Everycult: Miami Vice di Michael Mann

Oggi la rubrica Everycult è dedicata a Miami Vice, action del 2006 scritto e diretto da Michael Mann, con Colin Farrell e Jamie Foxx.

Everycult: Miami Vice di Michael Mann
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Michael Mann è totale e universale al punto da essere straripato anche nel cinema di chi è venuto dopo. Senza citare l'ormai noto paragone con Christopher Nolan, che dai film di Mann attinge costantemente (qui c'è quella gravità citata da Joker ne Il cavaliere oscuro in un dialogo molto simile), situazioni e immagini dell'arte "manniana" si ritrovano un po' ovunque nella Hollywood contemporanea, ma è quasi impossibile eguagliare il maestro.
Questo perché solo Michael Mann è in grado di fare un film à la Michael Mann, ha inventato lo stile e i timbri che lo contraddistinguono e li padroneggia in quel modo inconfondibile, immediatamente suo anche quando "prestato" ad altri. Sempre sperimentale, il cinema del regista ha contribuito a plasmare nuovi immaginari e reinvitare cliché della classicità di Hollywood. Nel nuovo millennio ha potuto continuare a farlo tramite l'avvento del cinema digitale, del quale è stato un sempre troppo poco convinto fautore.
Assaggiato con Ali nel 2002 ed esaltato con Collateral nel 2004, è nel 2006 con Miami Vice che il digitale diventa un corpo definitivo, un'estensione del concepire la messa in scena, il manifesto per un cinema alternativo e un'evoluzione del classico.

L'aria di Miami

In maniera non troppo dissimile da Ridley Scott e Michael Cimino, anche Michael Mann in qualità di autore torna insistentemente su temi, situazioni e personaggi quasi arrivando a fare e rifare sempre lo stesso film.
Come Strade Violente anche Miami Vice - adattamento cinematografico dell'omonima serie televisiva di cui Mann fu produttore - parte in medias res, riguarda due poliziotti che si identificano come criminali ribaltando il concetto alla base di Heat (nel quale Robert De Niro si identificava nel poliziotto di Al Pacino, e viceversa), gioca così sulla palette cromatica dei blu e sul simbolismo del mare come Manhunter e in maniera simile a Collateral inizia dopo il tramonto per concludersi alle prime luci dell'alba (sebbene il thriller con Tom Cruise si estinguesse nel corso di una sola notte).
In generale però la trama offre ancora una volta lo spunto per un dramma sull'incomunicabilità e un affresco bigger than life sulla condizione d'eterna solitudine che attanaglia l'uomo, che sembra già scolpita nel suo destino qualunque scelta egli compia.

L'opera di Michael Mann immediatamente riconducibile a Miami Vice sembrerebbe però Collateral, del quale si pone come un'evoluzione: non tanto per la presenza di Jamie Foxx (ma curiosamente Colin Farrell fu inizialmente immaginato per interpretare Vincent al posto di Tom Cruise) quanto per i tratti pastello della fotografia digitale, che evadendo dalla metropoli iper-realista del thriller del 2004 restituisce all'opera un look impressionista, quasi astratto e di grande maniera.

La ricercatezza dell'immagine conferisce un significato allegorico a ogni fotogramma, popolato da personaggi/simboli alle prese coi massimi sistemi dell'esistenza mentre malinconie e irrequietezze si agitano sotto la superficie, trasformando le parabole in odissee umane epiche ed epocali.
Il digitale inoltre - cui Mann implementa il Super 35 per alcune scene - viene utilizzato non solo per la dinamicità delle sequenze d'azione (che pure non mancano) ma anche come vera e propria tela sulla quale dipingere spazi dalla profondità di campo immensa. Michael Mann sembra essere il regista che più di tutti, in assoluto, è in grado di restituire nello schermo la verticalità dell'urbanizzazione moderna, affidandole lo stesso compito che nei western era lasciato ai panorami della natura selvaggia: quello di far apparire l'uomo ancora più piccolo e infinitesimale.
E la cinepresa, mai doma e sempre in movimento, affamata di istanti e gesti, di sguardi e sensazioni, sembra voler portare la scena dallo spettatore. L'obiettivo, riuscito, è quasi irripetibile: nessun altro film action o regista avrebbe tentato in seguito di replicare stili ed estetiche di Miami Vice, neppure il Michael Mann di Nemico Pubblico o Blackhat.

Audio Rock

Oltre all'aspetto visivo e alla capacità di fare dello spazio un vero e proprio protagonista della vicenda narrata, il cinema di Michael Mann riesce a contraddistinguersi anche per l'utilizzo delle tracce sonore e delle musiche: se le città sono personaggi, le canzoni per Michael Mann diventano dei commentatori e in Miami Vice assistiamo all'ennesima esaltazione di questa simbiosi tra "audio" e "visivo".

La colonna sonora è onnipresente e accompagna l'emulazione della messa in scena da videoclip di cui le immagini si fanno portatrici: l'intera sottotrama (a dire il vero piuttosto centrale) della relazione tra Sonny e Isabella è scandita costantemente dalle musiche, nasce e muore con esse e si muove secondo i loro ritmi.
In tal senso è esemplare la prima fuga d'amore a L'Avana in sella al motoscafo: "innescata" da uno shot over the shoulder di Yero, il cui punto di vista già prelude al sospetto crescente che il villain monterà nei confronti della coppia, viene scandita dalla malinconica One of these mornings, il cui testo funge da contrappunto tragico all'esuberanza della sequenza.
Colin Farrell e Gong Li sono bellissimi, la loro conversazione è già piena di allusioni e spiragli di amore, la camera di Michael Mann evade dagli skyline opprimenti della città e ci mostra l'oceano quasi a voler sottolineare il senso di libertà e indipendenza che Isabella desidera (e che otterrà, seppure con risvolti agrodolci).
Tutto dovrebbe essere elettrizzante e carico di aspettative, eppure la colonna sonora in qualche modo frena gli entusiasmi, le sue note preannunciano un addio lontano ma inevitabile ed entrano in conflitto con le immagini creando uno squilibrio epico che ha il peso della tragedia greca.

Diversi generi musicali e varie melodie accompagnano i due personaggi lungo il loro percorso insieme, scandendo alti e bassi e offrendo un azzeccato e preciso parallelismo con l'altra coppia del film (Ricardo e Trudy, ovvero Jamie Foxx e Naomi Harris) attraverso immagini ricorrenti ma contrapposte come le due scene nella doccia, momento intimo e tenero per Ricardo e Trudy e gioco di potere fra Sonny e Isabella.

Finché il montaggio finale non arriva a ristabilire gli equilibri, quando l'amore dannato e maledetto tra Sonny e Isabella viene sacrificato per preservare la salvaguardia del team.
Mentre il personaggio di Gong Li se ne va, usando quel motoscafo che prima aveva posto le basi per una fuga d'amore, quello di Naomi Harris si risveglia dal coma, mentre una carrellata da sinistra a destra "allunga" il letto d'ospedale in quello della casa di Isabella, unendo i due tempi e i due spazi.
Il ritorno all'ospedale di Sonny è un risvegliarsi nella realtà, è un addio al sogno che la sinfonia di accompagnamento alla sua storia d'amore simboleggiava fin dall'inizio. E non è un caso che nella director's cut distribuita in Blu-ray, non appena Mann stacca sul nero per mostrare il logo di Miami Vice e chiudere il cerchio, il tema musicale che ha scandito tutta la sequenza finale venga interrotto bruscamente. Al suo posto torna One of these mornings, profezia finale che finalmente si compie.

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