Manhunter: la caccia ad Hannibal Lecter secondo Michael Mann

L'Everycult della settimana è dedicato a Manhunter - Frammenti di un omicido, thriller del 1986 scritto e diretto da Michael Mann.

Manhunter: la caccia ad Hannibal Lecter secondo Michael Mann
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Il cinema di Michael Mann può essere considerato dal pugno duro ma dai modi raffinati, capace di interrogarsi sul senso della visione e sui massimi sistemi di una quotidianità continuamente messa alla prova dal mondo e dalle sue molteplici oscurità.
Uno dei tratti fondamentali della poetica dell'autore è il confronto tra due realtà diverse ma complementari, tipicamente maschili e quasi sempre costrette a sacrificare la sacralità del rapporto domestico in nome del senso del dovere. Nella nostra rubrica Everycult abbiamo già visto con il poliziesco Miami Vice cosa comporta non rispettare le distanze che separano il lavoro dalla vita privata, ma Mann ha affrontato il tema anche in Strade Violente, in LA Takedown, in Heat, in Insider, in Nemico Pubblico e perfino in L'ultimo dei Mohicani e Alì. Soprattutto lo ha affrontato in Manhunter: Frammenti di un omicidio, adattamento del romanzo Red Dragon di Thomas Harris e prima apparizione cinematografica del famoso serial killer Hannibal Lecter (qui chiamato Lecktor e interpretato da Brian Cox ben cinque anni prima dell'Oscar ad Anthony Hopkins per lo stesso ruolo ne Il silenzio degli innocenti).
Capolavoro del thriller poliziesco ascrivibile al genere del neo-noir, Manhunter è un gioco voyeuristico sul ribaltamento dei punti di vista ma anche un'esagerazione alla Michael Mann sull'Home Invasion, nella quale l'invasore è rappresentato dal male del mondo e il territorio violato è l'idillio domestico.

Cacciatore di uomini

La produzione di Manhunter occupa una parte importante della filmografia di Michael Mann: siamo a metà degli anni '80, il successo della serie tv di Miami Vice (da lui creata e prodotta, nonché anche diretta per un episodio nel 1985) è strabordante, ma non distoglie Mann dalla stesura di un copione tratto dal popolare romanzo di Thomas Harris sopracitato.

Non a caso parte del lavoro svolto dal cineasta nella serie tv poliziesca confluirà proprio nel suo nuovo film, in particolare il tema del sacrificio della vita coniugale sull'altare di quella professionale, che, come detto in apertura, diventerà successivamente uno dei punti centrali del suo ipertesto.
La scelta tra i doveri morali e gli obblighi personali sarà infatti il fulcro dell'avventura dell'investigatore speciale dell'FBI Will Graham (interpretato da William Petersen, oggi celeberrimo per il suo ruolo in CSI), ritiratosi da qualche anno a vita privata dopo aver catturato Hannibal Lecktor ma richiamato in servizio per dare una mano nella caccia a un nuovo pericoloso serial killer ribattezzato Dente di Fata, che ha già ucciso due famiglie ad Atlanta, Georgia.
Costretto a uscire dalla bolla domestica nella quale si era rifugiato - un mondo quasi idilliaco come sottintendono le suggestive prime sequenze ambientate in spiaggia -, Will si ritrova nuovamente di fronte agli incubi che scaturiscono e prolificano nel mondo esterno.
La sua separazione fisica dalla moglie (il privato) e dal figlio adottivo (quasi mai i protagonisti di Mann sono padri biologici) a causa delle indagini (il professionale) è enfatizzata a livello psicologico dall'approssimarsi mentalmente (e visivamente) all'assassino cui dà la caccia.

La terribile ironia che muove il protagonista è la necessità di abbandonare la propria vita privata (e metterla in serio pericolo, non solo fisicamente ma anche a un livello sentimentale) per difendere quella degli altri, che fa da contrappunto all'obbligo professionale di rischiare la propria sanità mentale (in passato ha già avuto un crollo psicologico) per calarsi nella mente disturbata della sua preda. Ma a questo punto chi è davvero la preda e chi il cacciatore? L'ambiguità del titolo dell'opera, quel "cacciatore di uomini" che può riferirsi tanto all'investigatore quanto al serial killer, non permette una risposta precisa, anzi mescola ancora di più i ruoli dei due avversari.

Invasione domestica

Non solo una fuga dall'idillio privato, però: quello messo in scena da Manhunter è un vero e proprio terrore dell'invasione domestica, una paranoia che continuerà a tornare nei film di Mann come per essere esorcizzata e che ha origini già in Strade Violente: non per niente nel noir del 1981 il protagonista Frank, un ladro professionista interpretato da James Caan, dichiarava di non volersi macchiare di furti in casa, come se per Mann lo spazio domestico fosse inviolabile.

Paradossalmente quel film si concludeva proprio con una clamorosa sparatoria casalinga e Manhunter non a caso va ad aprirsi con l'invasione del confine che separa il mondo esterno dal privato: in una sequenza pre-credit fatta di immagini quasi astratte ed enigmatici punti di vista (solo successivamente scopriremo che il serial killer ha il feticismo della visione e che quindi filma le sue vittime), Mann qui ci rende allo stesso tempo spettatori e complici dell'atto, la vita domestica viene invasa e distrutta, ma la violenza viene lasciata deliberatamente fuori campo.
Il regista, tramite ellissi, ci mostra la causa scatenante (l'effrazione) e le sue terribili conseguenze (l'arrivo del protagonista sulla scena del crimine) con lo scopo specifico di far coincidere il punto di vista dello spettatore con quello di Will Graham.
L'atto di violenza, ancor di più perché realizzato nella sacralità del nido domestico, per Mann è inconcepibile e va necessariamente filtrato attraverso l'immagine, la visione, il cinema.
Tradendo le aspettative tipiche dello slasher che le premesse del film potrebbero anticipare, Manhunter espande la "volgare" rappresentazione della violenza in una presa di coscienza quasi metafisica che espande la percezione del protagonista, e quindi dello spettatore.

La brutalità arriva sullo schermo attraverso una sua interpretazione retrospettiva, che sia per via della voce di Graham che analizza ciò che vede parlando al suo registratore o che sia per gli inquietanti voli pindarici con i quali proverà a immedesimarsi nel serial killer (e, di conseguenza, portando lo spettatore a fare lo stesso).
Esattamente come in Strade Violente, poi, anche Manhunter si conclude su una nota paradossale: l'enfatizzazione della violenza nel finale assume infatti tratti simbolici quando vede il protagonista costretto - così com'era stato costretto a rientrare in servizio - a violare lo spazio domestico del serial killer per ucciderlo (e quel ralenti di Graham che infrange la vetrata è un'evidente sottolineatura). Con un senso di circolarità estremamente preciso, l'invasione domestica viene ribaltata: Will Graham è diventato un cacciatore di uomini.

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