In difesa di Taika Waititi e del suo cinema, aspettando Thor 4

Taika Waititi tornerà a occuparsi di Thor, nel frattempo facciamo un tour nella sua filmografia, per capire la bravura di questo autore.

In difesa di Taika Waititi e del suo cinema, aspettando Thor 4
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Finisce sempre così. Con la morte (mediatica). Prima, però, c'è stata la vita, nascosta sotto lo "zio del tuono". È tutto sedimentato sotto l'odio dei fan. Le urla di battaglia e le battute. Il blockbuster e la libertà creativa. Gli sparuti incostanti sprazzi di genialità. E poi l'alcolismo disgraziato e Thor col pancione. Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare alla Marvel (e di ritornarci). Poi c'è l'autorialità. Taika Waititi si è sempre occupato di autorialità. Dunque, che questo quarto capitolo di Thor abbia inizio. In fondo, è solo un trucco.
La notizia, ormai, la sapete tutti: Taika Waititi, regista di Thor: Ragnarok, dirigerà anche Thor 4. Gogna mediatica puntualmente partita, fischi dagli spalti, qualcuno che prova a dire "a me Ragnarok è piaciuto" e viene rastrellato via. Ma noi non ci occupiamo dell'altrove. Occupiamoci di Taika Waititi e della sua stupendamente bizzarra filmografia. Perché se si guarda dietro la tenda di Ragnarok si scopre un grandissimo regista, sceneggiatore e attore. Quindi andiamo a vedere assieme la genialità di Taika Waititi, dal suo inizio indie alla debacle di Ragnarok.

Eagle vs Shark: essere weird è una qualità

Taika Waititi esordisce con un film più indie che mai, riprendendo un mood alla Napoleon Dynamite per raccontare la sua versione dell'essere "strambo": anime sperdute in cerca di qualcosa, incapaci di comunicare, brutte, sporche e (apparentemente) cattive. Eagle vs Shark racconta di Lily e Jarrod, che per provare a volersi bene devono vestirsi da aquila e squalo, dato che il micromondo di follia che gli gravita attorno non permette loro di aprirsi completamente, se non spogliandosi, alla fine, delle rispettive pazzie. Qui cominciano i temi cari a Taika Waititi, che scrivendo il film fa partire fili rossi che continuerà sempre a portarsi dietro: lo sfondo della Nuova Zelanda, sua terra natale, splendida e brutale, l'amore per gli ultimi e i socialmente emarginati, il concetto di famiglia e nucleo famigliare, la comicità sopra le righe, piacevolmente al limite.

Boy: famiglia e sangue, innocenza e realtà

Mai la Nuova Zelanda è stata così accogliente e glaciale, così madre e matrigna, tra sabbie bianchissime e scheletri di rami abbandonati. Taika Waititi scrive, interpreta e dirige questa storia a metà fra i sogni di un ragazzino e le mancanze di un padre, tra E.T. e Michael Jackson. Il protagonista è proprio Boy, di nome e di fatto, ragazzino che idolatra il padre credendolo un eroe di guerra, mentre attorno a lui tutto lo spinge a crescere più in fretta di quanto dovrebbe. E di quanto vorrebbe. Taika Waititi sviscera tutto l'odio e l'amore che la famiglia di sangue può far eruttare, fra scontri generazionali, mitragliatrici di legno e tesori da estirpare. Anche se, forse, i pirati che li hanno sepolti non indossavano bende romantiche come ci si poteva immaginare. Una dramedy perfetta, dolcemente sopra le righe, capace di toccare corde strane, nascoste, ma che Taika Waititi sa benissimo come far vibrare.

What We Do in the Shadows: cos'è il genio?

La genialità di What We Do in the Shadows è abbagliante. Taika Waititi (e il suo fido partner in crime Jemaine Clement) scrivono, dirigono e interpretano la commedia definitiva sui vampiri. Un concentrato perfetto di tutti i cliché del mondo draculesco, arrotolati l'uno sull'altro, destrutturati e sbattuti in faccia allo spettatore, che resta talmente ammaliato dalla geniale follia che persino una carotide recisa è un momento da lacrime agli occhi. Dal ridere, ovviamente.
Tempi comici splendidi, slapstick, battute al vetriolo e personaggi memorabili, con le interpretazioni di Taika Waititi e Jemaine Clement a rubare la scena, un'idiosincrasia dopo l'altra. Un film che potrebbe durare all'infinito e che vorresti non finisse mai. Anche quando la gente si squarta le budella o qualcuno rischia di essere bevuto per cena. Politicamente scorretto e vampiri, cosa volete di più?

Selvaggi in fuga: la famiglia, a volte, te la scegli lottando

Taika Waititi con le dramedy ci sa fare. Riesce a dosare benissimo ogni aspetto del film, in modo da amalgamarne le componenti di follia e comicità, di sentimenti e dramma. Selvaggi in fuga fa esattamente così. Mette a confronto un orfano molto poco collaborativo che ascolta Tupac con uno splendido Sam Neill, barbuto "uomo delle caverne" dell'entroterra neozelandese.
Dovranno collaborare, a ogni costo. Il rapporto fra i due sarà dolcemente esplosivo, mentre ci sono cose che letteralmente saltano in aria attorno a loro, con i concetti di famiglia e natura che si amalgamano e si disfano in continuazione, per una corsa a perdifiato che cambierà radicalmente entrambi, come mai si sarebbero aspettati. In fondo, bisogna solo imparare a leggersi, che sarà mai.

Thor: Ragnarok e l'elefante nella stanza

Eccoci qua, la pietra dello scandalo. Il film che ha messo un pallino rosso sulla fronte di Taika Waititi. È andata più o meno così: Thor non funzionava, soprattutto i suoi film non funzionavano. Bisognava cambiare tutto. Ecco quindi che la Marvel sceglie Taika Waititi, lasciandogli libertà creativa nello stravolgere un personaggio. Il risultato? Thor: Ragnarok è un gran bel film, di gran lunga il migliore della trilogia, ma... quello, ormai, non è più Thor. Quello è Star-Lord che spara fulmini. Il film ha un enorme successo, Hemsworth si diverte con questa nuova versione ma la maggior parte dei fan ha il coltello fra i denti. Pensavamo che con Infinity War avessero aggiustato il tiro (lì Thor era perfetto) ma poi è arrivato Endgame a sbriciolare qualsiasi caratterizzazione del personaggio vista nei film pre-Ragnarok. Thor è morto, lunga vita a Thor. Perciò nessuna sorpresa se ora Waititi tornerà per il quarto capitolo, riutilizzando stilemi comici che depotenziano tutta l'epica che Thor dovrebbe naturalmente emanare. Bisogna solo accettarlo, questo è ormai Thor nel MCU, un eroe che ha perso (quasi) tutto e che sta lentamente ritrovando sé stesso: e deve fare proprio tanto ridere facendolo, altrimenti non va bene. Almeno abbiate l'umana decenza di togliergli la pancia da alcolista.

Perciò è inutile crocifiggere Waititi: il problema è aver scelto lui per cambiare Thor. Ma la sua filmografia dimostra quanto sia innamorato del cinema, del suo cinema, e quanto sappia mescolare stili e generi, lasciando spazio ai sentimenti e a una comicità (spesso slapstick) calibrata alla perfezione. L'avessero scelto per dirigere un film su Ant-Man staremmo ancora urlando al capolavoro. Quindi mettiamoci il cuore in pace e aspettiamo questo Thor 4, dopotutto, come diceva Jep Gambardella, "non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un poco in giro... o no?".

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