuni perché mostrava una civiltà Maya come un regno di orrori, massacri, torture ed empietà. Si pensò che in fondo Gibson quasi suggerisse che l'arrivo dei conquistadores non fosse stato poi questa tragedia.
La realtà? Mel Gibson con Apocalypto ci ricordò che la favola del "buon selvaggio", concepita da Rousseau e i suoi discepoli, non si poteva applicare alla realtà storica dell'uomo e di quelle terre.
I Maya, come gli Aztechi o gli Incas, conoscevano il terrore, il culto della morte, la sopraffazione, li avevano usati per sottomettere le altre popolazioni, i loro guerrieri non erano diversi dagli spagnoli se non nelle armi, molto meno sviluppate. Anche loro non temevano la morte, concepivano il nemico come un essere da eliminare, rispondevano a superiori e ordini, praticavano il saccheggio e lo stupro.
Semmai, la tragedia vera fu vedere una civiltà cancellata, un intero popolo e una cultura chiaramente raffinata e complessa venire distrutta e martoriata per una manciata d'oro.
Gibson si avvalse della consulenza di vari esperti della civiltà Maya, e per quanto si fosse preso diverse e ovvie libertà (come fece Ridley Scott ne Il Gladiatore), ebbe il grande merito di superare l'irrealistica visione dei nativi come esseri perfetti e puri, che la cultura New Age grazie a film come Balla coi Lupi aveva introdotto.
La virtù, come sempre, sta nel mezzo: anche in ciò vi fu una notevole dose di coraggio da parte di Gibson, nell'abbracciare una concezione dell'umanità così anti-hollywoodiana come l'homo homini lupus.

Un regista dallo spirito anarchico?

La religione, il culto, il rapporto tra uomo e fede sono da sempre dei mantra del cinema di Gibson, che ancora una volta descrisse l'istituzione religiosa in maniera profondamente negativa, come già era capitato ne La Passione di Cristo.
La fede è un atto privato, il rapporto tra Dio e l'umanità rimane sempre tale, non si può generalizzare, gli ordinamenti sono le catene per la libertà degli uomini, che usano il credo a loro piacimento, rinnegandone quasi sempre il messaggio o i valori.
Pure in Apocalypto Gibson fece emergere questa visione. La religione come istituzione è uno strumento di controllo e potere, nelle mani di quell'aristocrazia Maya che la usa sui corpi delle proprie vittime, per tacere dissenso e opposizione, per allungare la propria iniqua supremazia.

Dio è nel tuono, nelle acque del fiume, negli animali, nelle profezie di chi egli sceglie, si manifesta liberamente lasciando tracce, moniti, avvisando sempre l'umanità peccatrice di ciò che succederà, ma non intercede nel loro libero arbitrio.
Vi è però un elogio della comunità, soffocata irrimediabilmente dalla "civiltà", dalla società meccanica e tirannica che ieri prendeva vittime da immolare, oggi usa il capitalismo, la tecnocrazia per sottomettere il singolo.

Un artista dall'incredibile talento e coerenza

In Apocalypto, oltre ad affondare le mani nell'orrore, il regista di nuovo sposò un iter narrativo in cui la lingua e il realismo erano grandi protagonisti, fece sì che lo spettatore si sentisse quindi profondamente coinvolto e immerso nell'universo diegetico di riferimento.
L'azione fu centrale come lo era sempre stata, con alcune sequenze che confermarono il suo grandissimo talento di regista, così come la capacità di suggerire (più che mostrare) la trascendenza dalla materialità, sposando la dimensione del mito, della fiaba oscura.
Meno patinato del pur notevole Hacksaw Ridge, meno retorico dell'amatissimo Bravehearth, Apocalypto è stata la sua grande scommessa, che ancora oggi stupisce: un film girato in modo a dir poco folle, senza star, in lingua yucateca, che non risparmiava nulla allo spettatore e che certamente non abbracciava alcun romanticismo, alcuna dimensione in cui vi fosse un happy-end chiarificatore.
Gibson è sempre stato così, fin da quando girò L'Uomo senza Volto, ha fatto vedere ciò che il cinema "convenzionale" non voleva mostrarci, offrendo qualcosa di diverso, non nella forma ma nella sostanza.

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