È bastato vedere il trailer del suo nuovo film È Stata la Mano di Dio per decretare subito Paolo Sorrentino uno dei favoriti per la vittoria finale all'imminente Mostra del Cinema di Venezia numero 78. Il regista napoletano, tra i più celebrati, premiati e considerati cineasti italiani dell'ultima generazione, promette di regalare nuove emozioni attraverso un racconto vivido, viscerale e visivamente accattivante; promette soprattutto di stupire, cosa che è sempre stata una costante nella sua lunga e coerente carriera, caratterizzata da un amore per i personaggi torbidi, combattuti, per un'umanità a metà tra il grottesco e l'iperrealistico, tra sogno e realtà.
Parlare di lui e del suo cinema vuol dire parlare di alcuni dei film più iconici ma anche divisivi degli ultimi tempi, dal momento che il suo stile, la sua semiotica e la sua cinematografia hanno spesso diviso pubblico e critica. Ecco allora che si rende necessario riguardare al passato, alla sua carriera, a come è stato capace di regalarci ritratti, racconti e universi unici nel loro genere, selezionando i cinque migliori film che fino a oggi Paolo Sorrentino ha regalato al pubblico.
L'Amico di Famiglia
Nel 2006 Paolo Sorrentino ambienta a Sabaudia il suo film maggiormente connesso alla miseria urbana e umana, a un universo composto da reietti, sottoproletari, piccoli borghesi materialisti e ignoranti, sognatori amorali e spietati.
In un iter diegetico a metà tra il Mercante di Venezia e il Gobbo di Notre-Dame, il regista fu capace di affrontare un argomento così scottante, attuale e miserrimo come quello dell'usura, immortalando in modo impeccabile la realtà della periferia, di quei microcosmi fatti di segreti, opportunismi e degrado. Giacomo Rizzo è Geremia, piccola creatura fatta di rancore, insoddisfazione e avarizia, animato da una lussuria che sfoga a livello alimentare, prima che arrivi quella concreta possibilità di soddisfarla carnalmente, salvo poi rivelarsi l'origine del suo tracollo e della sua sconfitta. Personaggio assolutamente detestabile, corrotto, laido, vizioso e crudele, a Geremia non viene concessa neppure l'occasione, da parte di Sorrentino, di una rinascita, o perlomeno di un tentativo di riscatto personale, come ne Le Conseguenze dell'Amore e La Grande Bellezza. Come in certi drammi ideati da Oscar Wilde o Edgar Allan Poe, in fin dei conti non è tanto l'insieme degli eventi a essere importante quanto piuttosto la loro simbologia, il loro assurgere a totem della condizione umana, della società cosiddetta civile.
Forse il primo film in cui Sorrentino ha palesato il suo stile barocco, quella narrazione eccessiva, opprimente ma ammaliante, che poi avrebbe trovato piena conferma sia nella serie tv The Young Pope, sia soprattutto nel ritratto berlusconiano visto in Loro. In comune con queste successive opere vi è il parlare della vanità, della vanagloria, del sopravvalutarsi da parte di creature che aspirano a essere diverse da ciò che sono, resa qui però come la drammatica Odissea di un mostro, di una creatura crudele perché disgraziata, cattiva perché brutta...
Sorrentino sembra dire: "È arrivato il tempo delle iene, degli sciacalli, dei parassiti impietosì e privi di ogni empatia", perché spietati innanzitutto verso se stessi e quindi incapaci di non esserlo anche con gli altri. Conta il potere, conta il sadistico piacere del controllo sugli altri, neppure il sesso è più importante o più centrale, se non come atto simbolico di una prevaricazione, di una sorta di accresciuta autorità sugli altri. Sicuramente il film che più di tutti ha palesato la sua evoluzione d'autore.
Il Divo
Solo Paolo Sorrentino poteva pensare di prendere il politico più temuto, longevo, iconico e pericoloso della storia italiana, il più discusso e controverso per farci su un film grottesco, divertente ma allo stesso tempo incredibilmente drammatico e intimo.
Se Il Divo non è al top di questa classifica, è semplicemente perché poi Paolo Sorrentino è riuscito nell'impresa di superarsi, di andare persino oltre questo biopic a metà tra realtà, realtà supposta e fantasia. Un film incredibilmente fedele o se non altro incredibilmente coerente nel darci un'immagine, un'idea o una semplice teoria credibile, su chi e cosa è stato Giulio Andreotti. Mafiosi e cortigiani, squali e marionette, assassini e martiri della giustizia. Vi è tutto e il contrario di tutto in questo film inquietante, eppure attraversato da un dark humor incredibilmente azzeccato, capace di guidarci dentro il regno della mente di un ragno tessitore sopravvissuto a ogni scandalo, ogni accusa, ogni complotto. Il potere per il potere, il potere che giustifica se stesso e fa qualsiasi cosa per proteggersi, il potere che si aggrappa a ogni alibi e ogni ragione per giustificare la propria presenza e i danni che crea. "Dai Diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori" dice uno straordinario Toni Servillo, quasi irriconoscibile dietro un trucco pesante eppure azzeccatissimo.
Inno alla realpolitik nostrana? Oppure semplicemente istantanea di un modo di concepire o non concepire la vita? Probabilmente entrambe le cose. Ciò che è certo è che questo è sicuramente il film più devastante della cinematografia di Sorrentino per contenuto storico e politico, lo è per la verità che in esso è contenuta, per l'impietoso mostrarci la nostra faccia nascosta e feroce. Noi siamo gli uomini che abbiamo votato e che abbiamo sempre saputo chi era e cosa era Andreotti e chi lo circondava. Forse i veri mostri siamo sempre stati noi, non lui, equilibrista sopra una pozza di fango e morte.
L'Uomo in Più
È opinione comune che questo film, il suo primo vero grande successo, sia forse non il suo più elevato dal punto di vista tecnico o registico, non il suo più sorprendente o visivamente accattivante, ma forse il più riuscito, il più autentico.
La musica e il calcio, l'umanità e la tragicità della vita, i diversi e gli onesti, le carogne e gli emarginati. In fondo il suo cinema è sempre stato questo viaggio dentro la tenebra, dentro le assurdità della vita e in particolare della vita italiana, di come in questo Paese essere delle persone perbene sia imperdonabile, così come quanto lo è cadere da una posizione di privilegio.
Antonio Pisapia è il nome che connette due individui completamente separati da percorso, personalità, natura ma accomunati dall'andare incontro a un dramma esistenziale che affonda le sue radici nella ferocia di una società amorale, materialista e priva di ogni meritocrazia. Entrambi dal successo sfolgorante, per vie diverse, cadono, finiscono in fallo, oppure semplicemente commettono l'errore di non comprendere, di non aver mai compreso fino in fondo il loro mondo, il loro ambiente ma ancor di più il loro Paese. Attraverso il loro dramma, sfruttando in modo semplicemente sensazionale la dimensione urbana ridotta a finestra, Sorrentino ci guida dentro il buio dell'anima, verso la sofferenza ma anche verso la scoperta della verità, di una visione della vita come lotta e ricerca di un percorso.
Le Conseguenze dell'Amore
Sicuramente il suo film più originale, coraggioso, tecnicamente anche il più atipico, per come non dà alcun tipo di certezza allo spettatore, lo fa perdere all'interno di un labirinto in cui il normale iter diegetico viene stravolto e ricostruito in continuazione.
Le Conseguenze dell'Amore è senza ombra di dubbio uno dei film più iconici dell'Italia del XXI secolo, lo è anche in virtù della sua natura ibrida, a metà tra noir, thriller e dramma psicologico. Apparentemente, in questo film Sorrentino si veste degli abiti di un narratore freddo, meccanico e implacabile, quando in realtà ci guida all'interno di un viaggio verso la riconquista dei sentimenti, dell'empatia e dell'umanità. La Svizzera è il palco su cui va in scena il dramma di un uomo prigioniero del suo passato e delle sue paure, che ritrova grazie a un infatuazione quasi adolescenziale la volontà di sfuggire alla sua sorte così come di abbracciarla, ma seguendo la propria volontà. Un'opera che ci parla di quell'apatia da cui tutti, bene o male, siamo condizionati nella nostra esistenza come lo è Titta di Girolamo, probabilmente il personaggio più affascinante che Toni Servillo abbia mai interpretato, nonché il più distante dalla sua norma.
Probabilmente, le Conseguenze dell'Amore è anche il primo film in cui Paolo Sorrentino ha mostrato il suo amore per le sequenze metaforiche e oniriche, per l'esagerazione diegetica. Esibisce con gusto quel connubio tra immagine e suono atto a rompere completamente il supposto equilibrio canonico del cinema italiano. Rivendica la sua libertà di far sentire a disagio lo spettatore, di distaccarsi dal già visto e già noto, di fornirci il ritratto fatto e finito della mediocrità dell'uomo comune, della sua prigione fatta di mancanza di immaginazione e volontà.
La Grande Bellezza
Tra tutte le opere di Sorrentino, senza ombra di dubbio La Grande Bellezza non è solo il film che gli ha portato maggior fortuna, ma anche quello che ha più diviso il pubblico e la critica italiani, dal momento che all'estero questa Odissea in una Roma stupenda e decadente rimane ancora oggi amatissima.
Questo film arrivò addosso alla nostra società, che si stava risvegliando definitivamente dall'illusione berlusconiana, come una doccia fredda e pungente. Sorrentino ci mostrò senza mezzi termini, senza alcune indulgenza, l'abisso morale ed etico in cui l'Italia era scivolata dopo anni di lavaggio del cervello mediante tubo catodico. Sorrentino distrusse l'autoindulgenza e l'autoesaltazione con cui cinepanettoni, commedie, nonché una buona dose di supposta autorialità ci avevano sempre descritto, dipinto e definito. Per troppo tempo eravamo stati presentati come un Paese di bravi figli di mamma, simpatiche canaglie dal cuore d'oro, che alla vita chiedevano semplicemente un po' di sesso extramatrimoniale e un po' di soldi facili. Un Toni Servillo disarmante per eleganza ed espressività si aggira, come un novello Dante Alighieri, all'interno di un Inferno che lui ha scelto e con cui convive. Il suo è il dolore per la gioventù sprecata, per il tempo perso in una vita edonistica e pretestuosa, in fondo è anche il dolore di questo Paese, di un'Italia imbruttita, abitata da nobili decaduti, prostitute intellettuali e non, falsi artisti e veri profittatori.
Film semplicemente magnifico dal punto di vista registico e visivo, per come valorizza una Roma disarmante nella sua malinconica bellezza, che riesce a nascondere i propri difetti grazie a una capacità autoriale con pochissimi precedenti nel nostro cinema, a investire il pubblico con un mare di emozioni tanto contrastanti quanto armoniche nel loro insieme.
Permane, come sempre nel cinema di Sorrentino, la visione di un individualismo spinto, del protagonista come un profeta di una visione della società, del mondo. Non è semplicemente un film coerente, autentico e perfetto nella sua semiotica e simbolicità. La sua natura è quella di un lungometraggio doloroso, spietato, è l'autentico addio dell'Italia a un morbo che ne ha cambiato completamente l'anima, i cui effetti negativi sono vivi oggi e vivranno ancora a lungo.
I 5 migliori film di Paolo Sorrentino, aspettando È stata la mano di Dio
In attesa di vedere il suo nuovo film a Venezia 78, È stata la mano di Dio, andiamo a riscoprire il percorso di un regista unico e inimitabile.
È bastato vedere il trailer del suo nuovo film È Stata la Mano di Dio per decretare subito Paolo Sorrentino uno dei favoriti per la vittoria finale all'imminente Mostra del Cinema di Venezia numero 78.
Il regista napoletano, tra i più celebrati, premiati e considerati cineasti italiani dell'ultima generazione, promette di regalare nuove emozioni attraverso un racconto vivido, viscerale e visivamente accattivante; promette soprattutto di stupire, cosa che è sempre stata una costante nella sua lunga e coerente carriera, caratterizzata da un amore per i personaggi torbidi, combattuti, per un'umanità a metà tra il grottesco e l'iperrealistico, tra sogno e realtà.
Parlare di lui e del suo cinema vuol dire parlare di alcuni dei film più iconici ma anche divisivi degli ultimi tempi, dal momento che il suo stile, la sua semiotica e la sua cinematografia hanno spesso diviso pubblico e critica.
Ecco allora che si rende necessario riguardare al passato, alla sua carriera, a come è stato capace di regalarci ritratti, racconti e universi unici nel loro genere, selezionando i cinque migliori film che fino a oggi Paolo Sorrentino ha regalato al pubblico.
L'Amico di Famiglia
Nel 2006 Paolo Sorrentino ambienta a Sabaudia il suo film maggiormente connesso alla miseria urbana e umana, a un universo composto da reietti, sottoproletari, piccoli borghesi materialisti e ignoranti, sognatori amorali e spietati.
In un iter diegetico a metà tra il Mercante di Venezia e il Gobbo di Notre-Dame, il regista fu capace di affrontare un argomento così scottante, attuale e miserrimo come quello dell'usura, immortalando in modo impeccabile la realtà della periferia, di quei microcosmi fatti di segreti, opportunismi e degrado.
Giacomo Rizzo è Geremia, piccola creatura fatta di rancore, insoddisfazione e avarizia, animato da una lussuria che sfoga a livello alimentare, prima che arrivi quella concreta possibilità di soddisfarla carnalmente, salvo poi rivelarsi l'origine del suo tracollo e della sua sconfitta.
Personaggio assolutamente detestabile, corrotto, laido, vizioso e crudele, a Geremia non viene concessa neppure l'occasione, da parte di Sorrentino, di una rinascita, o perlomeno di un tentativo di riscatto personale, come ne Le Conseguenze dell'Amore e La Grande Bellezza.
Come in certi drammi ideati da Oscar Wilde o Edgar Allan Poe, in fin dei conti non è tanto l'insieme degli eventi a essere importante quanto piuttosto la loro simbologia, il loro assurgere a totem della condizione umana, della società cosiddetta civile.
Forse il primo film in cui Sorrentino ha palesato il suo stile barocco, quella narrazione eccessiva, opprimente ma ammaliante, che poi avrebbe trovato piena conferma sia nella serie tv The Young Pope, sia soprattutto nel ritratto berlusconiano visto in Loro.
In comune con queste successive opere vi è il parlare della vanità, della vanagloria, del sopravvalutarsi da parte di creature che aspirano a essere diverse da ciò che sono, resa qui però come la drammatica Odissea di un mostro, di una creatura crudele perché disgraziata, cattiva perché brutta...
Sorrentino sembra dire: "È arrivato il tempo delle iene, degli sciacalli, dei parassiti impietosì e privi di ogni empatia", perché spietati innanzitutto verso se stessi e quindi incapaci di non esserlo anche con gli altri. Conta il potere, conta il sadistico piacere del controllo sugli altri, neppure il sesso è più importante o più centrale, se non come atto simbolico di una prevaricazione, di una sorta di accresciuta autorità sugli altri. Sicuramente il film che più di tutti ha palesato la sua evoluzione d'autore.
Il Divo
Solo Paolo Sorrentino poteva pensare di prendere il politico più temuto, longevo, iconico e pericoloso della storia italiana, il più discusso e controverso per farci su un film grottesco, divertente ma allo stesso tempo incredibilmente drammatico e intimo.
Se Il Divo non è al top di questa classifica, è semplicemente perché poi Paolo Sorrentino è riuscito nell'impresa di superarsi, di andare persino oltre questo biopic a metà tra realtà, realtà supposta e fantasia. Un film incredibilmente fedele o se non altro incredibilmente coerente nel darci un'immagine, un'idea o una semplice teoria credibile, su chi e cosa è stato Giulio Andreotti.
Mafiosi e cortigiani, squali e marionette, assassini e martiri della giustizia. Vi è tutto e il contrario di tutto in questo film inquietante, eppure attraversato da un dark humor incredibilmente azzeccato, capace di guidarci dentro il regno della mente di un ragno tessitore sopravvissuto a ogni scandalo, ogni accusa, ogni complotto.
Il potere per il potere, il potere che giustifica se stesso e fa qualsiasi cosa per proteggersi, il potere che si aggrappa a ogni alibi e ogni ragione per giustificare la propria presenza e i danni che crea.
"Dai Diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori" dice uno straordinario Toni Servillo, quasi irriconoscibile dietro un trucco pesante eppure azzeccatissimo.
Inno alla realpolitik nostrana? Oppure semplicemente istantanea di un modo di concepire o non concepire la vita? Probabilmente entrambe le cose. Ciò che è certo è che questo è sicuramente il film più devastante della cinematografia di Sorrentino per contenuto storico e politico, lo è per la verità che in esso è contenuta, per l'impietoso mostrarci la nostra faccia nascosta e feroce. Noi siamo gli uomini che abbiamo votato e che abbiamo sempre saputo chi era e cosa era Andreotti e chi lo circondava. Forse i veri mostri siamo sempre stati noi, non lui, equilibrista sopra una pozza di fango e morte.
L'Uomo in Più
È opinione comune che questo film, il suo primo vero grande successo, sia forse non il suo più elevato dal punto di vista tecnico o registico, non il suo più sorprendente o visivamente accattivante, ma forse il più riuscito, il più autentico.
La musica e il calcio, l'umanità e la tragicità della vita, i diversi e gli onesti, le carogne e gli emarginati. In fondo il suo cinema è sempre stato questo viaggio dentro la tenebra, dentro le assurdità della vita e in particolare della vita italiana, di come in questo Paese essere delle persone perbene sia imperdonabile, così come quanto lo è cadere da una posizione di privilegio.
Antonio Pisapia è il nome che connette due individui completamente separati da percorso, personalità, natura ma accomunati dall'andare incontro a un dramma esistenziale che affonda le sue radici nella ferocia di una società amorale, materialista e priva di ogni meritocrazia. Entrambi dal successo sfolgorante, per vie diverse, cadono, finiscono in fallo, oppure semplicemente commettono l'errore di non comprendere, di non aver mai compreso fino in fondo il loro mondo, il loro ambiente ma ancor di più il loro Paese.
Attraverso il loro dramma, sfruttando in modo semplicemente sensazionale la dimensione urbana ridotta a finestra, Sorrentino ci guida dentro il buio dell'anima, verso la sofferenza ma anche verso la scoperta della verità, di una visione della vita come lotta e ricerca di un percorso.
Le Conseguenze dell'Amore
Sicuramente il suo film più originale, coraggioso, tecnicamente anche il più atipico, per come non dà alcun tipo di certezza allo spettatore, lo fa perdere all'interno di un labirinto in cui il normale iter diegetico viene stravolto e ricostruito in continuazione.
Le Conseguenze dell'Amore è senza ombra di dubbio uno dei film più iconici dell'Italia del XXI secolo, lo è anche in virtù della sua natura ibrida, a metà tra noir, thriller e dramma psicologico.
Apparentemente, in questo film Sorrentino si veste degli abiti di un narratore freddo, meccanico e implacabile, quando in realtà ci guida all'interno di un viaggio verso la riconquista dei sentimenti, dell'empatia e dell'umanità.
La Svizzera è il palco su cui va in scena il dramma di un uomo prigioniero del suo passato e delle sue paure, che ritrova grazie a un infatuazione quasi adolescenziale la volontà di sfuggire alla sua sorte così come di abbracciarla, ma seguendo la propria volontà.
Un'opera che ci parla di quell'apatia da cui tutti, bene o male, siamo condizionati nella nostra esistenza come lo è Titta di Girolamo, probabilmente il personaggio più affascinante che Toni Servillo abbia mai interpretato, nonché il più distante dalla sua norma.
Probabilmente, le Conseguenze dell'Amore è anche il primo film in cui Paolo Sorrentino ha mostrato il suo amore per le sequenze metaforiche e oniriche, per l'esagerazione diegetica. Esibisce con gusto quel connubio tra immagine e suono atto a rompere completamente il supposto equilibrio canonico del cinema italiano. Rivendica la sua libertà di far sentire a disagio lo spettatore, di distaccarsi dal già visto e già noto, di fornirci il ritratto fatto e finito della mediocrità dell'uomo comune, della sua prigione fatta di mancanza di immaginazione e volontà.
La Grande Bellezza
Tra tutte le opere di Sorrentino, senza ombra di dubbio La Grande Bellezza non è solo il film che gli ha portato maggior fortuna, ma anche quello che ha più diviso il pubblico e la critica italiani, dal momento che all'estero questa Odissea in una Roma stupenda e decadente rimane ancora oggi amatissima.
Questo film arrivò addosso alla nostra società, che si stava risvegliando definitivamente dall'illusione berlusconiana, come una doccia fredda e pungente. Sorrentino ci mostrò senza mezzi termini, senza alcune indulgenza, l'abisso morale ed etico in cui l'Italia era scivolata dopo anni di lavaggio del cervello mediante tubo catodico.
Sorrentino distrusse l'autoindulgenza e l'autoesaltazione con cui cinepanettoni, commedie, nonché una buona dose di supposta autorialità ci avevano sempre descritto, dipinto e definito. Per troppo tempo eravamo stati presentati come un Paese di bravi figli di mamma, simpatiche canaglie dal cuore d'oro, che alla vita chiedevano semplicemente un po' di sesso extramatrimoniale e un po' di soldi facili.
Un Toni Servillo disarmante per eleganza ed espressività si aggira, come un novello Dante Alighieri, all'interno di un Inferno che lui ha scelto e con cui convive. Il suo è il dolore per la gioventù sprecata, per il tempo perso in una vita edonistica e pretestuosa, in fondo è anche il dolore di questo Paese, di un'Italia imbruttita, abitata da nobili decaduti, prostitute intellettuali e non, falsi artisti e veri profittatori.
Film semplicemente magnifico dal punto di vista registico e visivo, per come valorizza una Roma disarmante nella sua malinconica bellezza, che riesce a nascondere i propri difetti grazie a una capacità autoriale con pochissimi precedenti nel nostro cinema, a investire il pubblico con un mare di emozioni tanto contrastanti quanto armoniche nel loro insieme.
Permane, come sempre nel cinema di Sorrentino, la visione di un individualismo spinto, del protagonista come un profeta di una visione della società, del mondo. Non è semplicemente un film coerente, autentico e perfetto nella sua semiotica e simbolicità. La sua natura è quella di un lungometraggio doloroso, spietato, è l'autentico addio dell'Italia a un morbo che ne ha cambiato completamente l'anima, i cui effetti negativi sono vivi oggi e vivranno ancora a lungo.
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