Everycult: Ore Disperate di Michael Cimino

L'Everycult della settimana è dedicato a Ore Disperate, thriller drammatico del 1990 diretto da Michael Cimino con Mickey Rourke e Anthony Hopkins.

Everycult: Ore Disperate di Michael Cimino
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A prima vista un progetto come Ore disperate, remake di un classico di William Wyler con protagonista Humphrey Bogart, può sembrare un'incongruenza o un paradosso nella filmografia di un regista come Michael Cimino, che come pochi è stato in grado di dominare gli spazi e racchiudere nell'inquadratura l'immensità degli orizzonti. I retroscena però raccontano altro.
La sua carriera, per lo meno dopo il successo de Il cacciatore e il tonfo storico de I cancelli del cielo, è sempre stata un compromesso dopo l'altro: con L'Anno del Dragone si era parzialmente risollevato grazie agli sforzi del produttore Dino De Laurentiis, che aveva voluto credere in lui, ma il successivo Il siciliano lo aveva rigettato nell'insuccesso. Fu ancora De Laurentiis, sul finire degli anni '80, che accettò la sfida di riproporre a Hollywood un regista del quale Hollywood stava cercando disperatamente di dimenticarsi.
E a ben guardare le Ore Disperate citate dal titolo sembrano fare riferimento alla situazione di Cimino (ma anche a quella di Mickey Rourke, anche lui di lì a poco avrebbe affrontato il proprio baratro personale), il cui scopo - accettando il progetto propostogli da De Laurentiis - era quello di rientrare nell'industria dalla porta principale come farà il villain del film Michael Bosworth con la villa dei Cornell: l'esito delle due vicende purtroppo non sarà così diverso.

Scappare all'interno

Un'opera in cui si fugge negli interni perché negli esterni si possono trovare solo la morte e le sirene della polizia sembra quanto mai attuale nel 2021, ma in realtà l'origine della sceneggiatura è radicata nel passato.
Il film originale di Wyler del quale quello di Cimino si configura come remake è infatti a sua volta l'adattamento di un romanzo di Joseph Hayes, e allora ecco che l'arcinota e folle ambizione dell'autore lo spinge ad accettare la sfida. Può un cinema che è stato tanto immenso, tanto totale, chiudersi all'interno di una villetta di periferia? Assolutamente no, e infatti Cimino sembra approfittare della premessa del film (una gang, dopo l'evasione del proprio leader, fa irruzione nella casa di una famiglia qualunque in attesa di una complice e in preparazione alla fuga oltre i confini dello Stato) per ribadire a ogni occasione quali fossero le potenzialità del suo cinema libero, della sua arte en plein air.
Non è un caso che il prologo sia così esageratamente panoramico, così aperto (uno spiazzo nella natura, un lago, le montagne innevate all'orizzonte, il cielo gigantesco) in contrapposizione alla gabbia dentro il quale poi si andrà a chiudere (la casa dei Cornell).
Nella sua affascinante megalomania, Cimino (che cita il suo mito John Ford intitolando a Nathan Brittles, il protagonista de I cavalieri del nord ovest interpretato da John Wayne, la finta lapide che si vede nella prima scena) affronta la claustrofobia del thriller home-invasion con la stessa iconoclastia che lo aveva portato alla realizzazione delle sue opere precedenti, nelle quali i confini tra i diversi generi si mescolano fino a crearne uno a sé.
Ancora una volta il thriller-noir (e Ore disperate era un thriller-noir in tutto e per tutto, nella versione di Wyler) è il pretesto per qualcos'altro, più melodrammatico e metaforico.

Un western psicologico

Per Michael Cimino, ispirato e profondamente influenzato dal lavoro sullo spazio di John Ford (dichiaratamente il suo regista preferito), ogni singolo film è sempre stato interpretato alla base come un western.
Ore disperate non fa eccezione. Anthony Hopkins farà espressamente riferimento alla sua passione per gli sceriffi, e chiuderà il suo arco narrativo quasi trasformandosi in uno di essi. Cimino tratta gli interni di casa Cornell come fossero gli spazi immensi della frontiera.
Al netto di tutte le piccole o grandi debolezze della sceneggiatura (che spesso dipendono da quanta importanza si dà alla narrazione rispetto alle immagini) l'opera riesce a racchiudere tutto il talento visivo del suo regista.

Cimino muove la macchina da presa con un vigore inusitato, conferisce tantissima importanza alla profondità di campo per sottolineare il graduale mutamento di equilibri all'interno dell'abitazione e il ribaltamento dei rapporti di forza tra i personaggi, lavora magistralmente sullo spazio, sul montaggio interno, sui giochi di luce che tagliano l'inquadratura o conferiscono valore simbolico agli oggetti inquadrati (uno fra tutti l'ombra a forma di croce sul volto di Mickey Rourke nel finale, citazione non solo de Il siciliano ma anche di Scarface di Howard Hawks, altro regista prediletto di Cimino). Tra l'altro il direttore della fotografia di quel film, Lee Garmes, aveva lavorato all'originale Ore Disperate.
I due protagonisti (uno dei quali, quello interpretato da Anthony Hopkins, è anche l'ennesimo veterano della guerra del Vietnam raccontato da Cimino) rappresentano ancora una volta le facce ambivalenti e complementari della stessa medaglia.
Come sempre nel cinema di Michael Cimino (che è un cinema di dualità) i ruoli dei personaggi si accavalleranno fino a sovrapporsi, fino a entrare uno nell'altro (emblematico, fra i tanti elementi che sviluppano il tema, il ruolo che avrà la fede nuziale) mentre il paradosso tra interno ed esterno percorre l'intera opera come un tragico filo rosso.
Il confronto dialettico fra i due spazi dipinge il tanto agognato esterno come un luogo di morte mentre la "prigione" dell'interno come un rifugio sicuro nel quale ogni difficoltà può trovare una sua soluzione: sembra una metafora per l'intera carriera di Michael Cimino, il cui destino però è segnato come quello del suo omonimo protagonista fuorilegge.

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